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Abbiamo ancora uno Stato?

Abbiamo ancora uno Stato? Non è una domanda provocatoria, è una domanda seria. Uno Stato rispettabile dovrebbe garantire i servizi fondamentali sul proprio territorio e difendere gli interessi nazionali verso l’esterno. Ognuno di noi verifica sulla propria pelle il grado di efficienza dei servizi: la scuola è ridotta a uno stato comatoso, abbiamo i mezzi pubblici di trasporto più squallidi d’Europa, per non parlare dei sistemi di sicurezza che ci lasciano troppo facilmente alla mercé di delinquenti. Infine nel campo dell’assistenza sanitaria ci siamo fatti trovare impreparati di fronte all’aggressività del virus, con un piano per l’emergenza fermo al 2006 e mai aggiornato. Il risultato è che l’Italia ha il numero di morti più alto d’Europa.

Ma va ancora peggio nei rapporti con gli altri Paesi, la nostra immagine nazionale è così scolorita, così deprimente che ormai all’estero ci umiliano, si fanno beffe di noi. Il caso dei 18 pescatori siciliani dimostra che siamo considerati ricattabili perfino da un generale da operetta come il libico Khalifa Haftar. Il 1° settembre scorso gli uomini di Haftar sequestrarono un peschereccio di Mazara del Vallo nelle acque del Mediterraneo. Da allora Haftar tiene prigionieri i 18 marinai e per il loro rilascio pretende che l’Italia liberi quattro libici condannati nel nostro Paese con l’accusa di omicidio e traffico di esseri umani.

Come al solito, il nostro governo, incapace di farsi rispettare, sta cercando di comprare la libertà dei nostri connazionali con pacchi di banconote. Ben diverso il comportamento di Haftar pochi giorni fa, quando i suoi miliziani avevano sequestrato una nave turca. Il leader di Ankara Erdogan ha minacciato di aggredirlo a cannonate e ha mandato aerei militari a sorvolare un’area della Cirenaica. Di fronte a questa azione di forza il generale libico ha subito liberato la nave turca.

Il Mediterraneo è un mare sul quale l’Italia ha esercitato in passato una notevole influenza. Ora ne è stata quasi completamente espulsa. A partire dal 2011 la politica estera del nostro Paese si è completamente sbriciolata sotto i colpi dei caccia bombardieri francesi, inglesi e americani che aggredirono la Libia, senza nessun rispetto verso l’Italia che aveva nel Paese africano il maggior alleato nel Mediterraneo. Da allora i nostri interessi economici in Libia sono compromessi, il territorio libico è sconvolto e per noi è causa di continui pericoli.

Quando il leader Serraj, insediato a Tripoli dall’Onu, ha chiesto all’Italia di aiutarlo a mettere un po’ d’ordine nel suo Paese devastato, il primo ministro Conte gli ha dato una risposta che ha fatto ridere mezzo mondo. “I nostri militari – ha detto Conte – vanno solo se ci sono le condizioni di sicurezza”. Come se i militari non avessero proprio il compito di creare le condizioni di sicurezza. Altrimenti che vanno a fare, i turisti?

E’ un’umiliazione anche per le nostre Forze armate che ormai vengono usate con compiti che le assimilano alla Protezione civile. Naturalmente al turco Erdogan non è sembrato vero. Di fronte al rifiuto italiano di aiutare Serraj, la Turchia si è offerta di mandare le sue truppe. Ecco, ci siamo qui noi, veniamo ad aiutarvi. E così l’Italia, che nella guerra italo-turca combattuta nel 1911 e 1912 aveva scacciato i turchi dal territorio libico, ha permesso ora ai turchi di ritornare senza trovare nessun ostacolo.

In tutta questa triste vicenda c’è anche un aspetto che suona come derisione verso l’Italia. Il nostro Paese aveva concesso alla Libia alcune motovedette necessarie alle guardie di Tripoli per controllare il traffico clandestino di esseri umani. E adesso su quelle imbarcazioni italiane salgono i militari turchi.

Non è solo Erdogan a prendersi gioco di noi. Non è solo il generale Haftar a sfidarci apertamente. Anche l’Egitto ci ostacola in mille modi, ci impedisce di riprendere il controllo di attività economiche e gode nel farci umiliare dal generale Haftar che il rais Al Sisi finanzia.

Siamo isolati e non siamo capaci di svolgere nessun ruolo attivo. Subiamo e basta. Allora, di nuovo: abbiamo ancora uno Stato? Oppure aveva ragione il principe di Metternich quando definiva l’Italia solo “un’espressione geografica”?

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Marco Nese

Marco Nese è giornalista del «Corriere della Sera». Ha collaborato con Raiuno ed è autore di libri fra cui: Nel segno della mafia (Rizzoli), Parola d’ordine: Roma uno (Rizzoli), La russa (Rizzoli), La Piovra (1 -2-3-4, Eri/Mondadori, tradotti in 12 lingue), Come sopravvivere ad un figlio (Ediget). Far West (Rai Eri) e Gli eletti di Dio (Editori Riuniti).

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Tag: libia

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