Questa settimana è la volta di Italo Calvino e del suo personaggio a me più simpatico: Cosimo Piovasco di Rondò.
“Fu il 15 Giugno del 1767 quando Cosimo decide di salire sugli alberi “per cercare vie diverse” rispetto a quelle indicate dal barone suo padre “la cui vita era dominata da pensieri stonati”: non pensava ad altro che a genealogie, successioni, rivalità e alleanze con potentati vicini e lontani.
Restando ad una distanza di sicurezza tale da avere una giusta visuale sul mondo e sugli uomini e preservando uno sguardo puro e “incontaminato” ma soprattutto libero, Cosimo riesce a cogliere il senso autentico della vita e i suoi veri valori.
Dall’elce su cui era salito ogni cosa era diversa, guardava “tutto, questo e quello” anche oltre il muro di cinta che separava la sua villa da quella dei vicini D’Ondariva verso cui il padre nutriva un astio inveterato. Oltre quel muro, invece, Cosimo scoprì un mondo meraviglioso, straordinariamente bello, con un giardino ricco di piante diverse, “una mescolanza di foreste delle Indie e delle Americhe… della Nuova Olanda, le cui foglie, mosse dal vento, lasciavano intravvedere un verdeggiare ora opaco, ora brillante. Dappertutto era un profumo inebriante”.
Cosimo esplorò con l’olfatto oltre che con lo sguardo quel mondo sorprendentemente affascinante e si rammaricò che quel muro lo avesse privato per tanto tempo di uno spettacolo così affascinante oltre che dell’amicizia dei D’Ondariva, persone gentili e ospitali, capaci di accoglierlo benevolmente e di offrirgli, se avesse gradito, una tazza di cioccolata. Da lontano, poi, dall’altezza degli alberi poteva sempre ammirare in quel giardino un fiore bianco di Magnolia e il volteggiare di un aquilone.
Col tempo Cosimo scoprì la bellezza della diversità della natura, “di quell’universo di linfa entro il quale noi tutti viviamo senza accorgercene, un mondo straordinario fatto di pini, di roveri, di castagni i cui rami costruivano perennemente “ponti naturali”, capaci di segnare itinerari infiniti, mentre il mondo degli uomini, quello di sotto, “s’appiattiva” monotono.
Cosimo guardava estasiato quell’universo arboreo in cui era immerso ma mai pensò di sfuggire gli uomini: era un solitario a cui stava a cuore la gente, né ritenne mai di allontanarsi dalla sua famiglia. Continuò ad essere il fratello e il figlio di sempre solo che al di là delle convenienze dettate dal suo nobile casato non disdegnò di intrecciare rapporti con i contadini, coloni del padre, anzi con loro collaborava costantemente per i lavori nei campi. Fece presto a comprendere, difatti, che diventare uomini “significa non separare mai la propria sorte da quella degli altri”, capì l’importanza e il valore delle leggi, dell’uguaglianza, della giustizia.
Poichè le foreste erano spesso devastate da incendi dolosi, comprese che unirsi in una specie di milizia di guardia era vantaggioso, così Cosimo “scoprì una sua attitudine ad associare le persone e a mettersi alla loro testa: attitudine di cui, per sua fortuna, non fu mai portato ad abusare e la mise in opera pochissime volte in vita sua”.
“Capì questo: che le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada)”
“Tu sai”, disse poco prima di morire il padre quando ormai aveva compreso che il destino di Cosimo sarebbe stato sempre sugli alberi, “che potresti comandare alla nobiltà vassalla col titolo di duca?”
“So”, rispose, “che quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; questo è comandare”.
In merito al titolo di duca, Cosimo aggiunse: “Cercherò di essere più degno che posso del nome di uomo e lo sarò così d’ogni attributo.”
Cosimo è vissuto grazie alla fantasia del suo autore che non volle farlo morire ma lo immaginò rapito da una Mongolfiera perchè la sua essenza e il suo insegnamento restasse nell’aria per sempre di monito per tutti. È un vero peccato che oggi gli uomini non sappiano più percepirlo e farlo proprio.
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