Una bambina vivace e forse troppa curiosa, tra favole e vita vera, preferiva la vita quotidiana e le storie raccontate a tavola la domenica con i nonni, lo zio e la sua famiglia.
Una tipica tavola napoletana, cibo da leccarsi i baffi, semplice ma con sapori intensi che rimangono nei ricordi per sempre, ma per sempre rimangono anche i racconti e le storie di quando quel cibo era solo un sogno. E’ vero le origini lucane permisero durante la seconda guerra mondiale di fuggire al paese, e di sopravvivere ai bombardamenti e alla fame, ma qualcuno era rimasto in quella casa sulla collina di Napoli a tenere duro, a lottare.
Un capofamiglia solido, con doppia laurea, una per dovere l’altra per piacere: ingegneria e medicina. Una casa con i soffitti altissimi e le pareti colorate, pavimenti a mosaico e vetri dipinti eppure la bambina chiedeva di continuo al nonno: “Perché sono dipinti solo a metà i vetri?” La risposta del nonno, con i capelli color argento e gli occhi azzurro ghiaccio era sempre la stessa, con tono orgoglioso:“Piccola mia, è un messaggio per voi perché non dovete dimenticare mai, hai capito? Mai! Sono il segno tangibile delle raffiche di mitraglietta che in continuazione mandavano in frantumi i vetri. Io resistevo a Napoli, attaccato a Radio Londra, sudando e temendo e loro, i fascisti, mi ricordavano che sapevano che ero lì, e io così lo ricordo a voi con vetri bianchi senza decori”.
La piccola non piangeva ma immaginava la scena, il buio, la radio con le manopole ancora presente e in bella mostra in camera da pranzo, la paura ed il coraggio. Quei racconti, come una costruzione fatta di tanti piccoli elementi, dava vita al carattere, alle emozioni, agli ideali. Alimentava la consapevolezza di ciò che era accaduto, il nonno non era il solo a raccontare, e la bambina, chiamiamola T da adesso in poi, raccoglieva i racconti di tutti anche da parte della famiglia che era sfollata lontano.
Solo da adolescente scoprì che molti traumi che avevano cambiato la vita della sua famiglia, modificandone e condizionandone i comportamenti erano il frutto di avvenimenti di quel terribile periodo. Nei cassetti degli armadi di noce con grandi specchi, lettere e foto in bianco e nero che descrivevano con parole e immagini i fatti, la distanza, le vicissitudini.
Suo padre e suo zio non nominavano mai M e non ne parlavano mai apertamente, nella loro casa di paese lo zio prete accoglieva tutti, anche le salme, i feriti e a pochi passi il rumore più frequente era quello del falegname che costruiva casse per i defunti. Il padre di T e suo fratello potevano mangiare i prodotti della terra ma ogni giorno la morte ed il suo odore entrava nella loro casa. M come un altro M, che non condanna e non si distingue da chi fa il saluto romano in piazza, da chi inneggia a favore della xenofobia e del razzismo, da chi riparla di schedare i sinti e i nomadi. Un M che sui social e in Tv alza la voce e fa proclami parlando di sovranismo.
Quella bambina oggi è una donna e una madre, e quando si siede a tavola racconta ciò che le hanno raccontato. Racconta anche gli episodi relativi alla liberazione ed alla fatica di ricostruire, il nonno ebbe grandi responsabilità nel dopoguerra e dedicò parte della sua vita a dare un senso al dolore di quegli anni. Le tavolate dei pranzi domenicali, con le paste cresciute fatte con la farina del paese d’origine e fritte con la sugna lucana, in estate narravano di altri luoghi, il nonno andava a Fiuggi a fare le Terme e lì, bellissime foto color seppia lo ritraevano con la nonna e un grande amico P, un grande uomo, un socialista e Padre della Repubblica.
Anni dopo T conosce P, un’emozione fortissima il primo incontro, una casa immersa nel verde, con tante dalie e un campo di bocce. Un grande uomo italiano con o senza il basco, gli occhiali con i vetri spessi, raccontava di come aveva perso sua figlia in un campo di concentramento, del suo esilio in Francia, del suo coraggio e del terrore di perdere tutti. T costringeva suo padre e talvolta suo zio a portarla lì, rinunciava a giocare e ad andare in piscina pur di ascoltare quei racconti davvero unici straordinari di uno dei padri dell’Italia repubblicana. Lui così importante, così grande si dedicava a spiegare a quella bimba fatti storici incredibili. A bocca aperta, T ascoltava incantata, e fu così che ricevette al suo compleanno una bambola bellissima in regalo, con un biglietto scritto a mano su carta intestata del Senato della Repubblica. Conserva ancora gelosamente quella bambola, una bambola regalata con amore.
Quante cose ha ascoltato e vissuto T, ma non ha mai dimenticato le parole di suo nonno, di suo padre, di suo zio: “Ricordati T tutto è iniziato con l’indifferenza e quella ha generato un immenso dolore, non dimenticarlo mai.” Oggi quella bambina ormai donna sente il peso di un’eredità, e suo figlio spesso ricorda quei racconti. In nome di suo padre e della sua famiglia, di quei vetri rattoppati e dei racconti di un uomo illustre, non proverà mai indifferenza nel vedere in Tv le manifestazioni a pochi metri dal Parlamento in cui i partecipanti fanno il saluto romano, T non si girerà mai a guardare dall’altro lato e racconterà sempre ciò che le è stato tramandato con lacrime e sofferenza.
Uomini comuni e non, che hanno dato all’Italia una democrazia e non possono essere traditi, non dopo tutto il sangue versato. Tutto ciò T lo sa molto bene e la democrazia cerca di difenderla in nome di P, dello zio, del nonno e soprattutto del padre conscia di poter guardare lontano, per i suoi figli, perché cresciuta sulle spalle dei giganti.
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