Il prossimo mese sarà cruciale: dalla riuscita o meno delle due azioni messe in campo dal governo nella lotta alla pandemia dipenderanno molte cose.
Se (e solo se), entro le prossime tre settimane, l’inasprimento delle disposizioni restrittive sulla mobilità e le relazioni sociali saranno riuscite ad arrestare la crescita dei tassi di positività e, soprattutto, del numero degli ospedalizzati si potrà ricominciare a ragionare su tattiche più flessibili e articolate per il dopo Pasqua che ne riducano i devastanti impatti economici e sociali.
Se (e solo se) la nuova gestione commissariale riuscirà a raggiungere (o almeno ad avvicinarsi) al target coraggiosamente dichiarato dei 20 milioni di vaccini somministrati per la fine di aprile si potrà corroborare la previsione dell’80% di copertura entro settembre e quindi ricominciare a ragionare sulla attuazione concreta delle strategie di “ripresa” in corso di definizione nel PNRR.
Dal punto di vista economico l’Italia è sull’orlo di un baratro. Non solo per la riduzione di circa un decimo del reddito prodotto nel 2020, che rischia di riprodursi quest’anno, ma perché settori strategici come quello delle attività turistiche o dell’industria tessile/abbigliamento (e delle attività commerciali collegate) hanno subito riduzioni di fatturato talmente catastrofiche da determinare il rischio di un’ecatombe di aziende (e quindi di crollo della capacità produttiva) che sarebbero esiziali per la riattivazione delle dinamiche di sviluppo visto il peso che queste attività hanno nell’economia nazionale.
Dal punto di vista sociale il paese è sfibrato. Lo si percepisce in modo evidente nelle criticità psicosociali (per i giovani e per le famiglie) determinate dal massiccio ritorno alla didattica a distanza nel sistema di istruzione e in modo meno evidente (ma forse ancora più drammatico) nel peggioramento delle condizioni dei soggetti fragili (anziani e persone non autosufficienti) che sono particolarmente colpite dalle restrizioni della relazionalità.
Il tutto in presenza di un’esplosione del deficit pubblico che solo grazie all’ancoraggio europeo non ha attivato la drammatica spirale di innalzamento dei tassi di interesse sull’indebitamento.
D’altra parte se la doppia operazione dovesse avere successo se ne potrebbe ricavare un’enorme spinta, anche psicologica, all’uscita dalla crisi.
Un esito almeno parzialmente positivo appare decisivo anche per la tenuta dei delicati equilibri politici che sorreggono un governo che appare, per molti versi, l’ultima trincea contro il possibile ritorno di populismi che potrebbero riemergere ancora più estremizzati da una nuova crisi di fiducia nell’opinione pubblica.
La nostra saggezza, come scrisse Dumas, risiede in due parole: “aspettare e sperare” (e nel frattempo tenere i nervi saldi).
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