Ritengo che la cosa più preoccupante dello stato di degrado dei nostri costumi stia nel fatto che nessuno ormai mena più scandalo per niente. Si accetta tutto, senza protestare (come, invece, avviene altrove). Senza alcuna volontà di cadere nella trappola del “laudator temporis acti”, mi sembra di poter dire che, più di qualche decennio fa, le cose andavano, almeno un po’, diversamente. E non soltanto in campo politico o sindacale.
Per esempio, avrebbe certamente ingenerato un serio sconcerto per un credente di fede cattolica già apprendere che in Vaticano si fosse avvertito il bisogno di costituire un’Autorità incaricata di vigilare sul riciclaggio di denaro sporco e su movimenti di denaro sospetti, effettuati dall’Istituto per le Opere di Religione (IOR). E le ragioni del disorientamento anche un quidam de populo avrebbe saputo spiegarsele. Sapere, infatti, che l’obolo di San Pietro, le offerte destinate dai fedeli a opere di carità, il denaro per il sostentamento dell’apparato amministrativo della Chiesa transitassero sugli stessi flussi finanziari utilizzati per operazioni con moneta “nera”, avrebbe certamente ingenerato qualche dubbio sull’opportunità di occuparsi, con gli stessi strumenti della finanza laica, della gestione di un patrimonio mobiliare e immobiliare immenso, quale è quello della Chiesa cattolica. E ciò non tanto e non solo perché ogni ricchezza straripante diventa di per sé oltraggiosa in una situazione di dilagante povertà degli esseri umani, abitanti del Pianeta, quanto e soprattutto perché aggiungere all’elenco degli incalliti riciclatori delle fortune accumulate dalla malavita organizzata, anche i dirigenti di strutture finanziarie con l’abito sacerdotale non sarebbe apparso coerente con la missione di una struttura statutariamente destinata a perseguire esclusivamente finalità religiose.
I tempi, però, sono cambiati (e, purtroppo, decisamente in peggio) e anche il Pontefice si è sentito costretto a costituire un’Autorità antiriciclaggio (AIF) per le operazioni finanziarie di un Istituto per Opere di Religione. E’ vero che tale intervento è attribuito, secondo l’articolista de “Il Messaggero” di Roma, a una sorda lotta tra la Banca Vaticana e la Segreteria di Stato, sorta relativamente a un immobile di enorme valore sito nel centro di Londra, ma pur dando per buono l’intento moralizzatore, la notizia non cessa di essere “sorprendente”.
Qualche tempo dopo, abbiamo appreso ancora dai mass media (sempre cauti e conformisti perché ritenuti dipendenti dal potere finanziario, in cui è incluso lo IOR) che un alto prelato, tanto stimato dall’entourage del Pontefice (da avere avuto, unico o tra pochi, l’autorizzazione a risiedere a Santa Marta, la residenza scelta dallo stesso Papa e per tutti off limits) sarebbe caduto in peccato (non veniale, si è precisato in ambienti ecclesiastici) e divenuto, a un tempo, non solo postulante bisognoso di quel perdono che, nella religione cattolica, pur se ordinariamente non si nega a nessuno, fa sempre un certo effetto a sentirne parlare, ma destinatario di un provvedimento giudiziario di una certa rilevanza.
A un tale quadro di sospetto, palese e dichiarato (come dicevano i latini per facta concludentia) s’è aggiunto, ancora qualche giorno dopo, un evento ancora più grave: il direttore dell’Autorità, insieme ad altri membri del direttivo, è finito anche lui, con l’intera istituzione di controllo, sotto indagine giudiziaria. “Quis custodiet ipsos custodies?” si sono chiesti, naturalmente, i credenti. Quelli più fanatizzati dalla fede, pur vedendo nell’intervento dell’attuale Pontefice, un evidente segnale di “moralizzazione”, qualche altra domanda se la sono posta.
Prendendo a prestito l’immagine proprio di un santo della Chiesa, “Agostino”, quella del bambino che voleva svuotare il mare con un cucchiaino, si sono chiesti se l’impresa del Papa, pur Vicario di Dio, non sia di quelle destinate a un sicuro insuccesso. Gli avversari di Papa Francesco (e sono tanti nella Curia Romana) dicono che quello dell’attuale Pontefice sia soltanto un grande bisogno di consenso mediatico per ottenere una popolarità senza limiti, destinato a procurargli soltanto cocenti delusioni.
Essi ricordano che sin da uno dei suoi primi interventi pubblici (“Chi sono io per “giudicare” un gay?”) il Papa non ha mancato di scandalizzare i fedeli benpensanti, codini e bigotti, ma non ha soddisfatto neppure i laici di un certo livello di conoscenza scientifica e cultura. Nella sua visione della vita sessuale, necessariamente fobica, ritenuta da uomini di scienza superata dai tempi (e comunque non accettata dagli omosessuali), il Papa non poteva andare oltre. Il fatto che oggi la scienza ha dimostrato, con sufficiente chiarezza, che la bisessualità è del tutto connaturata, sul piano fisico, alla stragrande preponderanza degli esseri viventi (umani e animali) e che la preferenza, temporanea o permanente, per l’uno o per l’altro sesso dipende da fattori psicologici, emotivi, spesso del tutto occasionali può essere espresso e illustrato nella produzione cinematografica e televisiva (soprattutto seriale) della “libera” mentalità anglosassone, ma avrebbe suonato bene nella bocca del massimo rappresentante della Cristianità.
I credenti dicono di ascoltare (o di credere nei preti che lo affermano) le voci della Natura o di Dio, ma gli altri non sentono pronunciare anatemi contro ogni forma di coito per cui non vi sia stata la benedizione divina e manchi la sua finalizzazione esclusiva alla procreazione.
Il Pontefice, dicendo, di non poter giudicare un gay ha potuto solo significare la sua predisposizione al perdono, ma ciò non era (e non è) quello che ritenevano (e ritengono) indispensabile scienziati e omosessuali. Secondo i critici di Francesco, neppure le aperture ai conviventi, ai divorziati, agli anticoncezionali (dopo venti secoli di “crescete e moltiplicatevi” e il mondo alla soglia attuale di sovraffollamento) sono serviti a conquistargli il favore di gente di cultura laica, quella ispirata ai principi del diritto romano che volevano libera matrimonia antiquitus placuit e alle usanze e ai costumi di individui refrattari ai pregiudizi, ai preconcetti, alle verità rivelate da Divinità o da Maestri del Pensiero Teologico.
Ovviamente, chi ragiona con la propria testa, dopo averla liberata da tutte le fantasie che gli sono state imposte (come solitamente avviene) nell’infanzia, non crede neppure alle cosiddette profezie dei vari Nostradamus e similari sui Papi neri o falsi, sulla fine imminente della Chiesa cattolica e sull’avvento dell’Islamismo come nuovo “sole dell’avvenire” per i “buonisti” di ogni categoria, religiosa o politica. Egli sa, in definitiva, che solo il trionfo della ragione, della logica, della capacità di ragionare, di distinguere, di scegliere il meglio per la sopravvivenza propria e altrui, potrà salvare il mondo dall’autodistruzione; che non dipenderà tanto dal riscaldamento del Pianeta o dal buco nell’ozono nè da altri fattori climatici spaventosi (come pure avvenne per i dinosauri, viventi in una Terra senza fabbriche e ciminiere) ma dalla imbecillità dilagante e crescente degli esseri umani che è di per sé capace di provocare ben altri cataclismi.
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