Classici contemporanei

Una soluzione di bellezza (da Il Gattopardo di Giuseppe Tommasi di Lampedusa)

Don Fabrizio Corbera di Salina è l’affascinante protagonista de “Il Gattopardo”, una delle opere ancora più attuali e coinvolgenti del ‘900. 

È un uomo dotato di una forza, quasi epica, sia fisica che morale: “Un gigante che signoreggiava tra uomini e fabbricati. Non che fosse grasso, era soltanto immenso e fortissimo: la sua testa sfiorava (nelle case abitate dai comuni mortali) il rosone inferiore dei lampadari” . La sua superiorità intellettuale non gli permetteva di integrarsi nella  società a lui contemporanea, mediocre e ignorante, espressione di una nuova realtà, quella borghese, affarista e danarosa  ma rozza e volgare, distante anni luce dalla nobiltà di alto rango a cui apparteneva e che si era sempre distinta per una raffinata eleganza e per sensibilità culturale. Egli osserva con ironico distacco il processo risorgimentale e in particolare il recesso economico e culturale del Sud  siciliano a cui lui non si sentiva più di appartenere in quanto esponente di un mondo antico che si avvertiva come “vecchio”. Emblematico, difatti, è il suo diniego a ricoprire la carica di senatore del neo-regno piemontese perché , per la sua “rigidità morale”, era incapace ad assumersi la responsabilità di un cambiamento che non avvertiva come reale ma “gattopardiano”, come uno squallido compromesso che nulla avrebbe mai modificato e che  la sua integrità etico-morale non poteva accettare .

Don Fabrizio aveva una grande passione: l’Astronomia. In essa riversava tutta la sua forza titanica, quella che gli proveniva dalle sue superbe origini tedesche: le sue mani, “capaci di accartocciare le monete più dure… sapevano essere di tocco delicatissimo nell’accarezzare le viti, le ghiere, i bottoni smerigliati dei telescopi, dei cannocchiali e dei cercatori di comete che affollavano il suo osservatorio“. L’Astronomia era per il Principe Salina  una forma di evasione dalle preoccupazioni giornaliere e gli offriva la possibilità di acquisire una visione distaccata dalla dappocaggine del suo tempo. Nelle alterne vicende della storia “Don Fabrizio pensò a una medicina scoperta negli Stati Uniti d’ America  che permetteva di non soffrire… Morfina, lo avevano chiamato questo rozzo surrogato chimico dello stoicismo pagano; lui, Salina, ne aveva uno di più eletta composizione, l’Astronomia , che gli consentiva di esiliarsi nei regni stellari… I due pianetini da lui scoperti (Salina e Svelto li aveva chiamati come il suo feudo e il suo fidato bracco ) gli garantivano di propagare la fama del suo casato nelle sconfinate plaghe fra Marte e Giove: il suo destino era lì, in quelle altezze” ; era lì la nobile Bellezza a cui aspirava. 

Lo spettacolo incontaminato delle stelle rappresentava un ordine superiore in cui il Principe si sentiva perfettamente a suo agio. A quel cosmo perfettamente ordinato e retto da finalità imperscrutabili si contrapponeva il mondo degli uomini in cui ordine e finalità prevalevano con fatica e ,difficilmente, sul caos generale e dove, attraverso incessanti lotte umane, il nuovo si generava dal vecchio ma sotto forme inautentiche e goffe. Dalla contemplazione dell’ordine cosmico egli riceveva, come un nuovo Lucrezio, la costanza, l’imperturbabilità  e il sereno dominio del suo mondo interiore. La sua grandezza nel controllo delle tempeste e dei naufragi della vita derivava dalla superiorità del suo intelletto e dalla forza del suo animo che protendendosi verso gli infiniti spazi stellari dilatavano le sue passioni fino ad annullarle. Lo spettacolo cosmico costituiva un intrattenimento sublime e diventava un orientamento attivo permanente del pensiero che gli permetteva di osservare la vita e i suoi  accadimenti con  un certo distacco e di capire il senso degli avvenimenti , di valutarli ed affrontarli senza mai esserne sopraffatto: l’unica cosa che riuscirà a sconfiggerlo sarà la morte alla quale, però, andò incontro come ad una bella donna. “Da una viuzza traversa intravide la parte orientale del cielo, al di sopra del mare. Venere stava lì, avvolta nel suo turbante di vapori autunnali. Essa era stata sempre fedele , aspettava sempre Don Fabrizio alle sue uscite mattutine… quando si  sarebbe decisa a dargli un appuntamento meno effimero, nella propria regione di  perenne bellezza?”

Il principe Salina da sempre per me resta un termine verso cui tendere, una proiezione di eleganza e di grandezza da cui, nel nostro mondo spesso volgare, di disfacimento di ogni regola di buon senso e di misura, attingere quotidianamente per realizzare quel distacco, necessario a non “affondare” nel mare dell’insulsa sguaiata volgarità del nostro tempo e per volare alto dove “i corvi ” non possono arrivare perché incapaci di volare ad alte quote.

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Antonella Botti

Sono nata a Salerno il 3 Marzo del 1959 ma vivo da sempre a Sessa Cilento, un piccolo paese di circa 1300 anime del Parco Nazionale del Cilento. Ho studiato al Liceo classico “Parmenide” di Vallo della Lucania ed ho conseguito la laurea in Lettere moderne. Sono entrata nella scuola come vincitrice di concorso nel 1987, attualmente insegno Letteratura Italiana e Latino al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania. Ho pubblicato due testi di storia locale: "La lapidazione di Santi Stefano" e "Viaggio del tempo nel sogno della memoria". Da qualche mese gestisco un blog, una sorta di necessità interiore che mi porta a reagire al pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà. I tempi sono difficili: non sono possibili "fughe immobili".

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