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Scelte politiche per l’emergenza

La distribuzione dei decessi per età elaborata dall’Istituto Superiore di Sanità dà delle informazioni molto chiare che proverò a sintetizzare in modo brutale: la epidemia da coronavirus COVID-19 è un fenomeno drammatico per la popolazione con più di 80 anni, abbastanza critico per quella tra i 60 e gli 80 e poco critico per quella al di sotto dei 60 anni.

Al 20 marzo, infatti, sono stati rilevati 1.607 decessi con coronavirus di persone con 80 anni e più, pari al 50% del totale e con un tasso “grezzo” di letalità pari al 21,2% (più di uno su cinque di coloro che erano stati riscontrati positivi a quel momento erano morti, considerando i giorni di decorso tale tasso “grezzo” è una sottostima di quello effettivo). I decessi di persone tra 60 e 79 anni sono 1.463, pari al 46,0% del totale e con un tasso “grezzo” di letalità del 9,3%; i decessi di persone con età compresa tra 40 e 59 sono 120, pari al 4% del totale e con una letalità “grezza” dello 0,9%; risultavano infine decedute solo 9 persone con meno di 40 anni  con un tasso di letalità grezzo dello 0,3%.

Decessi Coronavirus per 100.000 residenti

Riportando tali dati alla popolazione residente si ottiene che, sempre al 20 marzo, il coronavirus covid- d19 si è associato alla morte di 37,1 persone ogni 100.000 residenti oltre 80 anni (1.607 su 4.330.074, questo rapporto scende a 11,0/100.000 per i 60-79enni, a 0,6/100.000 per i 40-69enni e allo 0,04/100.000 per gli under 40 (vedi grafico).

Da questi dati, a me pare, derivi una considerazione che scandalizzerà molti: bisogna rapidamente cominciare a prepararsi a passare da politiche “passive” di restringimento generalizzato della mobilità per 60 milioni di persone, che se prolungate a lungo hanno un costo economico e sociale elevatissimo, a politiche “attive” di protezione dal contagio dei 5 milioni di persone veramente a rischio (ultraottantenni e altri affetti da particolari patologie). Sono questi ultimi, infatti, che – se contagiati – corrono elevati rischi di morte e richiedono quasi certamente cure ospedaliere che sono disponibili in quantità limitate.

Le “politiche attive” di protezione dal contagio sono, ad esempio, la messa in sicurezza delle case di riposo e delle RSA; lo screening e l’assistenza professionalizzata degli anziani soli, il supporto alle famiglie che ospitano anziani. Sono certamente interventi costosi e che necessitano di notevole sforzo organizzativo; ma ritengo che – nel medio periodo- il loro “costo” sia  inferiore a quello di un blocco generalizzato e prolungato delle attività economiche (il quale peraltro richiede anche esso uno sforzo organizzativo immenso).

Non credo (e anche questo potrebbe scandalizzare) che possiamo assumere come modello ciò che si è fatto a  Wuhan e nella regione dello Hubei. In primo luogo perché lì il blocco totale delle attività è stato attivato quando i contagi erano poche centinaia e non decine di migliaia come da noi; in secondo luogo perché tale blocco è stato effettuato per una regione di 60 milioni di abitanti utilizzando le risorse economiche e organizzative provenienti dal resto di un paese che di abitanti ne contava venti volte tanti (1,3 miliardi). Non mi pare che noi siamo in queste condizioni, si può bloccare per due mesi una provincia non l’intero paese.

Non sto sostenendo che nel brevissimo periodo non sia necessario inasprire le misure di limitazione in Lombardia e dove altro sarà necessario, sto sostenendo che questo non sarà sufficiente né sostenibile a lungo, quindi bisogna cercare altre strade e attivarle in modo da superare il blocco più rapidamente possibile.

Comprendo le ragioni che hanno portato a distribuire “a pioggia” il primo intervento economico (ogni gruppo sociale e categoria doveva percepire di essere considerata) ma è arrivato il momento di darsi delle priorità (questo dovrebbe essere il compito della politica) concentrando le risorse (economiche e organizzative) dove producono il maggior effetto a livello di sistema . Certo ci vorrebbero forze politiche, al governo e all’opposizione, consapevoli che non è il momento della propaganda elettorale e ci vorrebbero istituzioni, nazionali e regionali, capaci di collaborare e non di polemizzare.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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