Nel suo recente intervento al senato Matteo Renzi ha riproposto un vecchio problema che si trascina irrisolto in Italia da più di 70 anni: quali sono gli elementi oggettivi, le caratteristiche, i principi giuridici da usare per identificare un partito politico?
Agli albori della Repubblica italiana le idee in proposito erano piuttosto confuse, ci fu persino chi fondò il “partito della bistecca” che presentò una propria lista alle elezioni politiche con un contrassegno in cui era effigiato un vitellino circondato dalla scritta “la vita è una vitella”, che avrebbe dovuto dire tutto sul programma quanto meno strano della compagnia.
L’art. 89 della Costituzione ha stabilito che “tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” non esiste però nella nostra ormai sterminata legislazione una sola norma che definisca i caratteri propri delle associazioni che costituiscono un partito e la loro differenza con tutte le altre associazioni, che pure possono avere una finalità di interesse pubblico, come ad esempio le associazioni ambientaliste, quelle di volontariato nelle sue mille modalità e così via di seguito.
Perchè sia mancata e manchi ancora una legge sui partiti politici è molto semplice: da una parte gli ultra liberali hanno ritenuto e ritengono che la forma partito possa divenire una camicia di forza che in qualche modo limiti i diritti di libertà, dall’altro chi fedele al modello del partito dei quadri fatto di aree riservate e di altrettanta riservatezza sulla sua organizzazione per le sue finalità rivoluzionarie anche quando non si tratta più di fare la rivoluzione. Partito politico è divenuto così un recipiente vuoto, senza indicazioni in etichetta, capace di avere i più diversi contenuti. In questo clima di assoluta incertezza normativa si inseriscono antichi e nuovi tentativi della magistratura che svolgendo l’indagine può essere motivata a ricercare se il gruppo associativo che si trova di fronte è un partito politico o una associazione di altro tipo, al fine di applicare le norme sul diritto di finanziamento dei partiti politici. Il risultato finale è paradossale, indirettamente e malgrado ogni loro volontà possono finire in tal modo per essere loro stessi ad individuare quali siano gli strumenti per l’esercizio di libertà dei cittadini. E’ un paradosso ma è ciò che avviene ancora oggi e che, nel caso di Renzi, ha dato spazio a molte polemiche.
La questione che sembrava superato dalla nascita e dallo sviluppo dei movimenti politici, diversi dai partiti in quanto fatti di consenso convogliato e non strutturato si sta riproponendo oggi che le distanze movimentistiche si vanno affievolendo soprattutto perchè dimostratesi (come era naturale data la loro fluidità) non in grado di garantire la governabilità del paese. Riappaiono i partiti all’orizzonte e Renzi ne prende atto, ne fonda uno e si appella ai padri nobili della prima Repubblica, da Moro a Craxi, ben sapendo che nel DNA degli italiani si trova ormai consolidato quello democristiano con qualche venatura socialista.
Renzi pensa la sua carta e quasi simmetrico è il ritorno in campo delle accuse che negli anni novanta segnarono la fine della prima Repubblica: tutti i politici sono corrotti, i magistrati li mettono tutti in galera… e via di seguito. E’ probabile che tra venti anni, come sta avvenendo in questi giorni per Craxi, si comprenderà forse l’errore di chi lotta al di fuori del sistema per abbatterlo.
E’ un gioco pericoloso, molto pericoloso, la fine della seconda repubblica potrebbe essere molto più drammatica di quella della prima. No, l’intervento di Renzi al Senato, al di la di quanto vero o falso abbia affermato, non è per nulla rassicurante.
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