Per comprendere, a livello di massa, i fenomeni politici che interessano la collettività, mondiale o anche solo nazionale, occorrono, solitamente, tempi molto lunghi. Non tutti i leader politici, a dispetto dei consensi ottenuti, brillano per la loro acutezza diagnostica e spesso la routine li induce a occuparsi più di piccole beghe locali o corporative (apportatrici di voti) e/o di rissosità personali da “strapaese” che non dei destini della comunità che li manda al Parlamento e al Governo.
Nell’epoca immediatamente precedente alla seconda guerra mondiale, la lucida visione del pericolo nazista di Sir Winston Churchill era nettamente minoritaria di fronte ai molti esponenti del Parlamento e del Governo, inglesi, anche di primissimo livello, presi da una sorta di insana infatuazione per Adolf Hitler. Ovviamente, di cecità anche maggiore era afflitta la stragrande maggioranza degli Europei della parte continentale.
Oggi alla lucidità di Donald Trump in America del Nord (e di Vladimir Putin in Russia, che va, comunque, soprattutto per suo conto nella difesa degli interessi del grande Paese che governa) si contrappone la miopia dei leader politici dell’Euro-continente. Essi, con i loro acritici e belanti follower (dalla mente arruginita o di gigantesca pigrizia mentale che li tiene legati ai valori appresi sui banchi di scuola o giù di lì) si ostinano, alcuni per calcolati interessi e/o per presumibile malafede, altri per semplice inettitudine e incapacità politica, a ripetere stantie giaculatorie sui Valori dell’Europeismo dei Padri Fondatori. Con testarda pervicacia rinunciano a opporre rifiuti di subalternità a tecnocrati di nessuno spessore politico e ad ammettere che il tracollo dell’Europa, sul piano produttivo mondiale, è cominciato, quasi esclusivamente, con la mancanza di ogni iniziativa politica ed economica degli Stati membri autonoma e non pilotata, per il tramite di Bruxelles, dalle centrali del capitalismo finanziario di New York e Londra.
Nessuno di loro si chiede perché i Paesi Europei da una posizione di leadership tra i grandi poli produttivi del mondo, siano precipitati nel baratro attuale, facendo solo la gioia delle banche erogatrici di prestito a imprese sbilenche e disastrate e la fortuna economica dei gestori, a vari livelli, del lucroso traffico di mano d’opera centro-africana.
Paradossalmente, gli Stati membri dell’Unione Europea non riescono ad affrancarsi proprio da quel monetarismo egemone, esclusivista e prevaricatore da cui, invece, i governi inglesi e statunitensi, pur avendo “in casa” le centrali finanziarie di quel potere, sono riusciti a liberarsi con la Brexit e con la politica lucida ed efficace di Donald Trump.
Gli Stati Europei non sono stati in grado sinora di seguire l’esempio degli Statunitensi e degli Inglesi. E ciò, non solo nel rifiuto dell’egemonia di Wall Street e della City ma anche nella necessaria revisione di taluni principi del liberalismo (quelli che Putin ha definito, con efficacia, “obsoleti”) sulla scambio di merci senza dazi. E ciò, in diverse, sfavorevoli condizioni di paga (nei Paesi produttori) dei lavoratori.
Le ragioni di tanta incapacità sono molteplici. In primo luogo, il tessuto sociale delle Nazioni Euro-continentali è ben lontano dall’empirismo anglosassone volto a un sano pragmatismo. E’, invece, infarcito di (false e strumentali, come la Storia, purtroppo, ci ha insegnato) concezioni umanitaristiche di tipo universale e astratto che tendono, inevitabilmente, favorire l’arricchimento di ristrette oligarchie e, allo stesso tempo, la paralisi operativa di tutti gli altri cittadini.
In secondo luogo, come sempre in un contesto di pretestuosi pseudo-valori, i furbi prevalgono a dismisura sugli intelligenti e ciascuno ritiene utile vedere nel soddisfacimento dei suoi piccoli interessi di bottega o di corporazione qualcosa di più importante dell’interesse collettivo.
In terzo luogo, i funzionari di banche al governo effettivo dell’Unione Europea frappongono ogni tipo di ostacolo a tutti i Paesi che danno segni di ribellione alle vessatorie e diseguali misure di repressione nei confronti di ogni anelito a fare di testa propria. Di esse, la minaccia di procedura d’infrazione risulta l’arma finale e decisiva.
Fortunatamente, come all’epoca di Churchill, alla fin fine, fu compresa e condivisa la sua perspicacia, intelligenza e capacità operativa, così oggi vi sono timidi segnali di ravvedimento da parte di chi è stato sempre schierato, magari anche inconsapevolmente e in buona fede, dalla parte del capitalismo monetario e della politica di “strozzamento” della volontà di riscatto di alcuni Paesi che mostravano di essere meno addormentati di altri. Certo, le elezioni europee hanno dimostrato che il Vecchio Continente è ben lungi dall’avere raggiunto quella chiarezza di idee sufficiente a liberarlo dai legami di sottomissione al potere dei tecnocrati di Bruxelles (ossequienti, a loro volta, delle direttive dell’alta finanza) ma il marasma che sta caratterizzando le nomine al vertice dell’Unione è di buon auspicio. Non sembra più così improbabile un’apertura mentale di tutti gli struzzi eurocontinentali che hanno continuato, per decenni, a ficcare il capo nella sabbia per non vedere la realtà.
Nel diffuso senso di confusione eurocontinentale, il nostro Paese, nei suoi vertici istituzionali, sta dando segni insperati di ferma contrarietà alle prepotenze degli attuali leader politici europei (che, ancorché detronizzati, continuano a fare la voce grossa, soprattutto e stranamente solo contro di noi).
Uomini politici di scarsa esperienza e di opposta formazione ideologica (sempre influenzata da vedute assolutistiche, poco compatibili con una visione liberale della vita collettiva) stanno, a dispetto dei loro limiti intellettuali, efficacemente contrastando la presenza di “quinte colonne” sedicenti “democratiche”.
Il triste primato italiano dei “traditori di casa” e delle pugnalate inferte alle spalle delle autorità al governo del Paese ha ricevuto una ennesima conferma con la presenza di parlamentari italiani a bordo della Sea Watch, graditi ospiti del suo “capitano” (una tedesca al comando di una nave olandese, con buona evidenza, non più compos sui) che aveva deciso di compiere un’azione illegale e di dichiarato conflitto, speronando deliberatamente una nave da guerra italiana ferma in porto. La teutonica comandante nutriva ed esprimeva a chiare lettere la fiducia che il suo folle gesto avrebbe gettato scompiglio non solo tra gli uomini politici, contraddistinti da livorosità personali e partitiche sconosciute in altri Paesi, ma anche tra i magistrati italiani, notoriamente divisi nell’interpretazione della legge, pure affidata, in maniera esclusiva e sostanzialmente incontrollabile, alla loro competenza.
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