Si moltiplicano in questi giorni petizioni ed appelli per arginare la crisi che ha investito le imprese, le istituzioni ed i lavoratori della cultura in un Paese la cui economia è globalmente messa sotto sforzo dalla note vicende.
Che la pandemia del coronavirus abbia già determinato una grave crisi economica è ormai un dato acquisito e gli interventi di sostegno varati dal governo, e per i quali si lavora a livello Europeo, a favore delle imprese e per controbattere la disoccupazione ne sono la diretta conseguenza, occorre creare le condizioni di una possibile ripresa.
In questo contesto i provvedimenti a favore dei settori produttivi connessi alla cultura, dal teatro al cinema, dalle produzioni televisive all’editoria, dalla musica al balletto sono stati alquanto limitati. Basti leggere l’articolo 87 del decreto “Cura Italia”, recentemente approvato dal Parlamento, per capire come sia assemblate solo poste di bilancio già previste, un’unica voce per 130 milioni di euro, la stessa somma delle solite tradizionali sovvenzioni.
Il mondo della cultura sta pagando un prezzo ancora più elevato di altri settori della economia nazionale; il blocco delle attività sta desertificando professioni e imprese che vivono della produzione di quanto le imprese culturali e creative richiedono. Che sia intrattenimento, che si tratti di arti figurative, musica, cultura, il grande timore è che l’immaterialità del prodotto non tenga conto, nei decreti di attuazione delle misure di salvaguardia, della importanza strategica di questo settore. Ancor più in un momento storico che richiede un punto di svolta nella visione dei modelli di vita.
Sono anni che assistiamo inerti al degrado del patrimonio culturale e della produzione di cultura: ci allarmiamo ogni volta che una fabbrica di tondini di ferro mette in cassa integrazione i propri lavoratori, ascoltiamo proclami di ministri e oppositori, accompagnati dai menestrelli dell’arena televisiva, contro l’Europa matrigna, ma mai una parola sui cinema e i teatri che chiudono i battenti, sulla moria delle librerie, sulle orchestre che non suonano e i balletti che non ballano. Non sono solo gli artisti a pagare, non sono solo le maestranze a non avere lavoro, impiegati, operai di imprese senza fatturato e senza pubblico (cinema e teatri chiusi, concerti soppressi, musei e librerie chiuse, la televisione ridotta a trasmettere bollettini sanitari e prodotti delle teche). Non solo loro, per la verità, anche tutti gli altri, cittadini di una Repubblica democratica, vengono lasciati senza il sale della cultura, senza quella spinta creativa che alimenta da sempre pensiero, identità, dialogo.
È evidente che la soluzione per queste aziende e per questi lavoratori non può essere quella di ricorrere al sistema bancario e di contrarre mutui o prestiti, sia perché potrebbero offrire a garanzia soltanto un prodotto immateriale, sia perchè sarebbe loro estremamente difficile garantire la restituzione del prestito con guadagni futuri per una attività che non potrebbero intraprendere in quanto l’eventuale prestito andrebbe a coprire debiti nel frattempo contratti.
Occorre quindi trovare una diversa strada di intervento, che deve partire dal riconoscere queste aziende come nuclei di interesse strategico nazionale proprio perché legate alla cultura, premessa questa per interventi finanziari straordinari diversi a seconda dell’attività svolta. Accanto a questi interventi andrebbero adeguatamente rifinanziati in modo congruo gli strumenti tradizionali gestiti dal ministero dei beni culturali, mentre alla RAI come servizio pubblico andrebbe affidato il compito di una programmazione e distribuzione di tutti i prodotti delle istituzioni ed imprese culturali.
Questo complesso di interventi servirebbe da una parte ad alleviare il disagio economico di quanti sono rimasti senza alcun introito e dall’altra parte consentirebbe di riattivare i normali circuiti produttivi, fornendo occasione di ripresa produttiva delle imprese e di lavoro a quanti lo hanno perso. Si tratta di una spesa certamente notevole ma che non è assistenziale, ma spinge ad una ripresa in linea con l’importanza strategica dell’Italia e in grado di avere un suo impatto anche nell’immaginario del Paese. Non possiamo nemmeno immaginare che un virus possa spingere la cultura italiana, già così tanto trascurata, a smarrirsi dentro le nubi di una crisi che non si sa né quando finirà.
Da questa situazione di crisi hanno tratto origine molte iniziative: da petizioni per forme di sostegno economico ai singoli operatori alla costituzione di un fondo nazionale d’investimento per proteggere il patrimonio culturale ad un fondo per la cultura che dovrebbe garantire i finanziamenti alle attività culturali fino all’appello lanciato da Federculture a cui hanno aderito migliaia di personalità della cultura e della società civile.
Moondo, nel momento in cui si associa allo spirito di tutte queste iniziative ed alla sollecitazione di interventi rapidi ed adeguati alla gravosità della crisi, si riserva di approfondire le diverse proposte suggerendo se necessario anche le soluzioni da ritenersi più idonee. Noi di Moondo siamo convinti che questo settore potrà essere in grado di contribuire al design di un nuovo modello di vita, del nuovo governo del mondo che vedremo presto appena il virus sarà un mostro del passato, che la cultura contribuirà a non farci dimenticare, perché con questo si costruisce la consapevolezza del vivere insieme.
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