Conosciamo molto dei danni fisici della pandemia, ma è bene interrogarsi anche su quelli mentali. Che si vedono meno, però sono ugualmente gravi e l’Oms ha già avvertito che il rischio per la salute mentale connesso al Covid continuerà a produrre danni che potranno protrarsi negli anni futuri.
Tre associazioni di psicoterapia (la Società Italiana di Psicoterapia – SIPSIC; la Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia – FIAP; il Coordinamento delle Scuole di Psicoterapia – CNSP che nel loro insieme rappresentano oltre 25 mila psicoterapeuti), hanno organizzato una conferenza – cui hanno aderito altre 50 associazioni di psicoterapia che rappresentano diversi orientamenti, oltre a Daniel Chisholm, rappresentante della Salute Mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Antonella Polimeni, Rettrice della Sapienza Università di Roma, docenti universitari e dirigenti di strutture assistenziali territoriali e ospedaliere ed altri esperti del settore – riuniti per proporre una risposta adeguata alla sofferenza mentale ed affettiva, che ha colpito duramente soprattutto i soggetti più deboli, quelli più esposti e quelli che soffrivano di precedenti criticità.
Abbiamo chiesto a Camillo Loriedo – Presidente della Società Italiana di Psicoterapia e Direttore Scientifico e Didattico Istituto Italiano di Psicoterapia Relazionale, nonché Founding President FIAP – di spiegarci meglio le coordinate di un fenomeno che si sta allargando a macchia d’olio.
Loriedo: Chi si ammala di Covid subisce danni, a volte anche molto seri, causati dalla diffusione a livello cerebrale della infezione virale, ma anche conseguenze psichiche di rilievo che riguardano tanto chi ne è colpito, quanto i suoi familiari. Ovviamente le conseguenze sono state particolarmente gravi per chi ha subito la perdita di una persona cara che non ha potuto salutare, vedere, assistere, consolare.
È preoccupante il fatto che quasi tutte queste sofferenze siano state curate soltanto nella loro dimensione fisica, e con un terapie farmacologiche, senza tener conto del danno psichico, certamente non meno grave, e destinato a durare nel tempo. A questa sofferenza che ha colpito soprattutto i soggetti più deboli e quelli che soffrivano di precedenti criticità, si è sovrapposta anche quella derivata degli effetti restrittivi adottati per contenere la pandemia.
Tra i fenomeni più frequenti vanno ricordati l’ansia, e la depressione, ma anche i disturbi del sonno e dell’alimentazione e tanti altri ancora di gravità maggiore, fino ad arrivare all’ideazione e ai comportamenti suicidari che non hanno risparmiato neanche il personale sanitario in prima linea.
Per dare una idea dei numeri che ci troviamo davanti: si riscontano in media aumenti percentuali del 16% nelle depressioni e del 28% dei disturbi d’ansia rispetto al 2019. Son dati ricavati dalle medie di quanto riscontrato da ricerche riportate dalla letteratura internazionale e dall’Istituto Superiore di Sanità.
Queste forme sintomatiche sono insorte già nei primi mesi dall’inizio della diffusione del virus, ma che per gran parte l’assenza di trattamento ha reso cronici. Così i problemi di insonnia sono cresciuti fino al 20%, mentre i disturbi alimentari sono aumentati fino a superare un incremento del 30%. Basta ricordare quello che è avvenuto al primo lockdown della primavera scorsa: tutti si sono impegnati a preparare torte, lasagne, penne rigate, ecc. e poi ci si è abituati a mangiare per combattere la noia, per poi finire in forme di vera e propria bulimia o alimentazione incontrollata. Un pericolo molto serio se si considera che già prima del Covid la bulimia aveva superato l’anoressia giungendo negli ultimi anni a triplicarne i numeri.
Lei sta parlando dei disturbi più frequenti e di quelli che sono affiorati fin dall’inizio. E poi?
Loriedo: Beh, ci sono i Disturbi Dissociativi, che hanno iniziato a diffondersi in tempi più recenti e che hanno un decorso più insidioso perché meno visibile, caratterizzato da una diminuita capacità di mettersi in contatto con il mondo circostante, a causa di una percezione alterata della realtà esterna ed interna. Poi l’introduzione dei provvedimenti restrittivi ha limitato la possibilità di muoversi, di socializzare, di avvicinarsi e di stabilire con gli altri la giusta distanza. Tutto questo ha prodotto una serie di problematiche riguardanti le relazioni. Secondo i dati dell’OMS, le tensioni familiari si sono incrementate fino a raggiungere un peggioramento del 21% dei rapporti con il coniuge e del 13% in quello con i figli. Il confinamento ha portato all’aumento delle separazioni coniugali, dei femminicidi (è cronaca quasi di tutti i giorni) e, in genere, della violenza intrafamiliare.
A proposito di socializzazione, lo smart working e l’istruzione a distanza portano conseguenze?
Loriedo: Certamente si. Abbiamo riscontrato una crescita addirittura del 50% di chi lamenta un aumento della fatica nell’ambito lavorativo. Adattarsi allo smart working non è così facile come sembra, e non è solo un problema di socializzazione. Lavorando con il computer non hai mai pause perché lo schermo è sempre di fronte a te e spesso non ti permette di aver la minima distrazione rispetto a quando sei in presenza. Per esempio, sono diminuiti i convenevoli, le battute con i colleghi, forse anche a causa della consapevolezza che il datore di lavoro può controllarti in ogni momento.
Per gli studenti, invece, il problema principale è la concentrazione. Più del 70% lamenta una difficoltà a concentrarsi. Non è facile seguire per 4-5 ore una lezione con il pc. E’ ormai accertato che l’attenzione all’inizio è forte, ma poi deve necessariamente scendere per poi tornare a risalire. Il monitor, invece richiede una attenzione stabile.
Nel vostro convegno avete parlato di “conflittualità, violenza, alterazione delle tappe del ciclo vitale, perdita di efficienza lavorativa, che hanno colpito gli operatori direttamente coinvolti nelle cure del Covid”.
Loriedo: Si, sono fenomeni che riguardano principalmente il personale sanitario. Noi lo chiamiamo burnout, è il disagio prodotto da un processo di stress che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano relazioni interpersonali a stretto contatto con la sofferenza. Molti di loro hanno anche subito condizioni depressive di grado variabile e anche aumento del rischio dei suicidi di cui spesso non si è venuti a conoscenza.
Lavorare senza interruzione, a volte tutti i giorni per un mese di seguito, senza avere il tempo nemmeno per i bisogni più elementari, porta ad un esaurimento emotivo importante, può far venire la voglia di arrendersi. Senza contare i medici e gli infermieri che sono stati decimati dal covid.
Poi per il personale sanitario, come per tutti coloro che sono stati vicini a chi è morto di covid, c’è il rischio di un disturbo da stress post traumatico che si manifesta con una ridotta capacità lavorativa, stanchezza emotiva, fisica e morale aggravata dall’invadenza di ricordi spiacevoli e intrusivi.
Ma allora se ci sono così tanti rischi, perché c’è gente che continua ad assembrarsi, a voler uscire a tutti i costi?
Loriedo: Per tanti motivi. Chi nega il pericolo, chi non lo nega apertamente, ma dentro se stesso cerca di cancellarlo, chi dice a se stesso “devo vivere ad ogni costo. Se va bene, bene, ma se deve succedere succeda, pazienza se mi ammalo”.
Cosa chiedete alle istituzioni?
Loriedo: Mettiamo in chiaro che la salute mentale è un diritto che prevede una serie di interventi, i cosiddetti Livelli Minimi di Assistenza (i LEA), sanciti per legge, ma che quasi mai vengono rispettati. Sarebbe un compito delle Regioni provvedere al loro rispetto, ma le croniche mancanze di fondi e di personale ne impediscono la realizzazione.
Si tratta di una giustificazione che non regge se consideriamo che la spesa per la salute mentale si è dimostrata ovunque un risparmio e un significativo investimento. Spendiamo per le conseguenze che derivano dalla salute mentale quasi il 4% del Pil, ma poiché solo il 15% della richiesta riceve risposte si tratta per lo più di una spesa non protettiva.
Al contrario, una assistenza corretta alla salute mentale si dimostra un buon investimento, in grado di ridurne i costi e le disparità. Inoltre, dobbiamo ricordare che in Italia abbiamo gli psicoterapeuti più formati di qualsiasi altro paese, grazie alla legge Ossicini del 1989, che prevede una formazione quadriennale controllata dal MIUR. Eppure, la psicoterapia sembra non avere alcun valore nelle strutture pubbliche. Non abbandonare a se stessi malattie come la depressione, o altri disturbi comportamentali, che se curati porterebbero ad un sensibile risparmio, deve essere considerato un investimento di primaria importanza per il paese.
Nel marzo scorso, come risposta all’improvviso impatto del Covid, alcuni interventi psicologici di supporto per la popolazione generale e per i sanitari sotto stress, come prima risposta immediata, sono stati gratuitamente messi in piedi da parte di società e associazioni scientifiche di psicoterapia, che si sono organizzate e hanno sostenuto le necessità di qualche migliaio di casi trattati. L’attenzione ora è rivolta verso le “ondate successive” e le loro conseguenze, con marcata preoccupazione anche per gli effetti secondari a livello psicosociale e di crisi economiche previste a distanza. Agire per tempo potrà fare la differenza.
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