La legge n° 126 del 13 ottobre 2020 che ha convertito con alcune modificazioni il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, meglio noto come decreto agosto, come sappiamo consente, solo fino al 31 dicembre 2020, ferma restando la durata massima complessiva del contratto a termine che non può eccedere i ventiquattro mesi, di rinnovare o prorogare per un periodo massimo di dodici mesi e per una sola volta i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, anche in assenza delle causali previste dall’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.
Questa mini deroga al decreto dignità, seppur molto timida, ha consentito a decine di migliaia di lavoratori a tempo determinato di evitare di perdere il lavoro e di poter essere riassunti, con evidenti benefici per le tasche dei singoli lavoratori e per quelle dell’INPS che ha evitato in tal modo di dover erogare la Naspi.
Questa norma, pur avendo creato una finestra temporale di utilizzo fino al 31 dicembre 2020, ha però purtroppo già in gran parte esaurito i suoi effetti a causa del fatto che il legislatore, in modo a mio avviso del tutto inopportuno, ha limitato ad una sola volta la possibilità di utilizzo.
Per questo la gran parte delle aziende in questo momento dell’anno si è già “giocata”, nei mesi scorsi, l’unico bonus per prorogare o riassumere un lavoratore e si prevede così uno scenario di fine anno molto complicato, con il rischio che ad inizio 2021, se non ci saranno modifiche, molti lavoratori a termine perderanno il lavoro.
In ogni caso, se la proroga del contratto in corso eccede la durata complessiva dei 12 mesi da inizio contratto, l’azienda dovrà provare a giustificare il motivo per il quale vuole prorogare il contratto con la temutissima casuale.
Cerco di spiegarmi bene per i non addetti ai lavori: sembra assurdo, anzi è assurdo, ma in Italia da inizio 2021 una azienda che vuole riassumere un ex lavoratore non potrà farlo semplicemente, così come non potrà prorogargli un contratto che è arrivato al 12° mese, se vorrà fare una azione così “riprovevole” dovrà giustificarsi, ossia dovrà indicare dettagliatamente i motivi per i quali si permette di riassumere un ex lavoratore, o perché intende prorogargli il contatto e tali motivi (non mi addentro nell’approfondimento perché vi assicuro che la materia è tediosa) sono praticamente impossibili da argomentare in quanto congegnati dal legislatore in modo tale da renderne impraticabile l’applicazione.
Le aziende però per competere sui mercati globali hanno bisogno oggi più che mai , di flessibilità, ossia di poter rispondere in maniera repentina ai cambiamenti di breve termine.
Di contro i lavoratori hanno necessità e il diritto di poter progettare il loro futuro con serenità senza vivere una costante situazione di precarietà.
Queste due sacrosante esigenze oggi sono viste come contrapposte e sostanzialmente insanabili, per questo si è sempre cercato di contemperale con un meccanismo simile a quello del bonus malus delle assicurazioni: se assumi a tempo indeterminato paghi meno contributi (sconto per le aziende), se assumi a tempo determinato (paghi di più e ti applico mille cavilli che scoraggiano questo tipo di assunzioni).
Questo tipo di approccio, oltre a non avere risolto il problema ne alle aziende, ne ai lavoratori, in questo particolare scenario economico, appare addirittura archeologico.
Il meccanismo punitivo per le aziende in sostanza oltre che inefficace è storicamente risultato dannoso, perché le aziende hanno e avranno sempre più bisogno di flessibilità e perché i lavoratori hanno sempre più bisogno di certezze.
E allora cosa si può fare? A mio avviso la soluzione è più semplice di quello che potrebbe sembrare: basterebbe per esempio cambiare il punto di osservazione mettendo finalmente al centro la persona e i suoi bisogni.
Partiamo dal lavoratore, di cosa ha bisogno oggi un ragazzo giovane che si appresta ad entrare nel mondo del lavoro?
Di quattro cose sostanzialmente:
Tutti questi aspetti possono essere regolati, incentivati e condotti su un percorso virtuoso da provvedimenti economico normativi semplici e lineari.
La prima cosa da introdurre in quest’ottica è la possibilità di retribuire un lavoratore neo assunto (solo per la prima volta che lo si assume e per massimo 3 mesi) con un retribuzione che sia più contenuta di quella prevista dal CCNL di riferimento per la mansione alla quale è destinato (supponiamo il 50%), questa retribuzione dovrebbe essere detassata e soggetta a contribuzione figurativa per il lavoratore permettendogli di percepire così un importo netto superiore a quello che oggi ottiene con i tirocini e molto vicino a quello di un lavoratore già formato per il ruolo.
Decorso il periodo di ingresso che dovrebbe durare massimo 2/3 mesi, l’azienda dovrebbe avere poi la possibilità di prorogare il contratto di quel lavoratore, senza causali e ovviamente portando automaticamente al 100 % la retribuzione prevista.
Tale unica proroga dovrebbe avere come limite massimo di durata complessiva 24 mesi, ma potrebbe ovviamente avere anche una durata più breve a seconda delle necessità aziendali.
Gia questo consentirebbe a migliaia di ragazzi di entrare nel mondo del lavoro in modo dignitoso con tutti i nomali diritti di ogni lavoratore, ferie malattia, ecc.. permettendo di contro alle aziende di conoscere e formare i lavoratori con un costo sostenibile e con una procedura assai più snella di quella prevista per l’apprendistato.
Il punto essenziale è però che, qualora al temine dei 24 mesi, o al momento della scadenza del contratto se più breve dei 24 mesi, l’azienda volesse prorogare ulteriormente il contratto di quel lavoratore, perché desidera mantenere ancora una notevole flessibilità, dovrebbe a mio avviso poterlo fare pagando al lavoratore e non allo stato il prezzo di quel supplemento di flessibilità.
Come si può ottenere questo risultato? con un semplice meccanismo di proroghe acausali, illimitate ma a retribuzione crescente.
Il meccanismo dovrebbe essere di questo tipo: si possono fare tutte le proroghe o i rinnovi di contratti senza limiti e senza causali , ma ad proroga la retribuzione lorda del lavoratore (e conseguentemente la contribuzione previdenziale) aumenta di un certo importo (supponiamo per semplicità del 5%) rispetto a quella prevista dal CCNL per il lavoratore assunto a tempo indeterminato.
Questo significherebbe ad esempio che il lavatore Tizio e Caio dipendenti della stessa azienda (Tizio con tutte le sicurezze del contratto a tempo indeterminato) e Caio con un contratto a tempo determinato prorogato per 4 volte, non guadagnerebbero più la stessa cifra , Caio guadagnerebbe infatti il 15% in più.
Tale retribuzione e contribuzione aggiuntiva permetterà a Caio di affrontare con più serenità e risorse un’eventuale stop lavorativo e di maturare un trattamento pensionistico congruo anche in caso di qualche involontario periodo di buco contributivo.
Per scoraggiare abusi di pratiche di stop & go sarebbe inoltre opportuno prevedere un incremento in caso di rinnovo (ossia riassunzione di un ex lavoratore) leggermente maggiore, supponiamo del 10% della retribuzione anziché del 5%, in questo modo si spingerebbe automaticamente l’azienda per convenienza a fare proroghe lunghe e non interrompere se non strettamente indispensabile i contratti.
Questa riforma rappresenterebbe a mio avviso il vero uovo di colombo perché permetterebbe di far pagare la flessibilità a coloro che ne hanno veramente bisogno e far incassare il valore di tale flessibilità a coloro che ne hanno pienamente diritto ossia i lavoratori a tempo determinato.
Con la normativa attuale infatti la flessibilità la pagano le aziende, pur avendone molto meno di quella che effettivamente gli servirebbe, ma soprattutto non la incamerano i lavoratori infatti ad esempio i contributi aggiuntivi previsti nei contratti a termine pari all’ 1,4 % + lo 0,5% in caso di rinnovo vanno direttamente nelle casse dello stato anziché in quelle del lavoratore.
Ci tengo a precisare che i valori indicati per l’incremento dei salari in caso di proroga o rinnovo sono puramente indicativi ed esemplificativi, il modello per funzionare veramente bene avrebbe infatti necessità di introdurre una nuova voce retributiva demandata alla contrattazione collettiva nazionale, mi spiego meglio:
Oggi i CCNL prevedono delle voci retributive denominate Scatti di Anzianità, tali voci servono a compensare a seconda del livello di inquadramento, le competenze, le capacità e la fedeltà del lavoratore all’azienda aumentando progressivamente (in media ogni due o tre anni a seconda dei CCNL) la retribuzione che il lavoratore percepisce, facendogli fare appunto uno scatto retribuito predeterminato con il passare del tempo.
La mia idea è in sostanza che una volta rimossi tutti i limiti normativi per la reiterazione dei contratti e per la prorogabilità degli stessi, i contratti collettivi nazionali dovrebbero introdurre uno strumento innovativo: gli SCATTI DI FLESSIBILITA’ che servirebbero quindi a riconoscere al lavoratore una retribuzione via via crescente fin tanto che l’azienda decide di non trasformargli il contratto a tempo indeterminato.
Con questo strumento, la cui quantificazione deve necessariamente essere demandata alle parti sociali, le aziende sarebbero spinte a fare proroghe certamente più lunghe, ad evitare il più possibile le interruzioni dei contratti e soprattutto a trasformarli a tempo indeterminato non appena le condizioni lo permettono.
Per una azienda sarebbe quindi certamente più conveniente un contratto a tempo indeterminato ma saprebbe anche che in tutti i casi nei quali ha necessità di flessibilità potrebbe ottenerla sostenendone il costo.
Per un lavoratore di contro i vantaggi sarebbero evidenti, fin tanto che non ha la certezza di un contratto a tempo indeterminato avrebbe infatti una retribuzione decisamente più alta a compensazione del sacrificio in termini di flessibilità che sta garantendo all’azienda.
Nell’esempio che segue si riporta una simulazione generata ipotizzando un confronto tra un impiegato del settore commercio inquadrato al 4°livello ed assunto dal 1 gennaio 2021 con contratto a tempo indeterminato ed uno assunto sempre dal 1° gennaio 2021 ma a tempo determinato con il sistema degli scatti di flessibilità.
Per effettuare il confronto ho assunto come importo dello scatto di flessibilità lo stesso importo attualmente previsto dal CCNL del commercio per gli scatti di anzianità.
Ebbene dalla tabella e dal grafico che seguono si può vedere che su un orizzonte temporale di 4 anni il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato grazie agli scatti di flessibilità, anche considerando il salario di ingresso ridotto per i primi tre mesi, e un mese senza alcuna retribuzione per assenza di contratto, avrebbe comunque una retribuzione complessiva superiore a quella del lavoratore assunto a tempo indeterminato (senza considerare che nel mese in qui rimarrebbe senza contatto potrebbe chiedere la Naspi aumentando ancora di più il divario a sua favore).
Dal secondo anno di contratto, in assenza di stabilizzazione, avrebbe quindi un retribuzione mensile di almeno 100,00 € superiore rispetto a quella del suo collega a tempo indeterminato incamerando così il disagio di non avere ancora un contratto a tempo indeterminato.
Tale divario crescerebbe progressivamente con il passare del tempo, costringendo di fatto l’azienda ad effettuare una conveniente stabilizzazione.
Mi auguro di cuore che la proposta diventi oggetto di discussione ed approfondimento, per questo il testo ed i dati sono liberamente riproducibili citando la fonte.
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