La scorsa settimana mi è successa una cosa alquanto singolare: ho portato alla corniciaia di Campagnano, la bella e gentile Valentina, un vecchio dipinto di nessun valore con una bella cornice chiedendole di utilizzarla per un altro dipinto che mi era stato donato.
Quando sono andato a ritirare il nuovo quadro Valentina, nel consegnarmi l’opera, mi ha raccontato di aver trovato, nello smontare la vecchia confezione, quattro fogli di un vecchio giornale e che aveva deciso di conservarli per me perchè avrebbero potuto contenere qualcosa che aveva a che fare con il vecchio dipinto.
Gli detti uno sguardo e capii subito che così non era, quei fogli ingialliti erano serviti più semplicemente a fare da spessore nella confezione del vecchio quadro. Una volta a casa, attaccato il quadro alla parete dietro la mia scrivania, ho ripreso in mano quei fogli per dargli un’ultima occhiata prima di gettarli nel cestino della carta.
La sorpresa è stata che quelle quattro pagine erano del Corriere della Sera di domenica 15 febbraio 1976: il primo articolo era un editoriale di Massimo Riva con un titolo inequivocabile “Le maschere di cera del potere economico”. Riva lamentava di come fosse difficile nel nostro Paese il ricambio della classe dirigente di governo per poi passare in rassegna, in una sorta di museo delle cere, i protagonisti inamovibili del potere economico e finanziario: da Gabriele Pescatore presidente della Cassa per il Mezzogiorno da 22 anni a Giuseppe Petrilli, presidente dell’IRI da 16 anni a Giordano Dell’Amore presidente delle Casse di risparmio delle provincie lombarde da 24 anni.
“Il potere ha ormai deciso di superare anche il muro della vergogna” commentava Massimo Riva, ma ciò che maggiormente lo indignava era l’indifferenza con cui tutto ciò veniva accettato e a riprova citava una dichiarazione del parlamentare democristiano Carlo Mulè “ci vogliono anche le bustarelle per mandare avanti le imprese sia pubbliche che private poiché questo ormai è il sistema correntemente adottato”.
Di fianco all’articolo di Riva un pezzo a due colonne sul conflitto interno al governo presieduto dell’on. Aldo Moro sulla politica energetica, uno scontro su chimica e nucleare che vedeva protagonisti, l’un contro l’altro armato, personaggi della DC del calibro di Andreotti, Donat Cattin e Bisaglia, tutti ministri ma ciascuno schierato a difesa di una impresa, chi tifava per quella di Nino Rovelli, chi a favore di Giorgio Schanzer.
Una pagina di economia e quattro di arte e cultura. La prima un’intera pagina “la lettura della domenica” dedicata al terrorista Carlos reso famoso per il sequestro a Vienna dei sceicchi del petrolio dell’OPEC, altre due pagine il “corriere letterario” con l’anniversario dei cinquanta anni dalla morte di Piero Gobetti con le testimonianze di Eugenio Montale, Giuseppe Prezzolini, Riccardo Bauer e Natalino Sapegno. Tra queste Umberto Terracini scrive un ricordo dell’autore di “Rivoluzione liberale” come di un giovane intellettuale di cui Antonio Gramsci aveva una grande stima.
Nello stesso “corriere letterario” la recensione del libro “Socialismo da Santiago a Praga” di Bettino Craxi firmata da Walter Tobagi “una versione italiana della teoria dei Cento Fiori in cui Craxi cerca di delineare una prospettiva per il Partito Socialista collegandolo al filone storico del riformismo italiano nella duplice e diversificata lezione di Turati e di Nenni”.
Per l’arte un elzeviro di Maurizio Calvesi polemico nei confronti di coloro che fanno di tutta l’erba un fascio annoverando tra i beni culturali anche la sagra di un paese. Nella cronaca milanese la notizia di un leader di un partito, il senatore Spadolini, nominato presidente dell’Università Bocconi. A fianco, con un rilievo tre volte maggiore, la notizia che il consiglio comunale ha esaminato oltre al completamento dei tratti della metropolitana previsti dal piano anche altri nuovi percorsi da qui il titolo “si torna alla politica del buco”.
Uno strano sapore di attualità, malgrado siano trascorsi quarantacinque anni, ha la notizia di uno scontro “senza esclusione di colpi” all’interno della magistratura milanese mentre a fondo pagina su due colonne il corrispondente da Palermo informa sulla conclusione di un processo per un delitto di mafia nella provincia di Agrigento.
Un imprevedibile tuffo nel passato, e malgrado si tratti di un passato molto lontano ciò che non si può non osservare è che i problemi della nostra società sono sempre gli stessi: dal terrorismo al ricambio di classe dirigente, dai buchi delle metropolitane ai delitti di mafia, dal discredito della magistratura eccetera eccetera. Sembra di vivere in un’eterna giostra, la società italiana gira su sè stessa, ieri come oggi, la malapianta dell’opportunismo, dell’arte di arrangiarsi, dello Stato eterno nemico, del mors tua vita mea. Non c’è un inizio e non c’è nessuna fine. I problemi non risolti marciscono e torna Masaniello, ha la toga di Davigo o lo sberleffo di Grillo, tutti insieme appassionatamente aprono la strada al declino, alla decadenza, al tramonto, una politica che non sa mantenere il suo primato, un capitalismo provinciale e straccione in vendita al miglior offerente, una cultura riformista senza riformatori.
Tuttavia è doveroso riconoscere che qualcosa è cambiato, nella società dell’antipolitica e degli onesti stupratori a nessuno è venuto in mente di proporre alla presidenza della Bocconi un leader come Matteo Salvini.
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