Il talk show è un format televisivo nato negli Stati Uniti che vede protagoniste le parole. Consiste sostanzialmente nel “fare spettacolo” con uno o più ospiti noti o ignoti che si intrattengono in studio sui più diversi argomenti, opportunamente stimolati da un “padrone di casa”, il conduttore. Il successo della formula lo si deve soprattutto al basso costo di un ampio tempo di trasmissione e questo ne ha favorito la proliferazione su grandi e piccole reti televisive.
In Italia il primo talk show, Bontà loro, andò in onda su Rai il 18 ottobre 1976, ma numerose sono state le filiazioni che hanno seguito strade più o meno originali.
Ben presto la materia prima di questo format è diventata la polemica politica e sociale, con un’evidente ricerca dello scontro verbale, se non addirittura della rissa. Da Linea rovente a Milano-Italia a Samarcanda, fino ai talk show sportivi come Il processo del lunedì o Pressing.
La formula fornisce spesso un indebito accredito a personaggi discutibili o ancor peggio fornisce la ribalta televisiva a contenuti, a modi di pensare e comportamenti volgari, se non violenti, sacrificando ogni residuo di etica professionale sull’altare dello share. L’importante è il risultato: lo spettacolo e il suo conduttore, il pifferaio magico che con le sue osservazioni e i suoi commenti, ammiccando alla telecamera indica, suggerisce, consiglia il suo pubblico come giudicare situazioni e personaggi che ha scelto di mettere al centro del suo talk. Egli può “inventare” e lanciare in breve tempo personaggi altrimenti sconosciuti, privilegiando lo scontro tra fazioni o l’eccentricità del personaggio del momento.
Normalmente sono invitati a partecipare personaggi noti, o meglio resi noti non dal loro sapere o per la loro competenza sul tema in discussione quanto per il numero di presenze in video. Una sorta di compagnia di giro che passa da un talk all’altro senza alcun pudore. In alcuni format è previsto il collegamento in esterni con la “gente” (c’era una volta il “pubblico”) che abbandonata la veste di spettatore, diventa parte integrante dello show. Se poi c’è un evento straordinario, per esempio una pandemia, entrano in scena gli “esperti”, il cui parere specialistico entra in concorrenza con quello degli ospiti, che poco sanno di virus e vaccini, ma che sono portatori del “sapere” comune. In definitiva è il conduttore a “validare” partecipanti e argomenti, influenzando decisamente il giudizio del telespettatore. Un modus operandi a cui è estraneo Bruno Vespa.
Agli inizi degli anni 90 il talk show subisce una profonda mutazione: il comun denominatore dei conduttori è il tentativo di stabilire un legame fiduciario con il telespettatore in una ridefinizione della funzione del mezzo televisivo in termini di soggetto creatore di valori.
Michele Santoro è il grande cerimoniere di questa svolta. Il punto focale diviene la strategia prescelta per comunicare, al di là della specificità dei contenuti. E’ la conseguenza ultima del rifiuto della politica, con la sua intrinseca possibilità di mediazione dei conflitti e delle divergenze sulle politiche per il governo della società. Un rifiuto che viene fatto coincidere con quello delle ideologie, tralasciando dal considerare che è ideologica la scelta della tecnica di comunicazione in funzione dell’aggregazione del consenso, compresa quella centrata sul rifiuto della politica. In questo contesto è emerso il potere di chi, moderno alchimista, possiede il segreto della pietra filosofale, la tecnica del linguaggio televisivo: la democrazia ha rischiato più volte di divenire l’apoteosi del pifferaio magico. Se non è accaduto è perché il moltiplicarsi delle note non hanno creato la sinfonia e nemmeno lo spettacolo, ma soltanto confusione.
Poi il panorama dei talk negli ultimi anni è nuovamente cambiato, soprattutto ne è aumentato il numero, fino a divenire il fulcro dell’informazione nel palinsesto di reti televisive nazionali, come La7.
Anche Rete4 ha fatto questa scelta arricchendo la sua offerta editoriale di buoni prodotti di informazione come “Quarta Repubblica” di Nicola Porro o “Dritto e Rovescio” di Paolo Del Debbio. Ma la vera novità è stata la sfida lanciata alla signora di “Otto e Mezzo” con il talk di Barbara Palombelli che nella versione estiva è stato diretto da una nuova protagonista, Veronica Gentili.
Le due signore sono molto diverse a partire dalla voce: la Palombelli ha toni morbidi e suadenti, un sorriso ironico e un gesticolare appena accennato. Ha una lunga storia di giornalista parlamentare, conosce uomini e cose della storia recente del nostro Paese, dimostra ogni sera di avere una lucida capacità di analisi politica per cui molto spesso nelle sue domande c’è già la risposta che l’interlocutore non sa, o non vuole, dare.
La Gentili ha un altro stile, pratico, reattivo ove al centro oltre preparazione e conoscenza c’è soprattutto dinamicità. La voce è squillante e la mano con la penna tra le dita si alza sovente per passare la parola o interrompere l’ospite incapace di fare sintesi. Entrambe sono eleganti e femminili: la Palombelli ama i colori pastello, la Gentili i colori più decisi.
La Gentili non urla nè gesticola come quel clown di “Fuori dal coro”, non ha una spalla antitutto come la signora di “Otto e mezzo”, non è stata allieva alla scuola santoriana per fare “piazza pulita”, non ha mai fatto una maratona e nemmeno un po’ di “propaganda live”, non è mai scesa nell’arena alla ricerca dello scandalo. Veronica Gentili come Myrta Merlino o madame Tagadà sono signore del nostro tempo, parlano con competenza, eleganti e originali, si fanno sentire, ma non arringano le folle.
Da alcune settimane la Gentili è alla guida di “Controcorrente”, un nuovo talk show prodotto dalla Videonews di Mauro Crippa, la domenica in prime time da quando l’Arena si è spostata al mercoledì. Tutta un’altra musica dalla conduzione da buco della serratura del bel Giletti. Un “intrattenimento giornalistico” inusuale per una donna, giacché, fin qui, quei generi di palchi “post-dinner” sono stati appannaggio dei soliti noti in giacca e cravatta. Approda al giornalismo nel 2015 collaborando con “Il Fatto Quotidiano” dopo essersi diplomata alla “Silvio D’Amico” e dopo il debutto nel cinema con Gabriele Muccino e in teatro con l’Otello (al Silvano Toti di Proietti). Dopo vari film e fiction inizia a frequentare gli studi televisivi partecipando ad alcuni talk show. Poi approda a “Stasera Italia” estate e da qui il salto al settimanale della domenica.
A novembre scorso è uscito nelle librerie il suo libro “Gli Immutabili” per “La nave di Teseo”, un diario a tratti intimo che si tramuta ben presto in un racconto collettivo: incontri con gli amici in videochiamata, occhiate sospettose e sguardi di seduzione con le mascherine, paura quando la malattia arriva a toccare i nostri affetti più cari. E mentre vediamo continuamente posticipata la speranza di ricominciare a uscire, a lavorare, a vivere, i buoni propositi si scontrano con una realtà che ci vede più arrabbiati di prima. Con ironia e basandosi sull’analisi giornalistica, Veronica Gentili ci porta attraverso notizie allarmanti, fake news, riduzionisti e falsa retorica, a riscoprire tutta l’umanità che abbiamo temuto di perdere.
Nonostante il carattere esuberante centellina le sortite social se non per uso professionale, evidentemente poco avvezza a raccontare i suoi fatti privati nel tritacarne del gossip. D’altronde le storie familiari si portano dentro e formano il carattere. Con la mamma, grande mercante d’arte, è “cresciuta nel mondo dell’arte, tra quadri, sculture, mostre, inaugurazioni, cataloghi, passavo intere giornate tra la galleria e l’archivio. Cose che non si dimenticano. Un vero e proprio alfabeto sin da quando si è bimbi. Però da piccolina ero straconvinta di fare l’attrice. Quello ho sempre pensato, quello ho perseguito e quello era il mio obiettivo”.
Poi la vita si incarica di tracciare la nostra strada e, qualche volta, i sogni si accantonano per fare altre esperienze. Ma Veronica Gentili ha un pregio: nonostante la sua Accademia e il cinema non restituisce mai una immagine “piaciona”, recitata ma piuttosto è sempre molto vigile e attenta, rispettosa ma non al servizio dell’ospite. L’arte le ha regalato queste virtù.
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