Sono stato invitato a cena da Elisa Orchi per farmi gustare un piatto di lumache cotte alla romana con pomodoro, mentuccia, peperoncino, aglio, pepe, sale e un po’ di vino bianco. Un piatto che giudico scomparso dal menu delle famiglie romane. Quando ero ragazzo mia madre ci proponeva le lumache a tavola almeno una volta all’anno specie in occasione della festa di
San Giovanni. A volte ci portava sull’Appia Antica (come dire fuori Roma rispetto a Via Nazionale dove abitavamo) per trovare le lumache dopo un classico acquazzone romano. Oggi è raro trovare le lumache anche nei mercati rionali almeno quelli del centro storico, ma sono sicuro che quando i romani vanno in Francia non trascurano di assaggiare le escargots. Ricordo
un impiego non gastronomico delle lumache quello di ingerirle per curare, durante gli anni di guerra, l’ulcera gastrica.
Ho chiesto alla padrona di casa dove avesse acquistato le lumache ed ho saputo che ad Allumiere, una cittadina dell’Etruria Meridionale famosa per le miniere di alluminio oggi chiuse, c’è un fiorente allevamento di lumache sempre presenti nel menu delle trattorie dell’area tolfetana. Un’occasione stupenda per andare a curiosare e capire come funziona un allevamento di lumache. Ho visitato così un’azienda a struttura familiare nella quale i compiti sono ben divisi tra i competenti della famiglia.
E stato necessario farci accompagnare perché l’allevamento è situato all’interno della macchia mediterranea che si estende alle spalle di Allumiere. Un lungo percorso di dieci chilometri per raggiungere l’allevamento attraverso una dissestata strada tutta curve tracciata nella fitta vegetazione che diffonde intensi e piacevoli profumi di menta e fieno greco.
Ci accoglie un bel ragazzo creatore e curatore dell’allevamento. E stata proprio la tradizione gastronomica della regione a suggerire la creazione dell’impianto a Stefano Sforzini tecnico di un’azienda locale. Così è partito per Cherasco in Provincia di Cuneo, dove l’Istituto Internazionale di “Elicicoltura” organizza corsi di fine settimana attraverso i quali tutti possono dedicarsi proficuamente all’allevamento e allo smercio del prodotto. Intelligenza e coraggio imprenditoriale lo hanno assistito nell’allestimento della elicicoltura.
Oggi è molto soddisfatto della sua iniziativa anche perché ha avuto un successo economico. Le colture sono realizzate per mezzo di strisce di terra per un’altezza di 20 centimetri, di varia lunghezza e due metri di larghezza recintate da lamiere zincate, nelle quali vengono coltivati vegetali a foglia capaci di fornire nutrimento alle lumache e consentire la deposizione delle uova dopo l’accoppiamento. Questi settori sono intervallati da passaggi diserbati indispensabili per la cura degli allevamenti.
La curiosità della natura vuole che le lumache siano ermafrodite ma insufficienti per cui devono accoppiarsi per produrre 50-200 uova che dopo essere state nascoste in un ricettacolo del terreno daranno vita ad un massimo di 150/200 adulti. Le uova sono commestibili e possono ben sostituire il caviale di più chiara fama. E’ interessante anche sapere che la lumaca dispone
di 20.000-25.000 dentini disposto su 150-200 file capaci di grattugiare l’erba per inghiottirla con la saliva. Un lavoro estenuante!
Il campo è recitato da una lamiera zincata per impedire sia la fuga delle lumache sia l’ingresso di predatori. Sulla superficie interna della lamiera viene stesa una rete di polietilene 100% disposta in modo da formare due balze che rendano impossibile il superamento del recinto. Peraltro la lumaca può produrre una sostanza capace di corrodere anche il ferro. Una lumaca
vive da 1 a 6-7 anni.
Quando l’allevatore mette in funzione l’impianto di irrigazione le lumache escono allo scoperto e vengono raccolte per essere sottoposte a sette giorni di spurgamento quindi controllate e selezionate a seconda della dimensione e avviate poi al controllo veterinario prima della vendita ai mercati e ai ristoranti. Quante se ne vendono? 12.000 – 20.000 al giorno nei periodi
tradizionalmente importanti per la richiesta di questa prelibatezza gastronomica.
Parte viene fatta bollire sul posto per un’ora e un quarto circa e surgelata in pacchetti di trecento grammi o un chilo.
Naturalmente anche per l’allevamento delle lumache esistono problemi che possono farlo fallire. Prima di tutto è importante la scelta del terreno. Non a caso abbiamo fatto un lungo percorso per allontanarci dal centro abitato ed un altro percorso a piedi per allontanarci dal percorso delle auto e i loro scarichi di polveri sottili. Le lumache sono infatti molto esposte all’azione di sostanze nocive ed in particolare quella dei metalli pesanti o altro. Poi non mancano le malattie parassitarie.
Le curiosità non sono finite se accenniamo alle denominazioni delle chiocciole nei vari dialetti:
Lumaca, lumaga ed una quantità innumerevole di varianti fonetiche che dal Lazio e Toscana si estendono al Nord-Est e Nord-Ovest con le forme accrescitive Lumascon e diminutive come lumagot; Limasa in Liguria e Piemonte da Limus “fango”, Chiocciola nella Toscana centro-occidentale; Cocciola nelle Marche e Abruzzo fa riferimento a coclea; Martinaccio al confine tosco-romagnolo dal nome personale Martino dato anche ad uccelli (martin-pescatore);
Schnecke per i ladini friulani; Chioso nel Veneto e Friuli che sta per clusus, chiuso; E tanti altri ancora: corniolo, bovolo, coccia, marca, ciammaruca, bovalaci, croca, sizzigorru…
Le ricette sono tante e trovano conferma nelle Sagre come quella di Cannule (LE), Casumaro (FE), Molini di Triora (IM), Cantalupo DomBevagna (PG), e tantissime altre in tutti i mesi dell’anno. Tutte queste informazioni le ho estratte dal testo edito dall’Istituto di
Elicicoltura a cura di Giovanni Anagnina che nel ’98 era il sindaco di Cherasco e l’esperto di allevamenti.
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