Scrivo oggi, lunedì 24 febbraio, rimasto “confinato” in casa a Milano per due ragioni che, per non fare frasi troppo lunghe, spiego brevemente.
Al mattino perché l’ordinanza regionale della Liguria ha annullato l’evento previsto alla storica Sala Sivori a Genova (quella che vide riunire Il 14 agosto 1892 il congresso con 400 delegati del Partito Operaio Italiano e della Lega Socialista Milanese con le arringhe di Turati, Cabrini, Costa, Maffi, Prampolini e altri da cui, dopo una divisione immediata, nacque nella Sala dei Carabinieri Genovesi in via della Pace il Partito dei Lavoratori italiani che nel 1895 cambiò il nome in Partito Socialista Italiano), evento dicevo programmato per ricordare il giorno del 30° anniversario della scomparsa di Sandro Pertini.
Un evento speciale perché centrato sul lavoro delle quinte classi del Liceo “Sandro Pertini” di Genova che, per mesi, hanno studiato le carte dell’ILSREC (Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea), della Fondazione Turati e della stessa Fondazione Pertini, preparando argomenti e domande per incontrare storici e studiosi e ripercorrere insieme le principali vicende di quell’illustre ed eroico ligure e italiano che fu il presidente Pertini.
Ebbene l’evento è stato rimandato per ora sine die.
Poi al pomeriggio, perché l’ordinanza regionale della Lombardia ha indotto i rettori delle dodici università lombarde a chiudere i battenti, cancellando lezioni, esami e ricevimenti.
Non commento qui queste ordinanze perchè come dice il sindaco di Milano Sala esse “non si discutono, si eseguono”. Capisco e non capisco queste misure (mentre i cittadini possono andare sulla metro e sui bus e possono presentarsi con le valigie nei supermarket lasciando i banconi vuoti come se fosse scoppiata la terza guerra mondiale), ma a mia volta “eseguo” e quindi raccolgo tranquillamente a casa le carte e i materiali dell’evento a cui avrei dovuto partecipare a Genova.
In particolare dedicando finalmente il tempo che merita al ponderoso libro dello storico savonese Giuseppe Milazzo, edito da Ornitorinco, Sandro Pertini. Gli anni giovanili, 536 pagine, presentazione di Carlo Tognoli, straordinaria iconografia, un apparato irrinunciabile di note e una montagna di piccole e grandi rivelazioni.
Si racconta come cento anni fa un giovane appassionato, coraggioso idealista nato a Stella, sulle alture del savonese, dichiarava guerra al fascismo subendo un ventennio di condanne e confini per svolgere il 25 aprile del ’45 in piazza del Duomo a Milano il più celebre e simbolico discorso sul riscatto dell’Italia liberata e per diventare 33 anni dopo quella prima giornata di libertà presidente della Repubblica italiana.
Una storia che non ha bisogno di enfasi per conquistare l’ammirazione delle nuove generazioni.
Ecco perchè l’evento di questa mattina avrebbe forse meritato l’eccezione di svolgersi lo stesso nella per ora incontaminata Genova nel giorno esatto della ricorrenza. Ma che a buoni conti si svolgerà comunque appena sarà autorizzata.
Questo libro ha dominato gli eventi della settimana scorsa in Liguria, a Savona e nella stessa Genova.
Così che davanti a sale assiepate e con l’ammirazione di più generazioni, da questo libro sono usciti ricordi, testimonianze, nessi, nomi, contesti, che la scrittura rigorosa e didattica di Milazzo restituisce dipingendo storie che – per coerenza, determinazione, forza morale – diventano narrazioni esemplari della stessa identità nazionale.
Ma nelle pieghe di questo libro si racconta, naturalmente, anche un’altra identità nazionale.
Quella degli italiani che sono protagonisti della costruzione di un dispotismo fatto – per usare il titolo di un capitolo del libro – di “bastonature e condanne”. Il sentimento violento che porterà ad abbattere la democrazia liberale, le regole del pluralismo, gli spazi delle libertà politiche e sindacali che tra l’Ottocento e il Novecento si forgiano nei conflitti sociali e nel dramma della prima guerra mondiale.
Questo sentimento, anch’esso popolare, si farà a poco a poco poliziesco, burocratico, organizzativo. Plasmerà lo Stato, avrà spazio nei codici, profilerà i suoi nemici.
Il super condannato “Pertini Alessandro, fu Alberto e di Muzio Maria”, finirà per costituire un dossier di immensa casistica. Che non finirà negli archivi della storia quel 25 aprile. Ma come si coglie nelle stesse pagine del libro, manterrà un suo posto nelle diffidenze del “continuismo questurino” che resterà per buoni venti anni un tema dell’Italia repubblicana. Non fu un caso che lo stesso Pertini, al tempo già presidente della Camera dei Deputati – come ha ben raccontato Enrico Deaglio nel suo recente ”La bomba – Cinquant’anni di Piazza Fontana” (Feltrinelli 2019) – piombato a Milano dopo la tragedia del 12 dicembre 1969 rifiutò di dare la mano al questore della città, quel Marcello Guida che orchestrava l’informazione pubblica attorno alla “pista anarchica” e che Pertini aveva ben conosciuto di persona, essendo stato il direttore fascista del carcere di Ventotene in cui lui era confinato.
Ecco il contesto del documento che Milazzo ha ritrovato lavorando negli archivi di Stato, e su cui Donatella Alfonso ha dedicato per prima alcune righe con il punto esclamativo, nei giorni scorsi, nel suo bell’articolo sulle pagine genovesi di Repubblica in cui ha parlato del libro e degli eventi che hanno circondato le prime presentazioni a Savona e a Genova (le prossime saranno a Milano, Roma e Firenze).
Qui per la prima volta il documento viene riprodotto nella sua evidenza integrale.
Si tratta di un fonogramma scritto sulla carta intestata del Ministero degli Esteri, Gabinetto Passaporti, in data 14 novembre 1980 (governo Forlani, Emilio Colombo ministro degli Esteri) con evidente ipotesi di redazione all’insaputa dei vertici politici del tempo, indirizzato alla Questura di Savona, cioè della città natale di Pertini.
L’argomento – come è scritto nell’oggetto – riguarda la concessione, da parte di quell’Ufficio, del passaporto diplomatico all’on. Alessandro Pertini, evidentemente su richiesta del Quirinale, giacché, circa due anni dopo l’elezione al Quirinale, si ritiene necessario dotare il Capo dello Stato di un passaporto diplomatico in vista di alcune visite ufficiali. Il responsabile di quel Gabinetto firma il fonogramma, ma la firma appare illeggibile (non così il codice del mittente che è 001/P/6001). Il testo va riportato per intero.
“Per opportuna conoscenza e documentazione di codesto Ufficio si informa che è stato rilasciato al nominato in oggetto (qui il funzionario che leggerà per primo il fonogramma annota, su questo dozzinale riferimento, due punti esclamativi) un passaporto diplomatico valido sino al 9.7.1985 (data ovvia per qualunque funzionario dello Stato perché trattavasi della fine del mandato presidenziale)”.
Il secondo capoverso parrebbe l’invenzione di uno storico-archivista in vena di battute che vuole provocare una risata dai colleghi. E invece si tratta di inchiostro originale della Repubblica italiana. Leggete trattenendo il respiro:
“Qualora intervenissero motivi ostativi (sic) alla concessione in questioni (sic) si prega divoler (sic) informare tempestivamente questo Ministero”.
La memoria di un antico dossier di polizia doveva ancora aleggiare nelle pieghe dello Stato.
Nella storia archivistica del documento ci sarà una consegna agli “atti” con incorniciato a colori quel “motivi ostativi”. Dopo di che gli “atti” avrebbero significato un lungo sonno.
Il funzionario “primo lettore” scrive con prudente stupore “per il Capo dello Stato” e ci aggiunge naturalmente un punto di domanda.
Noi restiamo senza parole davanti a questa incredibile “sequenza repubblicana”. Venendoci solo in mente che se fosse stato un funzionario come il comandante Gregorio De Falco a leggere per primo quel fonogramma noi – in questo caso diciamo più rappresentati – lo avremmo ritrovato almeno con la famosa parola appostata con più furore.
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