La crisi non è nel sistema ma del sistema. Se questo assunto viene condiviso, la successiva affermazione coerente è che non esista una “soluzione interna”. Questo, a prescindere dalle volontà soggettive e dagli sforzi che vengono profusi. È il “motore” interno che è rotto e il suo blocco rischia di portare con se tutto l’impianto delle società del welfare che, faticosamente, si erano conquistate nel ‘900. E la fase che stiamo vivendo rappresenta l’ultimo tentativo di costruire un passaggio, una Transizione governata, prima di una vera e propria implosione sistemica o, peggio ancora (se un peggio può esistere…), lo scoppio di una guerra guerreggiata.
Pensiamo solo ai macro numeri resi noti in queste ore. La crisi aperta dal Covid-19 potrebbe portare ad una discesa del PIL mondiale di oltre il 3%. Nel 2008 la crisi dei derivati, dei sub-prime, del sistema finanziario, portò ad una riduzione del PIL prodotto di appena lo 0,5%. Una riduzione che, inoltre, si verificò investendo solo alcune aree geografiche, escludendo di fatto alcuni paesi che continuarono a “tirare” (se vogliamo ancora usare le metafore di un tempo). Quella crisi che valse 1/6 di quella che si prospetta oggi costrinse gli stati a “immettere” (cioè, creare dal nulla prendendo in prestito dal futuro) la bellezza di 13 mila miliardi di dollari in 5 anni di interventi a sostegno del ciclo. 13 trilioni (come si dice tecnicamente) di dollari. Circa 1/6 dell’intero PIL mondiale. Ora, in questa situazione di rottura sistemica aperta dallo scoppio della pandemia, gli stati hanno deciso di immettere (e lo stanno già facendo praticamente in modo più o meno efficiente) la stessa cifra di 13 trilioni di dollari in poco meno di 50 giorni. E la crisi ancora non si è neanche dispiegata, ma viene solo affrontata sulla “carta”.
Di fronte a tali scenari apparrebbe evidente a tutti che la soluzione possibile non è ricercabile né in nuovi meccanismi di immissione di liquidità nel sistema, né in una mera distribuzione più equa delle risorse. Queste due opzioni possono essere utili se e solo se sono utilizzate per “organizzare in maniera diversa” il fare umano, la sua produzione, la sua logica di funzionamento. Per questo la fase che stiamo vivendo è fondamentale: dobbiamo utilizzare questa immensa leva finanziaria per cambiare il motore, non per mettere benzina a quello che si è inceppato.
Un esempio si è palesato, in maniera plastica durante i giorni dell’emergenza dei centri di rianimazione. La necessità di “pezzi” necessari per il funzionamento dei sistemi di sostegno alla respirazione, non sarebbe potuta essere soddisfatta dai meccanismi produttivi industriali classici. Troppo tempo per innescare il meccanismo di domanda/offerta del mercato capitalistico, anche in presenza di un sostegno pubblico in termini di risorse economiche e di “spinta all’agire” di decisioni governative. Produrre quelle valvole necessarie serviva a salvare delle vite, ma il sistema, dentro il suo quadro di funzionamento, non avrebbe assolto a questa necessità. Le persone sarebbero morte. E qui, la logica nuova di produzione diretta di valore d’uso della nuova “economia”, che potenzialmente è già presente dentro la società umana, è emersa in tutta la sua dirompente “potenza” logico-produttiva. È stato sufficiente che un ingegnere con i “suoi” disegni tecnici rendesse disponibile quella “conoscenza” alla comunità umana raggiunta dalla rete, per mettere in condizione di produrre in ogni angolo del mondo il pezzo con una macchina in grado di “concretizzare” quella conoscenza in “materia”. Le stampanti 3D iniziarono a sfornare nel mondo le valvole necessarie a salvare le vite e a farlo in maniera gratuita. Ecco la forma nuova del soddisfacimento dei bisogni vitali soddisfatti non attraverso al logica capitalistica della produzione di merci e con lo sfruttamento alienato della capacità umana trasformato in merce-lavoro da retribuire attraverso un salario. È sotto i nostri occhi il possibile inizio della fase storica dell’umanità in cui la conoscenza accumulata diventa direttamente produttrice.
Una fase nuova della storia della lotta di liberazione delle persone e dell’intera collettività umana. Ma serve la politica che sappia indirizzare le risorse pubbliche verso tale esito e non per il sostegno del vecchio modo di produzione e di alienazione delle persone e del mondo.
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