In attesa di capire come il mondo modificherà i suoi costumi di vita conclusa la pandemia del corona virus cominciamo a intravvedere che in Europa gli Stati sovrani, specialmente del Nord e del patto di Visegrad, hanno sostituito alla solidarietà l’interesse.
Se si debbono studiare misure di solidarietà per i paesi che più degli altri soffrono della simmetrica crisi legata al malevolo virus, si deve fare, spiegano anime belle, candide e progressiste, perché conviene. C’è chi nei Paesi Bassi, pur restando nel Governo guidato da chi anche in patria comincia ad essere assimilato più ad un contabile che ad uno statista, sostiene che senza l’Europa l’Olanda non potrebbe essere tanto ricca come lo è attualmente ed una rottura del patto europeo sarebbe fatale per l’economia sua e dei paesi nordici. In Germania il discorso è parimente legato al paventato danno irreparabile non solo per i suoi commerci ma per la sussistenza del suo ruolo strategico nel sistema planetario.
I nodi istituzionali son venuti al pettine ed i capelli politici ancorché ben lavati restano tenacemente arruffati.
La retorica dispiegata dalla destra italiana ed europea (il centro democratico della destra nonostante alchemiche misture berlusconiane si è da tempo volatilizzato) non riesce a spiegare quanto la Commissione ed il Parlamento Europeo siano (relativamente) poco incidenti nell’indirizzo e gestione del sistema della proclamata Unione che tale non è. I reali poteri sono saldamente nelle mani del Consiglio europeo e quindi degli Stati che li gestiscono secondo le più ferree regole dettate dalla real politik. Il sovranismo proclamato dalle destre è già al potere in Europa e l’Italia fatica a partecipare al gruppo di testa per la debolezza acquisita negli ultimi venticinque anni di seconda, giusto per dare una definizione all’ingrosso, Repubblica.
Dopo il vertice di Nizza (2000) si persero le speranze di una nuova Europa con la solenne bocciatura tramite Referendum, nel 2005, prima in Olanda e poi in Francia della Costituzione Europea che, con diverse difficoltà, Chirac e il gruppo di redazione, di cui fece parte per l’Italia Giuliano Amato, erano riusciti a redigere in un testo accettabile. Da allora la Commissione da Governo dell’Europa è divenuta una segreteria operativa del Consiglio e le decisioni del Parlamento spesso non ledono la corazza che erge lo stesso Consiglio, a volte ritardando per anni una presa di decisione.
Una delle opzioni possibili della scena politica ed economica del futuro deve quindi prendere in conto uno slabbramento ulteriore dell’ideale politico che ha reso, nell’ambito dell’Alleanza atlantica, l’Europa una comunità solidale e pacifica capace di realizzare progresso e benessere per i suoi cittadini, non dimenticando la cooperazione ed il sostegno offerti a tanta parte del pianeta.
Scricchiola il patto franco-tedesco, e questo è un male, perché l’interesse primo degli europei è la garanzia della pace e nessuno, neanche il più ottimista, può giurare sulla impossibilità per la Germania di ricadere nelle fauci dei suoi demoni; non è poi una assurdità valutare la potenza militare e nucleare della Francia una garanzia non soltanto per l’Esagono ma per tutto il continente, perché non è considerabile offensiva nei confronti della Russia, e, per la sua dislocazione strategica, va considerata dissuasiva a favore degli alleati e dell’Europa.
Parigi, a differenza di Berlino, sa cogliere i momenti della Storia e, cercando di mantenersi all’interno del perimetro ideale che ha scelto dalla sua Rivoluzione in poi, prova a contemperare l’ossessione di essere prima in qualsivoglia competizione scientifica, tecnica, artistica e prima nel disincantato empireo delle libertà individuali e dello spirito, coi sentimenti di eguaglianza tra gli uomini e di rispetto delle altrui libertà. Esercizio difficile che qualche volta non riesce o riesce male, stonato, antipatico. Comunque è con l’alleanza della Francia che l’Italia ha trovato lo spazio per scrivere le sue vittorie.
Parigi ha scelto una strada diversa da quella di Berlino, solidarietà prima dell’interesse, ed è questa una scelta che incupisce la già poco allegra Cancelliera Merkel che sa quanto siano stati essenziali i deboli governi Sarkozy ed Hollande per profittare senza pagare il pegno pattuito dell’accrescimento fuor di misura dell’avanzo commerciale, che pian piano ha messo in difficoltà tutti gli altri grandi paesi dell’Unione. Sa bene la Cancelliera che senza l’ausilio politico e diplomatico della Francia e poi dell’Italia non avrebbe potuto, a spese dell’Europa intera, pagare l’inaffidabile governo Erdogan per fermare il fiume di migranti in fuga principalmente dalla Siria. Sa ancora la Cancelliera che senza l’Unione sarebbe stata soccombente alla irruenza ostativa commerciale e diplomatica di Trump.
Indebolita nel suo partito e, quanto basta, nell’elettorato il capo della Germania dimostra più chiaramente che nel passato le sue opacità, che a loro volta trascinano le istituzioni europee, ripeto espressione di sovranismo, in una crisi senza sbocchi non diversa da quella auspicata da Orbán, Meloni e Salvini.
L’interesse italiano è, ovviamente, quello di perseguire le linee tradizionali della sua politica sapendo che oggi è più difficile e costoso praticarle.
Abbiamo interesse a vivere in un Continente non ostacolato da barriere doganali perché abbiamo bisogno di concorrere nel mercato globale per non essere esclusi da settori produttivi per noi essenziali (tra i tanti cito: agroalimentare, farmaceutica e chimica, avionica, ma si potrebbe continuare). Abbiamo interesse a mantenere l’Euro, se non altro perché il 20% del nostro debito in Euro e nelle mani della Banca Centrale Europea (che si accinge ad acquistarne altro) e già ora depurando il 138% di debito sul PIL del 20% della BEC e della percentuale in mano ai sottoscrittori pubblici italiani (compresa la Banca d’Italia) i mercati sanno che il “rischio” Italia si riduce a meno del 100% del PIL, un peso assolutamente sostenibile, pur essendo chiaro che il montante generale del debito deve essere drasticamente diminuito.
Fuori dall’Euro la pressione speculativa sarebbe intollerabile perché il rischio Italia esploderebbe in previsione di una seria recessione. Dobbiamo operare perché, nonostante lo strapotere sovranista impedisca la creazione di nuovi poteri europei (Bilancio europeo per cominciare), le attuali istituzioni resistano all’onda d’urto: fuori dalle istituzioni non riusciremmo, al momento, a difendere i nostri interessi nel Mediterraneo insidiati da altri paesi, Turchia e Francia compresi.
Con fatica, nonostante l’onorevole Renzi, il senatore Salvini ed i neofascisti italiani, l’onorevole Meloni ed i postfascisti, abbiamo mantenuto un ruolo in Europa che ci permette di dialogare dignitosamente con Washington. Gli Stati Uniti, attualmente governati da un presidente particolarmente ostile all’Europa, e poco cosciente del ruolo di una Potenza unica e planetaria nei confronti dei suoi Alleati, sono e resteranno amici degli italiani. I governi passano ma non gli stati ed i popoli e la loro storia. Fuori dall’Europa anche un’oramai scassata Gran Bretagna, comunque prima alleata degli Stati Uniti soprattutto in versione trumpiana, ricomincerebbe la sua fertile e composta attività di trucchi dannosi ai nostri danni.
Per tornare a sperare in una Europa solidale è bene praticare una politica che si basi su interessi non egoisti come quella dei rapaci anseatici, dicono a Bruxelles, adusi a cibarsi delle carcasse mediterranee, ma dei padri di famiglia previdenti e saggi, capaci di calcolare il soldo nel borsellino e di spenderlo con parsimonia anche a dispetto di chi, come la stampa tedesca, sorride e pugnala.
È vero che senza l’Europa, pur nei suoi attuali gravi limiti, l’Italia subirebbe un gravissimo danno. È vero anche che senza l’Italia nelle Istituzioni in Europa finirebbe lo strapotere tedesco e il vergognoso commerciale metodo olandese al dumping fiscale. Peccato che assieme all’acqua sporca si rischia di gettar via anche il bambino.
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