Si avvicina la primavera del prossimo anno, quando si tornerà a votare per eleggere il Sindaco ed il Consiglio Comunale di Roma: fioccano gli aspiranti, i tentativi di lanciare la candidatura di questo o di quello (finora la carica non sembra attirare molto le donne, fatta eccezione per Virginia Raggi, l’attuale sindaco, che ha già annunciato la sua ricandidatura).
Molti candidati (o pseudo tali) hanno biglietti da visita spesso prestigiosi, alcuni anche un passato politico: un pò carenti, per non dire inesistenti, sono i programmi, riadattati spesso da altri più o meno recenti: tutti prevedono cose meravigliose a proposito del trasporto pubblico, urbano, dalla viabilità, dello smaltimento dei rifiuti per non parlare di asili, edilizia popolare, assistenza alle persone in stato di bisogno e via dicendo. Il solito brodo.
Un po’ pochino: il vero problema è trovare una persona in grado per le sue caratteristiche di risolvere i molti problemi cha ha la capitale, con i poterei limitati rispetti a quelli attribuiti ai sindaci delle capitali in Europa e fuori l’Europa. Manca infatti, dopo 150 anni e con la sola parentesi del governatorato durante il regime fascista, una legge speciale per la capitale che vada oltre l’attribuzione di questo o quel potere amministrativo, isolato, scarsamente incisivo, senza essere accompagnato dai fondi necessari per realizzare gli obbiettivi previsti.
Occorre ancora una volta rassegnarsi ad eleggere un sindaco con una sola gamba amministrativa, una situazione che renda ancora più necessario effettuare una scelta meditata.
Se si guarda al passato scorrono le vecchie foto dei sindaci dal dopoguerra ad oggi: c’è la foto di Francesco Rutelli, che potenziò i sevizi pubblici senza riuscire però ad incidere sulla scarsa efficienza dell’amministrazione cittadina, c’è quella di Walter Veltroni, più attento invece all’immagine culturale della città e meno dei servizi, di Luigi Petroselli, che fece dell’efficienza dell’amministrazione la sua bandiera politica, fin troppo sventolata, di Giulio Cesare Argan il prestigioso storico dell’Arte troppo anziano, come l’esperienza presto dimostrò, per un compito oggettivamente gravoso, di Salvatore Rebecchini che nell’immediato dopoguerra lasciò briglia libera all’edilizia privata, con tutte le conseguenze di un disordine urbanistico di cui ancora oggi sentiamo le conseguenze, motivato da una necessità di far fronte alla penuria delle abitazioni, ma al tempo stesso senza preoccuparsi della revisione del piano regolatore.
Cioccetti, Petrucci, Nicola Signorello, Ugo Vetere, Clelio Darida, anche loro sindaci del dopoguerra come Franco Carraro e Pietro Giubilo non hanno lasciato alcuna traccia della loro permanenza, più o meno lunga, in Campidoglio, così come Ignazio Marino e Gianni Alemanno, gli ultimi due iscrivono di diritto il loro nome nell’antistorica, in quel periodo cioè che segna un regresso piuttosto che un progresso dell’amministrare la Capitale.
Quasi inutile parlare di Virginia Raggi, il cui torto principale è stato forse l’inesperienza e la mancanza di conoscenza dell’amministrazione cittadina: come Sindaco, è stata molto simile ad un ciclista che, messo alla guida di una Ferrari, a forza di errori, finisce per trasformarla in una sorta di go kart.
Scegliere questo o quel candidato in base a convinzioni politiche, ideologiche, ha un aspetto rassicurante ma non troppo. Si tratta invece di identificare, anche in base alle passate esperienze, la figura di un Sindaco che superi il vecchio schema degli accordi di vertice, della scelta del candidato in vista di alleanze future o attuali, di accontentare tutti e scontentare tutti, come l’esperienza anche di recente ha insegnato.
Roma, la Capitale, ha bisogno fondamentalmente di tre cose: una legge che trasferisca poteri statali e regionali all’amministrazione della città; un Sindaco che conosca la macchina amministrativa; un capo dell’amministrazione che gestisca rigidamente una macchina amministrativa con circa 60.000 dipendenti oltre ad aziende municipalizzate come AMA ed ATAC, che sembrano ormai aver proclamato la loro indipendenza, insensibili a qualunque critica sia da parte degli organi comunali che della cittadinanza (vedi il caso veramente indegno della gestione dei cimiteri romani).
La risposta non potrebbe essere quella di un aumento dei cinghiali e dei gabbiani a fare da spazzini per le strade romane, senza preoccuparsi (beati loro) di inciampare in una delle tante buche stradali.
Alberto Benzoni, che fu a lungo pro Sindaco di Roma, ha ricordato nei giorni scorsi, su questo stesso giornale, la necessità di antica data di un programma valido per l’amministrazione di una città che deve poter degnamente svolgere il suo ruolo di Capitale: il nuovo Sindaco, chiunque sarà, non potrà non partire da questo punto.
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