In principio fu l’advertising, cioè la pubblicità, siamo alla fine del XIX secolo e il problema è quello di far sapere al consumatore la novità di un prodotto. Ma ben presto pubblicizzare un determinato prodotto diventa parte di un programma di diffusione del marchio. Nasce il branding. Potremmo dire che il brand nasce come conseguenza della nascita della fabbrica: i primi prodotti per il quale si rese necessaria un’attività di branding furono lo zucchero, la farina, il sapone e i cereali. E infatti nel 1880 vengono introdotti sul mercato i loghi aziendali di queste merci prodotte in serie, per esempio le zuppe Campbell oppure i sottaceti Heinz.
Il marchio è nato.
Assume subito il significato chiave dell’impresa moderna e la pubblicità è il veicolo usato per diffondere tale significato nel mercato. Ma bisogna attendere la fine degli anni quaranta del secolo scorso per un cambiamento che si sarebbe rivelato epocale nel commercio di beni di consumo: le grandi aziende americane compresero che nel marchio si incentrava la loro identità e le agenzie di advertising si orientarono a studiare il significato che i marchi avevano nella cultura e nella vita delle persone. Tuttavia ci sono voluti alcuni decenni perchè il mondo industriale si adeguasse a questo mutamento, ma negli anni ottanta l’acquisto da parte della Philip Morris della Kraft per 12,6 miliardi di dollari, sei volte il suo valore, ci dice quanto valeva sul mercato dei prodotti, ma anche a Wall Street, il semplice nome Kraft.
Questo determinò una grande crescita della spesa pubblicitaria e il definitivo affermarsi del branding. Parallelamente, non si deve dimenticare, nasce il computer e si afferma la Rete. Siamo agli inizi degli anni novanta. come il brand anche computer e internet nascono negli Stati Uniti e la comunità high-tech del tempo si misura in un acceso dibattito sulla opportunità di far entrare in questo nuovo ambiente gli imperativi commerciali. Dobbiamo tener conto che in quegli anni la Rete era come un luogo raffinato, elitario, popolato da gente colta che non aveva bisogno e rifiutava ogni regola. Quello che è accaduto negli ultimi trent’anni è la cronaca dei giorni nostri e tutti noi ci siamo immersi.
E con noi l’autore di questo libro, gli imprenditori fratelli Taffo e la storia di una campagna di advetising e branding che ha determinato il successo di un’impresa impossibile, sorridendo della morte vendere casse da morto, e in definitiva fare una buona comunicazione che fa cultura.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Carmine Sodano, lettore di Moondo.
Caro MOONDO,
ho assistito domenica sera alla presentazione a Sutri del libro di Riccardo Pirrone “Taffo. Ironia della morte”. Quando morì mia madre fu per me la prima volta in cui mi confrontai con le tematiche del dopo morte di una persona cara.
Ero nel corridoio attiguo alla stanza dove giaceva mia madre. Piangevo la sua scomparsa e dal nulla apparve un signore molto distinto che, con fare molto determinato, mi elencò le varie questioni relative al funerale e alla successiva tumulazione.
Ricordo che rimasi sconvolto ad ascoltare le sue proposte e dover affrontare problemi pratici in quel momento drammatico. Tuttavia mi resi conto che quel signore mi stava offrendo la soluzione a tutti quei problemi che certamente nessuno vuole affrontare in quel momento.
A quel tempo non mi era noto il nome Taffo (forse avrei avuto la possibilità di una proposta alternativa).
Pirrone e Taffo, con grande coraggio creativo e imprenditoriale hanno messo in piedi una campagna pubblicitaria, mettendo in primo piano la morte, unico evento certo della vita. Un appuntamento che ci rende tutti uguali ”la livella” e che Pirrone con la sua campagna rende, utilizzando l’ironia, accettabile ricordando che quel giorno arriverà.
Un cliente in realtà insolvente, difficilmente chi muore si occupa del proprio funerale. Quindi il messaggio è ricordare che la morte è vicina a ciascuno, sia la tua o quella di un tuo caro e Taffo risolve i problemi a chi rimane.
Nel libro l’autore racconta la sua strategia di comunicazione, tutta sulla dissacrazione della morte, che invita il lettore a riflettere sulla vita come una finestra sul mondo tra la nascita e la morte. Nel film di Troisi un frate con voce tonante dice all’intimorito Troisi “Ricordati che devi morire, ricordati che devi morire, ricordati che devi morire” e lui risponde “si, si mo me lo segno”.
Questo “mo me lo segno” è perché viviamo la nostra quotidianità nasconderci questa fine. E io sono pienamente d’accordo, come negli intenti pubblicitari di Pirrone, di ricordare che questo evento prima e poi riguarda ciascuno di noi.
Sono convinto che la vita, i rapporti umani e quelli nei confronti dell’ambiente che stiamo distruggendo si potrebbero affrontare in modo diverso. Per questo propongo che in tutti i luoghi pubblici dove impera l’arrivismo, l’egoismo, la burocrazia, nelle università, scuole, uffici, accanto alla foto del Presidente della Repubblica venga affisso un cartello con la scritta “RICORDATI CHE DEVI MORIRE”
Chissà se oltre la lettura del libro di Pirrone e le campagne promozionali di Taffo possa affermarsi una riflessione sulla nostra vita e su come la “spendiamo” nei confronti dei nostri simili e dell’ambiente, con la consapevolezza che non attraversiamo questo mondo per distruggerlo. E’ anche questo uno dei meriti della campagna Taffo e del suo autore.
Carmine Sodano
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