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(Ri)Pensiamo un mondo più giusto ed un grado di libertà più alto e consapevole

Che il sistema economico, i suoi equilibri sociali e la sostenibilità ambientale dell’agire umano, fossero sull’orlo di dichiarare il collasso non c’è bisogno di aspettare il giudizio degli storici per averne conferma. Tutti i numeri a disposizione lo annunciavano da anni e solo chi è divenuto talmente miope (come tutti gli amministratori di questo sistema che si autodefiniscono politici) da non vedere oltre la punta del loro naso poteva continuare a negarlo. Ignorare i dati di realtà non aiuta e ignorare il crollo di un sistema, l’inizio di una nuova fase (volenti o nolenti) è ancor più rischioso.

Io non ho elementi per affermare che questo virus sia una costruzione artificiale messa a punto sul piano militare per fare un attacco biologico, oppure sia un tentativo di costruire un virus utile contro l’AIDS sfuggito casualmente da un laboratorio mal gestito, oppure che sia un virus frutto di un incrocio naturale tra quelli umani e quelli di specie animali selvatiche. Dal punto di vista storico, forse, un giorno avremo una risposta ma, alla fine, poco importerà.

Una pandemia che cambierà la storia dell’umanità

Quello che sarà veramente rilevante è il frutto di una pandemia che cambierà la storia dell’umanità, i rapporti tra aree geopolitiche, le forme delle istituzioni e la loro credibilità, che spingerà sull’acceleratore sui cambiamenti delle forme di produzione industriali, sul lavoro per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi, spingerà verso la modifica della forma delle merci e accelererà verso la centralità di un nuovo schema di valorizzazione del capitale con il passaggio ad una nuova fase della storia della accumulazione e della forma del potere. Certo, questo passaggio non sarà né istantaneo, né cancellerà totalmente le forme precedenti. La storia non funziona come gli interruttori della luce on/off. Ma i processi egemonici si rafforzano e si estendono e tutti gli elementi che ci fanno comprendere che una rottura si è generata sono sotto gli occhi di tutti.

In questi giorni, sul New York Times, si preannuncia il quadro dello scenario della ripresa. Le aziende che si salveranno dalla crisi e le nuove che nasceranno, aumenteranno a dismisura i livelli di automazione (non tanto lo smart working) inserendo nella struttura produttiva i primi livelli di tecnologia legata all’Intelligenza Artificiale. Siamo solo agli albori di un’accelerazione che investirà, stavolta, in larga misura le professioni amministrative, impiegatizie e le fasce dirigenziali. Tutti i lavori che si basano su schemi prestabiliti, su procedure, su flussi decisionali già ingegnerizzati e che prima della crisi ancora non erano stati oggetto d’intervento da parte delle ristrutturazioni, inizieranno a essere investiti da una trasformazione generalizzata, con la conseguenza di una riduzione dei livelli occupazionali.

Lo schema novecentesco, fatto di produzione crescente di merci materiali fino al limite della consunzione delle materie prime e dei cicli vitali del pianeta, di lavoro salariato legato a doppio filo a questa espansione, di una finanza che gioca almeno su due tavoli – quello del sostegno al ciclo della produzione delle merci materiali e quello della sua riproduzione immateriale – quello dell’accumulo di un debito crescente, da parte del ciclo della produzione materiale per funzionare e distribuire la ricchezza, quello del perenne aumento del debito pubblico globale, necessario a continuare a far funzionare la macchina produttiva e degli interessi necessari a coprire tale gioco, è arrivato alla fine.

C’è bisogno di ripensare il tutto e di farlo aumentando i livelli di umanità, di sostenibilità, di uguaglianza del nostro agire. Nell’avanzare una proposta di questo tono si troverebbero compagni di strada impensabili fino a ieri, invertendo la capacità egemonica della proposta delle destre che indica nel “rispristino” (del diritto al consumo, della “libertà” soggettiva agita “contro” l’altro da te, dei confini – statuali, fisici, culturali, psicologici -, dello sfruttamento dei popoli più deboli, di chi, cioè, non ha accumulato armi talmente potenti da poter determinare lo sterminio dell’umanità e gioca a fare dio con la costruzione in laboratorio di agenti patogeni in grado di sterminare popolazioni) che invece sta facendo conquiste nelle classi popolari spaventate dalla possibilità di non vedere un orizzonte altro se non quello del consumo crescente.

In altre parole, bisogna essere in grado di cambiare analisi e quindi strategie, inventando le forme della partecipazione e dell’organizzazione completamente nuove. Ora, infatti, il problema per chi ha lottato per la liberazione della vita delle persone dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo si pone in forme completamente diverse. Ma anche le opportunità sono di un grado di potenzialità diverse, più alte. 

Sta a noi costruire una stagione nuova e lasciarsi alle spalle, lasciandolo andare, tutto il vecchio che non ci aiuta più a conquistarci un mondo più giusto e un grado di libertà più alto e consapevole.

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Sergio Bellucci

Sergio Bellucci, giornalista e scrittore, dirigente politico e manager, ha scritto numerosi editoriali, articoli e saggi sui temi della comunicazione e della società dell'informazione. Membro del Comitato d'Onore dell'Osservatorio Internazionale sull'Audiovisivo e la Multimedialità (OIAM) della Fondazione Roberto Rossellini per l'Audiovisivo. È stato dipendente del gruppo Fininvest dal 1978 e fino al 1993, durante tale periodo ha svolto anche attività sindacale nella CGIL come membro della Segreteria Nazionale della FILIS. Dal 1995 al 2006 è stato responsabile nazionale della Comunicazione per il Partito della Rifondazione Comunista. Dal febbraio del 2013 è direttore del quotidiano Terra e nel 2014 è diventato Presidente della Free Hardware Foundation Nel libro E-work. Lavoro, rete e innovazione analizza l'impatto delle nuove tecnologie digitali sulla vita umana con una particolare attenzione al mondo del lavoro. Secondo le sue analisi, l'avvento del digitale comporterebbe una "nuova organizzazione scientifica del lavoro", definita "taylorismo digitale", attraverso un impiego distorto della rete. Nelle tesi di E-work si prospetta la nascita del "lavoro implicito", il lavoro effettuato obbligatoriamente, senza nessuna retribuzione e attraverso strumentazione a carico del lavoratore, che le piattaforme digitali stanno espandendo nel loro ciclo produttivo. Insieme a Marcello Cini ha scritto “Lo spettro del capitale. Per una critica dell'economia della conoscenza” analisi del cambiamento epocale del capitalismo avvenuto negli ultimi venti anni: il passaggio da un'economia materiale ad un'economia immateriale, che produce un bene intangibile e non mercificabile: la conoscenza.

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