Salvini ha 785.000 follower su Twitter, 2 milioni e 600 mila su Facebook, 292.000 su Instagram. Attività incessante. Per esempio, il 17 giugno: Salvini riesce a twittare alle 9.15 («Certa gente mi fa solo pena»), alle 12.01 («Aquarius approda in Spagna»), alle 12.22 («In diretta da Seregno»), alle 14.38 («Io non mollo»), alle 18.26 («Appuntamento a Pontida il primo luglio»), alle 18.27 («In diretta da Cinisello Balsamo»), alle 20.26 («La Germania ha perso? Peccato»), alle 21.02 (durante la trasmissione Non è l’Arena), alle 21.07 (sempre ospite di Massimo Giletti su La7), e poi ancora alle 21.08, alle 21.09, alle 21.10, alle 21.11, alle 21.13, alle 21.16 e alle 21.17. Alle 21.26 un altro tweet da Sondrio, poi alle 22.30 passa su Facebook e pubblica un post contro Matteo Renzi. Sempre da lì, alle 23.57, dà la «buonanotte» ai suoi follower. Poi tocca ai pizzoccheri: su Instagram, questa volta. In mezzo (e prima e dopo), decine di scontri social con i suoi avversari [Abate, Cds].
«I croati sono 5 milioni, quanto i toscani, la metà dei lombardi, si sentono più mitteleuropei che slavi, hanno inventato la cravatta e le cinque giornate di Milano. Erano loro la guardia austriaca di Radetzky che provocava fumando sigari in faccia ai milanesi nei giorni dello sciopero del fumo. Sono sempre stati sul confine della storia, i croati, ma adesso hanno qualcosa di più, hanno il miglior centrocampo del mondo, Rakitic-Brozovic-Modric. Insieme fanno una differenza che può difenderli dalla vecchia indolenza che arriverà a ondate. Non c’è stata l’Argentina, non c’è stato Messi, non c’è stato un progetto di calcio. L’Argentina di Sampaoli, per essere diversa, non riesce ad avere un’idea, ha scelto di non averne nessuna. Non ha un ruolo reale Messi. Dovrebbe partire a una trentina di metri dalla porta per cercare lo scambio con uno dei fantasisti e poi finire nel tiro. Ma finisce per fare lui la sponda di tutti. Così arretra di altri dieci metri, cercando di diventare quello che non sarà mai, un centrocampista. Forse è esausto, forse è stanco anche di rappresentare una Nazionale che non si forma mai, di sicuro è un equivoco straordinario, un fascio di nervi soffocato dall’abitudine a gestirli, un fuoriclasse inutile» [Sconcerti, CdS]
Gli argentini «una banda di malcapitati e malmessi in campo» [Mura, Rep].
Tra i piatti preferiti di Giuseppe Verdi, di nuovo assaggiabili venerdì 13 luglio nel castello di San Pietro in Cerro (manifestazione Verdi tra le stelle): i malfatti, sorta di gnocchi con spinaci, la “torta fritta” con gli affettati, la bomba di riso con piccione e i pisarei, gnocchetti conditi con fagioli e pomodoro. Come dessert, sbrisolona o ciambelle al forno, accompagnate da zabaione al passito o al Marsala. Lo chef Henri-Paul Pellaprat gli dedicò un risotto con asparagi, funghi e prosciutto. E andava pazzo anche per salumi e insaccati come la “spalletta” di maiale, da consumare bollita, che proponeva spesso ai suoi ospiti e che arrivò persino a spedire all’editore Giulio Ricordi a Milano. Giuseppina Strepponi, alla vigilia di un viaggio a Pietroburgo, scriveva al segretario di Adelaide Ristori: «Ci vorranno i tagliatelli e i maccheroni ben perfetti per rendere Verdi di buon umore in mezzo al ghiaccio e alle pelliccerie» e ammoniva: «Se la Ristori credesse soperchiare, predominare colle tagliatelle, Verdi conta eclissarla col risotto che per verità sa fare divinamente». D’altronde è lo stesso Verdi a chiarirlo, in una lettera a Ricordi: «Poesia, idealismo, tutto va bene… ma non si può far a meno di mangiare!» [Gaetani, Rep].
Finita l’esecuzione, a Torino, della sinfonia de I Vespi siciliani, Riccardo Muti s’è girato verso il pubblico in delirio e ha detto: «Non faremo nessun bis». La sala ha mormorato e Muti ha aggiunto: «Signori, voi volete il prosciutto, il salame e il formaggio. Eh no, non si può avere tutto» [Andruetto, Rep].
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