Ekkapong Chantawong, 25 anni, è l’allenatore che ha messo i ragazzini thailandesi nel guaio che sappiamo (ieri, altri quattro salvati, vedi la Prima Pagina): si sarebbe tentati di crocifiggerlo, ma l’uomo è apparso a tutti talmente mite, contrito, smunto e depresso e pervaso di spirito religioso! Ha rinunciato alla sua parte di cibo, durante la sepoltura nella grotta ha insegnato ai dodici ragazzini – che lo adorano – l’arte della meditazione, con la quale si sono aiutati a sopravvivere. Qualche genitore gli ha scritto: «Hai fatto il possibile, non ci pensare, cura i bambini». Ek è stato monaco, «un’esperienza che ha abbandonato tre anni fa per accudire la nonna malata e aiutare la zia, continuando a dare una mano al tempio. I genitori non li ha da quando aveva dieci anni. Lo descrivono tutti come un ragazzo dal cuore d’oro, lavoratore, senza vizi. Una passione sola: il calcio, e i suoi ragazzi. Diciassette giorni fa li aveva portati in trappola. Oggi, come un vero capitano, sarà l’ultimo a uscire» [Ursic, Sta].
«In questi Mondiali a 50 anni dal Sessantotto verrebbe voglia di rispolverare i vecchi slogan in voga dieci lustri fa: «Io sono mia» o «L’utero è mio e me lo gestisco io». Non erano neppure iniziati i Campionati che già Tamara Pletnjova, presidente della Commissione per la famiglia, le donne e l’infanzia alla Duma, invitava a stare lontane dai tifosi stranieri. “Ci saranno ragazze che usciranno con loro e rimarranno incinte? Forse. Spero di no”, aveva detto intervistata dalla radio Govorit Moskva. “Dobbiamo dare alla luce figli nostri”, aveva poi aggiunto ricordando che, dopo le Olimpiadi di Mosca 1980, le madri single triplicarono e partorirono figli di “una razza differente”. In Russia esiste persino un termine per indicare i bebé meticci nati nove mesi dopo i grandi eventi internazionali ospitati dal Paese: “deti festivalja”, “figli del festival”. Ne parlano anche il libro Una storia russa di Ljudmila Ulitskaja e il musical Stiljagi diretto da Valerij Todorovskij nel 2008. Il termine fu coniato nel 1957, anno del Festival mondiale della Gioventù e degli studenti, quando 40mila giovani da tutto il mondo invasero la capitale. Josif Stalin era morto quattro anni prima e solo allora era stato revocato il divieto di sposare uno straniero. Il pregiudizio però era rimasto.
Ora che le donne russe da settimane si fanno beffa delle raccomandazioni della Pletnjova, tornano i vecchi spauracchi. A difendere l’onore patrio i “machi” russi, a cui tanta concorrenza pare non vada giù. Tanto che su Vkontakte, il Facebook russo, c’è chi propone di versare la “zeljonka” (un antisettico verde usato per “marchiare” i dissidenti) sulle ragazze beccate a flirtare con gli stranieri. E su Moskovskij Komsomolets è apparso un commento criticatissimo dello scrittore Platon Besedin intitolato “La generazione delle troie. Ai Mondiali di calcio le russe disonorano se stesse e il Paese”. “Abbiamo prodotto una generazione di zoccole – scrive Besedin – pronte ad aprire le gambe non appena sentono parlare una lingua straniera”. A poco è servita la petizione lanciata dalla scrittrice Snezhana Gribatskaja su Cosmopolitan Russia per chiedere le scuse dal giornale. E neppure l’intervento a gamba tesa di Dmitrij Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, ha sortito effetto: “Le nostre donne sapranno fare di testa loro, sono loro che decidono. Sono le migliori del mondo”. Dibattito e insulti continuano. Le russe se ne infischiano. Il traffico sull’app d’incontri Tinder è schizzato di 11 volte rispetto a un mese fa. “Io sono mia”. Con buona pace di nazionalisti e maschilisti» [Castelletti, Rep].
In Gran Bretagna il governo di Theresa May sta andando in pezzi. In meno di 24 ore si sono dimessi prima il Segretario di Stato per la Brexit, David Davis, seguito a ruota dai sottosegretari Steven Baker e Suella Braverman. Infine l’addio politicamente più pesante, quello del ministro degli Esteri, Boris Johnson. Per la May, che affronta la crisi più difficile da quando alle elezioni dello scorso anno ha perso la maggioranza in Parlamento, si tratta di un colpo durissimo che ora mette in pericolo anche la sua leadership nel partito e quindi nel Paese. Per tutto il weekend si erano levate le accuse di tradimento dal fronte euroscettico, di cui Johnson è il capofila: l’ala dura del partito conservatore non ha digerito il piano presentato venerdì scorso dalla May, che punta in direzione di una soft Brexit, un’uscita morbida dall’Unione europea. Nella sua lettera di dimissioni Johnson afferma che «il sogno della Brexit sta morendo, soffocato da dubbi inutili. Così ci avviamo ad assumere lo status di una colonia dell’Ue». Il rischio ora è una paralisi nei negoziati con Bruxelles che accresce l’ipotesi di un’uscita di Londra dall’Ue, il 29 marzo 2019, senza nessun accordo. Scrive Ippolito sul CdS: «Gli euroscettici ritengono che si stia materializzando lo spettro di una Brino (Brexit In Name Only, una Brexit solo nominale): cioè che la Gran Bretagna esca solo formalmente dall’Unione europea, ma continui a restare legata a leggi e regolamenti comunitari. In effetti il piano della May prevede di rimanere di fatto nel mercato unico per quanto riguarda industria e agricoltura e apre a ulteriori concessioni sul fronte della libera circolazione delle persone: tutte cose che per gli euroscettici sono un tradimento dello spirito del referendum del 2016. Davis e Johnson non ce l’hanno fatta a digerire il piano May e si sono dimessi. E non è un mistero che della stessa opinione siano tanti deputati conservatori: bisogna vedere ora se avranno il coraggio di andare fino in fondo e lanciare una sfida per la leadership, con l’obiettivo di deporre la May».
«È la resa dei conti all’interno dei Tories, a lungo rimandata. Una svolta che può aprire qualunque scenario: un rafforzamento di May; un nuovo leader del partito e del governo, con lo stesso Johnson fra i candidati più forti; elezioni anticipate, con la possibilità che, davanti ai conservatori divisi, le vinca il laburista Jeremy Corbyn; e un secondo referendum sulla Brexit, o meglio sull’eventuale accordo finale tra Londra e Bruxelles. Ammesso e non concesso che, nel caos attuale dentro al governo britannico, le due parti arrivino a un accordo» [Franceschini, Rep].
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