I cultori di economica delle generazioni avvenire studieranno e scriveranno la storia dell’economia mondiale “ai tempi del coronavirus”. Avranno a disposizione un’infinità di materiali e molto tempo a disposizione per il loro lavoro. Il tempo che oggi fa difetto ai governi chiamati a parare il colpo del blocco, ampio e progressivo, delle attività che dai diversi comparti concorrono a determinare il reddito dei rispettivi paesi.
L’Italia è esposta in prima linea, sia per la la vastità e la violenza del fenomeno che l’ha colpita, a partire dalle regioni dove maggiormente si accentra la produzione di ricchezza nazionale, sia per la fragilità dei conti pubblici che rappresenta il vero handicap del suo sistema economico e sociale. Tuttavia occorre evitare sgomento e precipitazione.
Le situazioni estreme, come quella che il Paese sta attraversando, richiedono uno sforzo di razionalità nelle valutazioni e nelle decisioni da prendere. Questo, a volte, sembra difettare al carattere nazionale. Ma non sempre è stato e deve essere così.
Con lucidità di guida e comportamenti coerenti generalizzati se ne esce fuori. Non è un semplice auspicio, è l’indicazione che viene dalla memoria storica di avvenimenti catastrofici che nei corso dei secoli si sono abbattuti sulla penisola, in lungo e in largo.
Primi segnali positivi stanno emergendo. Intanto si è determinato un considerevole cambio di passo della politica, con maggioranze e opposizioni che stanno dando vita ad una forma tacita di unità nazionale, anche se talune di esse (vedasi Lega) lo fanno obtorto collo. Non è, adesso, il caso di far distinzioni di lana caprina. L’unità di agire nel campo delle politiche economiche e sociali è il punto indispensabile e iniziale per mettere in campo un progetto che, partendo dalle necessità immediate, abbracci un orizzonte temporale di medio e lungo periodo.
Il secondo aspetto che emerge attiene al senso di responsabilità di cui larga parte dei cittadini sta dando prova. A dire il vero, non tutta, visto che migliaia di meridionali inurbati al Nord sono letteralmente fuggiti verso le regioni di origine. La paura è l’elemento peggiore e la fuga serve a nulla, perché non porta da alcuna parte e produce danni maggiori, in questo caso il pericolo di espandere il virus a macchia d’olio.
Il terzo punto è rappresentato dal risveglio di coscienza dell’Unione Europea nei confronti del pericolo generale e della situazione italiana in particolare. Con una macchia grave causata dall’imbecillità culturale del neo presidente della Banca Centrale Europea, la signora Lagarde, che aprendo bocca senza ragionare ha causato una enorme crisi sui mercati finanziari. Ed è auspicabile che il suo intervento sia solo il frutto di stupida vanagloria e non già di un disegno diretto a dare in testa ad un paese come l’Italia, di per sé in difficoltà, a vantaggio di altri competitori della stessa UE.
Un progetto politico ed economico della portata che si va rendendo necessaria non è questione che può essere risolta sull’improvvisazione, tantomeno con modeste note giornalistiche.
Un punto di riferimento per chi ha la responsabilità di governo, delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e degli imprenditori, delle banche e degli istituti finanziari, può essere rappresentato dal complesso delle azioni che vennero messe in atto di per fronteggiare il disastro prodotto dalla seconda guerra mondiale. I cinque anni che vanno dal 1945 al 1950 costituiscono un esempio non trascurabile: dalla monarchia alla repubblica, dalle leggi fasciste alla costituzione, dalla ricostruzione alle radici del miracolo economico, un passaggio virtuoso compiuto in un tempo incredibilmente breve, per un risultato inimmaginabile.
Oggi esistono le risorse che allora mancavano. Allora ci fu una generazione – i bisnonni e i nonni di oggi – che si rimboccò le maniche, che mise il sacrificio e il lavoro (quando c’era) al primo posto nella scala dei valori. Ci fu un gruppo dirigente politico – di tutti i partiti – che aveva resistito al fascismo ed alla guerra – e aveva chiaro qual’era il percorso da compiere e seppe farlo nell’asprezza della realtà quotidiana.
Nella sventura, è l’ occasione da non perdere, non solo per rimettere in piedi il Paese, soprattutto per proiettarlo verso un rinnovamento delle sue strutture portanti, dal sistema produttivo a quello finanziario, dal sistema amministrativo a quello giudiziario, dal sistema delle protezioni sociali a quello scolastico e universitario, dalla ricerca alla sua applicazione nelle nuove tecnologie.
Nell’insieme, occorre dar vita a quella grande riforma di cui si parla da anni senza che mai un passo sia stato compiuto.
Si può fare, si deve fare, prendendo esempio e lena da ciò che i medici e il personale sanitario italiani stanno facendo in queste settimane, con dedizione sacrificio e rischio personale, per fronteggiare il virus che ha messo a terra l’intera nazione.
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