“OMNIS MUNDI CREATURA
QUASI LIBER ET PICTURA
NOBIS EST IN SPECULUM”
Questi versi sono una citazione di Umberto Eco ne “Il nome della rosa” tratti da un testo medievale di Alano di Lilla che si conclude così:
“LUGE POENAM, CULPAM PLANGE
MOTUS FRENA, FASTUM FRANGE
PONE SUPERCILIA!”
Ovvero :
“Tutte le creature del mondo sono come un libro o un dipinto;uno specchio per noi.
Piangi la tua pena, deplora le tue colpe, frena le passioni, spezza l’alterigia, rinuncia all’orgoglio“.
La recente morte di Sean Connery, un grande interprete di Guglielmo di Baskerville, mi ha portato a rileggere i passi più significativi dell’opera di U. Eco “Il nome della rosa“. Ancora una volta ne sono rimasta affascinata: mai opera è da ritenersi più adatta ad una riflessione sui nostri tempi miserevoli come mai avremmo potuto immaginare di vivere.
Nel suo capolavoro Eco ci parla della pericolosità del pensiero unico e ancor di più di chi se ne fa portavoce. Ci invita a riflettere che la vita è una pluralità di segni da studiare, da comprendere e interpretare e che il suo fascino sta proprio nella molteplicità di questi segni che si richiamano con rimandi continui e interscambiabili che riportano, poi, ad una superiore unità, destinata a sua volta ad essere reinterpretata e rimodellata alla luce di nuovi segni e di nuovi indizi.
L’opera in altri termini è la condanna di ogni cristallizzazione di pensiero, di ogni atteggiamento intransigente e fondamentalista, poliziesco e inquisitorio di cui si fa portavoce il domenicano Guy, destinato a morire vittima della sua intollerante intolleranza, come del resto, anche Jorge, custode della biblioteca dell’Abbazia, cieco perché metaforicamente incapace di leggere con mente libera e vittima egli stesso della SUA verità.
C’è un passaggio notevole a conclusione del romanzo: “TEMI ADSO I PROFETI E COLORO DISPOSTI A MORIRE PER LA VERITÀ, CHÈ DI SOLITO FAN MORIRE MOLTISSIMI CON LORO, SPESSO PRIMA DI LORO, TALVOLTA AL POSTO LORO” .
“Jorge temeva il secondo libro della commedia di Aristotele perché esso insegnava davvero a deformare il volto di ogni verità, affinché non diventassimo schiavi dei nostri fantasmi. Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, far ridere la verità perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana della verità“.
E allora, se la letteratura non da pane per la nostra pancia sicuramente da slanci per la nostra mente invitandola a riflettere. Eco nella sua opera ci chiede di diffidare di chiunque pensi di essere depositario di certezze, di teoremi inoppugnabili che sono, in realtà, solo opinioni, doxa come direbbe Parmenide e come tali soggette a critica e proprio in quanto opinioni opinabili sempre e comunque. Nessuno può ritenere di essere un Creonte. È il cogito ergo sum che ci indica la strada ricordandoci chi siamo.
Oggi, nei giorni dell’eccidio di Nizza e poi di Vienna, della decapitazione di un giovane docente, le riflessioni di Eco appaiono estremamente attuali, quasi profetiche.
Chissà se i nostri politici riusciranno a raccoglierne la lezione e ogni uomo a comprendere che dietro un IO /gigante si nasconde una fragilità culturale esageratamente indecente. Chissà se si comprenderà la lezione di Guglielmo di Baskerville: “L’ordine che la nostra mente immagina è come una rete o una scala che si costruisce per raggiungere qualcosa. Ma dopo si deve gettare la scala perché si scopre che, se pure serviva, era priva di senso“.
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