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Scuola 2.0 progresso e regresso di un Paese occidentale

Da ormai oltre un mese le scuole di ogni ordine e grado sono chiuse e da quell’indimenticabile 5 marzo 2020, che sembra già essere lontano un secolo, seguo con grande interesse le dichiarazioni e gli interventi a mezzo stampa del Ministro Azzolina a proposito del presente e futuro della didattica.

Sono una giornalista, mamma di due bambine in piena età scolare, e una rappresentante di classe. Devo ammettere che l’essere giornalista in questo preciso frangente è solo un’opportunità, mentre le vere referenze sono l’essere madre e rappresentante di classe. La situazione di emergenza legata alla diffusione del Covid-19, per definizione imprevedibile, ha richiesto soluzioni immediate alla sospensione delle attività scolastiche. Soluzioni che forse dai tavoli del Ministero, potranno sembrare sicuramente ideali per il proseguimento del programma ministeriale, ma che invece nella vita pratica di tutti i giorni possono diventare un vero inferno nonostante le vari parti in causa, genitori, figli e insegnanti, stiano cercando a fatica di far quadrare il cerchio.

I primi problemi riguardano sicuramente, almeno nel centro Italia, la mancanza di supporti tecnologici idonei a seguire la didattica online in alcune case. Volendo pure supporre che con uno smartphone si possa tranquillamente accedere alla didattica online, cosa veramente macchinosa e complessa, ci si scontra poi con una problematica ancora più seria: le piattaforme gratuite da utilizzare per “lasciare traccia del lavoro svolto”. Un’odissea assurda per capirne il funzionamento, ma molti ancora faticano o brancolano nel buio, per trarre la precisa conclusione che i mezzi gratuitamente messi a disposizione sono decisamente limitati e inadatti alla causa.

I problemi di varia natura con cui quotidianamente noi mamme, oltre che gli insegnanti, ci scontriamo sembrano un muro di gomma contro il quale nulla è possibile, anche se poi alla fine per il bene di tutti si trovano dei compromessi. Se la gestione delle lezioni live, che diventano in alcuni momenti una conferenza incentrata sulla lettura del labiale o sulla visione di uno schermo nero, vi sembra difficile provate a stimolare all’apprendimento un bambino della primaria che si trova a copiare pagine e pagine di italiano, matematica, storia e geografia da uno schermo senza il calore del rapporto umano e dell’interazione con l’insegnante che spiega e lo guida alla scoperta della materia. Da un giorno all’altro questi ragazzi sono stati privati delle loro abitudini, dei loro punti di riferimento, dei rapporti sociali con i coetanei, delle esperienze e degli stimoli che l’ambiente scolastico garantisce.

Circa una decina di giorni fa ancora dai microfoni delle conferenze stampa si parlava di “valutazione e controllo dell’andamento della didattica”, la valutazione credo si faccia sul campo, in particolare ora che si sta addirittura pensando alla possibilità che a settembre i ragazzi non siano nella condizione di tornare tra i banchi. I genitori si misurano ogni giorno con le necessità del figlio di essere seguito nelle attività e quelle del datore di lavoro di ricevere risultati lavorativi attraverso lo smart working, a volte contemporaneamente e ancora peggio c’è chi rientrando dal lavoro in campagna deve poi affrontare ore di studio e compiti tra le mura domestiche dilatando all’infinito il tempo di una giornata.

Queste sono le storie di persone comuni, che più o meno hanno un grado di istruzione che consente loro di riuscire a stare al passo, ma poi ci sono le storie dei ragazzi che magari hanno delle difficoltà di apprendimento che in questo periodo, per quanto seguiti dagli insegnanti di sostegno, vivono con maggiore stress la situazione; ci sono le storie delle famiglie straniere che non parlano bene la lingua e con cui è più difficile comunicare; ci sono le storie delle famiglie disagiate in cui non è presente una cultura sufficiente ad affiancare i figli nello studio.

Per anni la scuola è stata concepita in modo tradizionale, senza particolari investimenti su attività didattiche di nuova generazione, nonostante il progresso si stesse già affermando e imponesse altre strategie di interazione o l’utilizzo di nuove tecnologie. Ci sono comuni in Italia, non pochi, in cui ancora è lontano il concetto di fibra ottica e la connessione è precaria e già solo questo non rende agile il raggiungimento di un risultato soddisfacente. Tutto quello che si è fatto fino ad oggi è stato mettere online un metodo di apprendimento tradizionale, non adatto alle connessioni tecnologiche, e forse nemmeno più alle attuali generazioni. Per non parlare della insufficiente formazione degli insegnanti in tal senso, che oggi si trovano a dover gestire una situazione difficile e pesante sotto vari punti di vista.

Tutto questo non si evince certo dalle conferenze stampa del Ministro, in cui schiere di giornalisti fanno domande di cui sappiamo tutti la risposta da giorni. Credo non sia necessario ricordare alle istituzioni che oggi parlano alla Nazione con sguardo fiero che nelle scuole, spero non tutte, fino al 4 marzo scorso erano i genitori a dover comprare la carta igienica, i saponi e gli asciugamani usa e getta oltre a contribuire volontariamente ad alcune spese. Credo che se nella valutazione che vi apprestate a fare metterete in conto tutto questo la prossima estate avrete molto su cui lavorare…

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Veronica Ruggiero

Giornalista, collaboratrice presso il Gruppo Corriere.

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