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Botteghe vs globalizzazione: la sfida ai tempi del Covid-19

Il Covid-19 ha regalato un nuovo aspetto alla nostra società. Solo qualche mese fa scrivevo che la globalizzazione, il benessere e la tecnologia ci avevano trasformati rendendo la razza umana avida, egoista, fredda e disattenta al prossimo. Sembrava quasi di essere arrivati ad un punto di non ritorno. Le cronache raccontavano ogni giorno di omicidi per futili motivi o fatti violenti e inspiegabili. Sembrava che la nostra esistenza fosse destinata ad un macabro futuro senza valori e senza emozioni.

Poi è arrivato il Covid-19. Questo nemico silente e subdolo sta avanzando e mietendo vittime ad una velocità inimmaginabile, ma allo stesso tempo ci sta forse riportando a riscoprire la vera essenza del vivere. Negli ultimi decenni abbiamo sostenuto politiche consumistiche di globalizzazione, che hanno creato nel consumatore aspettative poco realistiche sul potere e l’opportunità di acquisto. Il mercato moderno e l’e-commerce inizialmente ci garantivano delle scelte, adesso queste stesse scelte ci sono praticamente imposte. Abbiamo iniziato a correre dietro ai mezzi di comunicazione di massa, scegliendo di essere consumatori competitivi e non consapevoli. Abbiamo iniziato a non accontentarci di quello che veniva esposto nelle vetrine dei negozi che, con grande fatica e passione, i commercianti del centro storico tenevano aperti ogni giorno, accogliendoci, coprendoci di attenzioni e consigli. Abbiamo quindi spostato lo sguardo verso i centri commerciali, che ci sembravano la panacea di tutti i mali, con i prezzi più convenienti, un’offerta di prodotti più ampia e uno spazio di migliaia di metri quadrati in cui passeggiare la domenica. La diffusione della tecnologia ci ha consentito di avere il mondo in un click e allora perché non acquistare i prodotti direttamente in Cina, o dall’ Sud Est asiatico dove costano meno? Amazon, Ebay, Wish Aliexpress e simili, sono diventati i nostri shop online di riferimento e mentre noi passeggiavamo da una parte all’altra del web attraverso un’app, il piccolo commerciante sotto casa chiudeva una volta per sempre vessato dalla crisi e dalla mancanza di lavoro.

Siamo arrivati ad un punto in cui siamo costretti ad acquistare online, semplicemente perché nei nostri centri urbani, soprattutto quelli piccoli, i negozi non esistono più. Quello che sembrava un’oasi di conforto in realtà è diventata una gabbia, un luogo in cui non esiste umanità, scambio, distinzione sull’offerta del prodotto o interesse per la condizione dell’acquirente. Centri commerciali, ipermercati e grandi catene non si preoccupano nella maggior parte dei casi di consigliare, aiutare l’acquirente o di salvarlo dalla fame. Sono i piccoli esercenti privati che oggi durante l’emergenza Covid- 19, un’emergenza non solo sanitaria ma anche economica e umana, stanno salvando i loro simili dalla povertà. Sono le persone come Enrico e Lucia, proprietari di un alimentari in un piccolo centro della provincia di Viterbo, che ogni sera prima di abbassare la saracinesca preparano dei pacchi spesa contenti beni di prima necessità da lasciare in strada fuori dal negozio per le persone bisognose del borgo. Sono le persone a fare grande un luogo, come i clienti che entrando nel negozio di Enrico e Lucia chiedono di poter lasciare una spesa sospesa per i compaesani che stanno attraversando un momento difficile.

“La spesa sospesa” un’usanza diffusasi ai giorni nostri, che riprende la più conosciuta e antica tradizione napoletana del caffè sospeso, è il chiaro segnale che stiamo tornando alla versione più umana di noi stessi. “Io e mia moglie abbiamo deciso di aiutare chi in questo momento sta vivendo una grossa crisi – ha raccontato Enrico Corbelli titolare dell’alimentari – Non tutti purtroppo sanno chiedere aiuto, alcuni hanno delle reticenze e magari per orgoglio o timore non chiedono. Non riusciremmo a dormire pensando che un nostro vicino o magari una famiglia che conosciamo non possa concedersi un pranzo o una cena. Nutriamo grande fiducia nei confronti dei nostri compaesani e siamo certi che solo chi ha bisogno verrà a ritirare quanto messo a disposizione. Inoltre anche i nostri clienti stanno dimostrando una generosità inaspettata, aderendo all’iniziativa della spesa sospesa”.

La spesa sospesa

Ogni giorno i due commercianti raccolgono le donazioni dei clienti, le trasformano in buoni da 10 euro che donano alla Croce Rossa da dispensare a chi non ha reddito. Nello stesso tempo la sera prima di chiudere, in solitudine dopo la faticosa giornata di lavoro, preparano i sacchi spesa per i meno fortunati. “Cerchiamo di mettere all’interno delle buste beni sempre diversi- ha poi continuato Corbelli – Qualche sera mettiamo prodotti per la colazione, il giorno dopo magari prodotti per il pranzo o la cena, in modo che le persone riescano ad avere cibo a sufficienza per coprire i pasti della giornata. Solitamente quando mettiamo fuori i pacchi nel giro di mezz’ora spariscono, questo significa che le persone attendono l’orario di chiusura per poter portare a casa qualcosa da mangiare”.

Non saranno quindi le piattaforme di acquisto online o i centri commerciali a salvare le famiglie dalla disgrazia ma i piccoli commercianti, gli artigiani e i piccoli produttori che ancora nonostante tutto sanno dimostrare un grande cuore e il volto dell’umanità. Tutto ciò di cui eravamo estremamente convinti di avere bisogno oggi è risultato superfluo, mentre è evidente che in realtà abbiamo ancora bisogno dei valori che ci eravamo lasciati alle spalle da tempo. Il futuro però richiede memoria per poter essere migliore del presente.

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Veronica Ruggiero

Giornalista, collaboratrice presso il Gruppo Corriere.

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