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Balliamo sul Titanic

Nel più classico dei romanzi gialli, l’autore di un crimine torna sempre sul luogo del delitto. Scrivo  tornando  sul tema della nota che Moondo ha cortesemente messo in rete mercoledì scorso (2 dicembre) dedicata al tema del debito pubblico italiano e all’idea del suo consolidamento o abbattimento attraverso un’imposta patrimoniale. Insisto, tornando a riproporre il delitto, sperando che gli inquirenti si sveglino.

Si tratta di una questione che non può essere accantonata come, invece, tira aria si intenda fare tanto a livello politico governativo, quanto nel dibattito relativo agli aspetti economici e finanziari del nostro Paese, nella situazione corrente e soprattutto nella prospettiva dei prossimi decenni.

Oggi, si sta impostando una manovra di bilancio che porterà ad un debito aggiuntivo, su base anno 2020, di circa 160 miliardi di euro. Sul merito della manovra, al di là di osservazioni marginali, questa misura sarebbe meglio di quella e via dicendo, c’è poco da filosofare. La pandemia corrente agisce come un toro infuriato, e il toro va preso per le corna. Su questo, dunque, è opportuno non disturbare il manovratore, rappresentato  dal governo in carica.   

Tuttavia, la questione è così macroscopica che non può essere ignorata. Questi 160 miliardi di euro andranno a sommarsi ai 2.500 miliardi, o giù di lì, del debito pubblico già accumulato. E, nei prossimi 2-3 anni, prima che l’economia italiana si rimetta in piedi, ci saranno altri sforamenti di bilancio di ammontare imprecisati che, comunque, porteranno il totale a toccare qualcosa come 3.000 miliardi di euro.

I tassi di interesse che gravano sul debito sono attualmente assai bassi, a volte poco più dello zero. C’è da chiedersi quanto tempo potrà durare questa felice situazione finanziaria, da un lato costi bassi dall’altro forte domanda per i titoli pubblici italiani. La domanda non può essere elusa, dalle risposte che verranno dipende infatti il futuro stesso dell’Italia, la sua capacità di manovra economica, la sua sostanziale libertà dalla cupidigia dei mercati finanziari e, soprattutto, il carico che cadrà sulle spalle dei ragazzi di oggi e di quelli che nasceranno nei prossimi anni.

Un piccolo calcolo: ammesso che un futuro roseo consenta alla finanza pubblica di  avere un surplus di entrate rispetto alla spesa aggregata pari a 30 miliardi di euro l’anno (che sono tanti), qualora si intendesse eliminare tutti i buffi  accumulati, ci vorrebbero 100 anni per raggiungere il risultato.

Le bimbe e i bimbi che vedranno la luce dal prossimo 1° di gennaio si porteranno sulle spalle un fardello secolare. Le attese di vita si sono allungate, ma vivere con quell’incubo non è il miglior modo di vivere.

Si può obiettare che non è indispensabile azzerare il debito, sarebbe sufficiente tagliarlo di una metà e vivere tranquilli nel rispetto e nella fiducia delle istituzioni e dei mercati finanziari. Ma anche in tal caso, eliminare  all’incirca 1.500 miliardi di euro sarebbe impresa ardua e lunga nel tempo.

Continuare a vivere con questo problema aperto somiglia alle feste danzanti che si svolgevano sul  Titanic nelle ore precedenti l’impatto con l’iceberg al largo di Terranova.

Cancellazione del debito, debito irredimibile, patrimoniale, cosa significano?

Nella nota di mercoledì scorso, scartata l’idea della cancellazione, sono state affrontate due ipotesi: consolidamento del debito e/o patrimoniale per riportarlo sotto controllo.

I titoli del debito pubblico italiano sono detenuti per il 35 per cento da soggetti esteri, fondi di investimento e altre istituzioni finanziarie tra cui la Banca centrale europea. E’ un dato di fatto dal quale non si può prescindere. Accetterebbero quei creditori che i titoli italiani custoditi nei loro portafogli divenissero, da un momento all’altro, inesigibili? Si accontenterebbero di continuare a percepire un modesto interesse abbandonando la sorte del capitale?  Tra il sì e il no, l’ago della bilancia precipita sul secondo elemento.

Di fronte all’ipotesi di trasformare il debito da fluttuante a irredimibile si aprirebbe un problema vasto anche all’interno del Paese, dove il rimanente 65 per cento è in mano a privati risparmiatori, banche, assicurazioni ecc., che vedrebbero in pericolo le loro attese di sicurezza finanziaria e saltare i loro bilanci già appesantiti da una valanga di crediti divenuti inesigibili.

Una classe politica nazionale, presa tutta  insieme, forze di maggioranza e di opposizione rappresentanze sindacali centri economici e istituzionali, che fosse cosciente del punto critico che è stato raggiunto, dovrebbe aprire una riflessione sul da farsi. Una riflessione seria, a tutto campo, non le mossette furbesche di un emendamento alla legge di bilancio come è stato fatto da taluni settori di sinistra che nulla hanno a che vedere con il riformismo liberal socialista e vivono posseduti da un rancore che offende una stessa lotta di classe che non hanno titolo per intestarsi.

La ricchezza degli italiani: risparmio e proprietà

Il risparmio detenuto dagli italiani viene stimato in circa 4.000 miliardi di euro, altri 4.000 miliardi valgono le proprietà immobiliari. 

Come è stata accumulata questa ricchezza? E’ evidente che esiste una correlazione con il debito pubblico, lo si voglia o no!

Se l’evasione fiscale è stimata nell’ordine di 120 miliardi di euro all’anno, da qualche parte quei soldi sono finiti. Recuperandoli, in 10-12 anni, ecco che il risultato dell’abbattimento del debito sarebbe raggiunto. Ma, finora, nessuno è riuscito nell’intento e con il mix corrente di efficacia dell’amministrazione pubblica e della  giustizia civile, nessuno vi riuscirà nel prossimo futuro.

Poi, non bisogna dimenticare, che lo Stato italiano, nel tempo, è stato generoso con i suoi cittadini (contributi a fondo perduto, contributi sugli interessi dei mutui immobiliari, assistenza sanitaria, pensioni sociali, scuola pubblica gratuita, cassa integrazione, aiuti alle imprese, spese infrastrutturali e, da ultimo, reddito di cittadinanza e via discorrendo) e, chi più chi meno, tutti ne hanno tratto beneficio. 

Poiché, come dice un antico adagio, “la carrozza da dove esce rientra”, ecco che si spiega gran parte del debito pubblico. 

Manca una quota, quella prodotta da tangenti prelevate sulla spesa pubblica, finita nelle tasche del ceto di potere di ieri e di oggi, in barba ai controlli e grazie all’inefficienza della giustizia.

Al  dunque, l’argomento di una patrimoniale non può essere eluso all’infinito, poiché il tempo e il rinvio cozza con una realtà che è grave e si aggrava ogni giorno. Ma, va affrontato, con la consapevolezza che è decisivo per il futuro dell’Italia e dei suoi giovani. 

Se, come si sostiene ogni giorno, la pandemia da Covid equivale ad affrontare una guerra, con centinaia di morti ogni giorno, si alzi lo sguardo ad un orizzonte più profondo e si valuti coscienziosamente quale sarà l’impatto della guerra che verrà, il redde rationem sul debito pubblico.  

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Gianfranco Salomone

Giornalista - Già Direttore Generale Ministero del Lavoro

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