Nel recente passato “la morte in diretta” fu la frase ad effetto per descrivere i tempi nuovi della informazione che – grazie alle innovazioni tecnologiche – era ormai in grado di raccontarti la cronaca in tempi super ravvicinati.
Il giornalista rimaneva il mediatore ma doveva imparare a condurre trasmissioni sempre più improvvisate, tanto era rapido l’arrivo dei contributi filmati che comunque provenivano dal collega che in loco aveva coperto l’evento, oppure da immagini scaricate direttamente dalla rete ma filtrate e “dotate di senso” dalla redazione del programma.
Ricordo i servizi di Paolo Frajese in occasione prima del rapimento e poi della uccisione di Aldo Moro: due contributi esemplari che raccontavano, attraverso i suoi occhi, più che l’orrore lo stupore per quello che, via via, vedeva. Due servizi che fanno parte ormai della didattica di ogni scuola di giornalismo.
E ci fu anche Alfredino caduto nel pozzo. Una interminabile diretta (24h su 24) sfuggita di mano alla informazione Rai, dove -alla presenza attonita dei genitori- improvvisati ed esibizionistici salvatori proponevano le più strampalate ipotesi di soccorso, comunicando un senso di impotenza e di depressione all’intero Paese. Tragedia a cui, improvvidamente, si fece partecipare lo stesso Presidente della Repubblica.
Credo che la necessità di una Protezione Civile professionale sia nata quel giorno, figlia di quella sensazione di incapacità e di inadeguatezza.
A tutto ciò pensavo l’altro giorno assistendo alla partita tra Danimarca e Finlandia. Quanto è cambiata la situazione. Vedi “morire” il giocatore prima ancora se ne accorga l’arbitro. E la prima preoccupazione della squadra è fare scudo con il proprio corpo perché il corpo floscio e tragicamente ridicolo del loro compagno non sia oggetto di morbosa attenzione e infiniti commenti sui social.
Ma dopo si è verificata la reazione che non ti saresti aspettato: Mentana nel suo telegiornale organizza un ampio servizio ma – pur sapendo a quell’ora del fausto esito della vicenda – programmaticamente non mette in onda neanche un fotogramma del dramma andato in scena sul prato dello stadio.
Mi era capitato di peggio: assistere a quello che appariva non solo l’incendio di una monoposto di Formula Uno ma il rogo del suo pilota. Istanti infiniti e orribili, finché da quella palla di fuoco usciva miracolosamente indenne e fumante il guidatore.
Tuttavia mentre il gioco del calcio non pretende rischi esagerati, per le corse automobilistiche il pericolo è non solo un aspetto fisiologico ma quasi necessario per il fascino della competizione.
Certamente questi sono casi limite, dovuti al fatto che avvengono durante una “diretta” e sono quindi incensurabili. Ma ormai qualunque circostanza – anche quella più innocente e priva di aspettative – viene ripresa da decine di telefonini, spesso inconsapevoli e involontari.
Non c’è caso di cronaca rosa, nera o politica che non abbia automatico riscontro e racconto in qualche video immediatamente postato in rete: che sia lo schiaffo a Macron, la caduta della teleferica al Mottarone, le scazzottate tra annoiati figli della “buona” borghesia, le rapine, i regolamenti di conti malavitosi, gli stupri di gruppo (che, anzi, vengono organizzati appositamente per le riprese).
Tanto è vero che la magistratura inquirente ormai procede alle indagini solo sulla base di immagini di telecamere fisse, di telefonini curiosi e pronti di riflessi oltre alle solite intercettazioni telefoniche.
Non devi più cercare faticosamente i testimoni, essi si fanno vivi in un nanosecondo.
È sempre stata ambizione dell’uomo conoscere tutto ciò che avviene intorno a lui, per motivi di sicurezza e per curiosità intellettuale. Ma mai come oggi, “vedere” non significa affatto “capire”.
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