Dobbiamo dirlo: sui vaccini la Commissione Europea ha combinato un grande pasticcio.
Tuttavia non c’è dubbio che la nuova Unione ha dato recentemente promettenti segnali di svolta, mostrato innovativi cambiamenti di strategia.
A cominciare dal piano di assistenza e sostegno ai paesi membri per i danni causati dal Covid.
Questa volta tutti i governi europei hanno immediatamente capito che di fronte allo sterminio dell’epidemia non era possibile continuare con i soliti giochetti di chi era più furbo, spregiudicato e profittatore.
E dopo qualche iniziale tentazione, hanno abbandonato il solito ricatto dei veti incrociati.
Coraggiosa anche la decisione di trattare l’acquisto dei vaccini a livello centralizzato, nonostante l’Europa non abbia competenze specifiche e obblighi conseguenti in campo sanitario.
Alla luce di quanto assistiamo quotidianamente, immaginate la bolgia se ogni nazione del continente avesse -autonomamente e in competizione con gli altri- cercato il proprio fornitore.
Con l’ovvia conseguenza di aumentare il costo dei vaccini.
Con l’aggiunta, da noi, della probabile pretesa delle Regioni di dotarsi anche di una “politica estera”.
Detto questo, c’è modo e modo di occuparsene.
Leggendo gli stralci sui contratti di acquisto dei vaccini ti prende qualche imbarazzo. Ho sempre saputo che l’importante è essere precisi su costi, tempi e penalità (i danni da inadempienze).
Siamo sempre severi con la pubblica amministrazione nazionale ma non pare che la tecnostruttura europea sia così preparata ed efficiente, ancorché molto ben retribuita.
Nessuno però può chiamarsi fuori dalla responsabilità perché alla stesura del tutto ha partecipato un rappresentante per ogni Paese.
Al momento delle prenotazioni, tutte le nazioni hanno ordinato i vaccini più economici, comprensibilmente viste le quantità in gioco. Ma bisognava capire che qualche differenza ci doveva essere tra quello da due euro e quello da 16. E l’azienda che vende quello da due -come abbiamo visto- non è più caritatevole e meno avida delle altre.
Probabilmente la Commissione si è mossa in ritardo (come succede quando devi mettere d’accordo 27 membri e nessuno ti concede fiducia e una delega) e non le è rimasto che appellarsi alla buona volontà delle società farmaceutiche che tuttavia -come è ben noto- non sono enti benefici.
Ma allora l’errore più grave è stato presentare come certezze (date di consegna, quantità di dosi) quelli che erano poco più che auspici ad un opinione pubblica devastata, impotente, totalmente sfiduciata.
Certamente l’approssimazione era dovuta alla fretta di mettere i cittadini europei in salvo prima dell’arrivo delle varianti ma doversi rimangiare (anche di pochi mesi o di poche settimane) promesse fatte a popolazioni ormai vicine al crollo psicologico è stato un errore “politico” prima che comunicativo.
Siamo tutti consapevoli di quanto miracoloso sia stato avere quattro vaccini approvati (e altri in arrivo) a distanza di un solo anno dal sorgere del contagio.
E come ciò sia la più importante forma di consolazione e di speranza verso una scienza che è sembrata vacillare -completamente cieca e impreparata- di fronte all’emergenza.
Ma tutto ciò è stato sprecato e vanificato da una comunicazione affrettata che è riuscita a “sporcare” la bellezza salvifica del vaccino.
Per di più la confusione commercial-contrattuale si è poi tradotta in incertezza medico-scientifica; l’antipatia verso le aziende inadempienti, nelle mani sapienti dei soliti manipolatori politici di professione, si è tramutata in inaffidabilità curativa.
Ultimo danno della vicenda: la splendida figura che sta facendo la Gran Bretagna.
Il governo inglese ha sbagliato praticamente tutto quanto ha fatto durante la pandemia.
Ma quello che accade oggi sembra uno spot a favore della brexit. Boris Johnson può dire: vedete, cari concittadini, cosa vuol dire essere liberi di muoversi da soli. Quanto condizionante sia appartenere ad una istituzione sovranazionale (lui che ci sta espropriando delle nostre dosi).
Quello che voglio dire è che gli europeisti non devono avere timori reverenziali verso l’Europa. Proprio perché tali, devono essere intransigenti con le sue manchevolezze e i suoi ritardi.
Se riconosco nella Commissione Europea “l’altro” mio governo, la devo trattare come tratto quello nazionale, cioè non perdonandogli nulla.
Siamo abituati a occuparci di Europa solo strumentalmente e funzionalmente a quanto capita in Italia. Quando ci serve approvare qualcosa di giusto ma scomodo da far digerire, risolviamo dicendo che “ce lo chiede Bruxelles” (il famoso “vincolo esterno”).
Per cui non vediamo in lei alcun difetto quando siamo timorosi di fare il gioco dei sovranisti nostrani.
Ma, al contrario, quando abbiamo visto crescere la disaffezione e lo scetticismo, ci dichiaravamo sostenitori si’ dell’Europa ma non questa, burocratica e senz’anima.
Ma, allora, bisogna spiegare quale vogliamo.
Per la mia generazione la prospettiva di non avere più guerre intestine bastava per giustificare la costruzione europea.
Ma quale giovane pensa oggi possibile una guerra tra stati europei?
Per appassionare i connazionali ai destini continentali pensiamo che la migliore tecnica sia, come sempre, quella di metterla sulla convenienza economica.
Ma è difficile che il singolo cittadino possa ricevere “direttamente” dei contributi dalla UE. Credo sia più interessato a far parte di una organizzazione forte e rispettata, capace di proteggerlo in un mondo complesso e imprevedibile. Per questo la partita dei vaccini è così importante.
Per il bene del nostro Paese abbandoniamo i due approcci all’Europa fin qui tenuti dalla stragrande maggioranza dei partiti: la sacralizzazione dal centro-sinistra e la demonizzazione dal centro-destra.
In compenso entrambi gli schieramenti si trovano d’accordo a trattare l’Unione come una controparte a cui “strappare” più soldi possibili.
Ma l’Europa siamo noi, speriamo di capirlo prima che sia troppo tardi.
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