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Sondaggi elettorali e rilevazioni dell’audience Tv

Cosa sta succedendo in America a politologhi, sondaggisti elettorali, ricercatori sociali, e analisti politici? Ultimamente sembra che non azzecchino una previsione elettorale. In un recente editoriale su “Wall Street Journal”, l’ex segretario di Stato americano Jim Baker (sotto il presidente George H.W. Bush) ha scritto che non ricorda elezioni presidenziali in cui i sondaggisti abbiano sbagliato cosí tante previsioni quanto in questi ultimi quattro anni.

Ora ci si chiede se le rilevazioni dell’audience dei programmi televisivi possano essere anch’esse inaccurate o viceversa se possano aiutare i sondaggi elettorali ad essere piú accurati.

La principale differenza tra le rilevazioni dell’audience televisiva, comunemente riferite negli Usa come “rating”, ed i sondaggi elettorali, é il campione utilizzato. Per rilevare i rating la Nielsen sonda un campione di 40.000 famiglie (circa 100.000 persone), che rappresentano i 121 milioni di famiglie americane. I sondaggi elettorali invece utilizzano campioni di 1.000 persone, che dovrebbero rappresentare i 161 milioni di cittadini che vanno a votare.

Ricordo che, durante le elezioni del 2016, quando diverse previsioni con margini molto bassi davano per sicura la vittoria per la presidenza degli Stati Uniti a Hillary Clinton, avevo trovato un sondaggio che mi pareva piú realistico (considerando che tutti hanno un margine di errore del 10%) e quindi utilizzai quei dati nel mio commento per “AmericaOggi” dell’8 maggio, pronosticando che Donald Trump avrebbe vinto con il 41% dei voti (contro il 39% per Clinton).

I sondaggisti politici hanno ripetuto lo stesso scenario per le elezioni presidenziali del 2020, dando a Joe Biden un vantaggio del 10% sul presidente Trump. Questo nonostante alcuni osservatori affermassero che Biden stava conducendo una campagna elettorale “moscia”, e questo preoccupava persino quei suoi sostenitori negli stati della Georgia e New York che avevo interpellato.

Anche in questo caso ho trovato queste previsioni non realistiche. Un vantaggio di Biden del 10% era troppo poco per vincere la presidenza in modo schiacciante, considerando che Trump aveva tutto contro di lui: l’economia al collasso, l’alto livello di disoccupazione, una pandemia fuori controllo, le proteste, la cattiva reputazione nel mondo, e persino un gruppo del suo partito repubblicano che gli remava contro. Ho segnalato questa osservazione su “Moondo” del 18 settembre, 2020 con sottinteso che per Biden ci sarebbe voluto un vantaggio almeno del 20% per stare tranquillo.

La domanda ora é: perché i sondaggi elettorali sono diventati cosí inaffidabili? Da ció che ho potuto scoprire, per le elezioni presidenziali del 2016 e 2020, i sondaggisti non hanno integrato le rilevazioni nazionali con quelle statali. Il fatto che sia Clinton che Biden abbiano effettivamente raccolto piú voti popolari di Trump, ha permesso ai sondaggisti di avere una scappatoia e puntare sul dettaglio che le loro previsioni erano dopotutto giuste.

Nel suo editoriale sul “WSJ”, Baker ha consigliato ai media di non utilizzare piú i sondaggi politici forniti da societá ingaggiate dai partiti o candidati. Infatti é noto che queste tendono a porre domande “pilotate”, risultando in risposte che non riflettono l’opinione della persona sondata, ma quella che il sondaggista si propone di ottenere.

Inoltre, per essere piú accurati, i sondaggi elettorali dovrebbero essere integrati con le rilevazioni dei rating televisivi. Un recente articolo di ABC News, ad esempio, ha indicato come gli ascolti televisivi durante le partite di football americano della categoria NFL, siano stati in grado di identificare il numero di telespettatori Democratici e quelli Repubblicani.

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Dom Serafini

Domenico (Dom) Serafini, di Giulianova risiede a New York City ed è
il fondatore, editore e direttore del mensile “VideoAge” e del quotidiano fieristico VideoAge Daily", rivolti ai principali mercati televisivi e cinematografici internazionali. Dopo il diploma di perito industriale, a 18 anni va a continuare gli studi negli Usa e, per finanziarsi, dal 1968 al ’78 ha lavorato come freelance per una decina di riviste in Italia e negli Usa; ottenuta la licenza Fcc di operatore radio, lavora come dj per tre stazioni radio e produce programmi televisivi nel Long Island, NY. Nel 1979 viene nominato direttore della rivista “Television/Radio Age International” di New York City e nell’81 fonda il mensile “VideoAge”. Negli anni successivi crea altre riviste in Spagna, Francia e Italia. Dal ’94 e per 10 anni scrive di televisione su “Il Sole 24 Ore”, poi su “Il Corriere Adriatico” e riviste di settore come “Pubblicità Italia”, “Cinema &Video” e “Millecanali”. Attualmente collabora con “Il Messaggero” di Roma, con “L’Italo-Americano” di Los Angeles”, “Il Cittadino Canadese” di Montreal ed é opinionista del quotidiano “AmericaOggi” di New York. Ha pubblicato numerosi volumi principalmente sui temi dei media e delle comunicazioni, tra cui “La Televisione via Internet” nel 1999. Dal 2002 al 2005, è stato consulente del Ministro delle Comunicazioni italiano nel settore audiovisivo e televisivo internazionale.

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