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Chi è Angela Merkel, i tabù tedeschi ed il futuro post pandemia della UE

Giano bifronte, Merkiavelli oppure la Sfinge ma anche la ragazza dagli occhi blu o mammina. Da 15 anni, da quando è alla guida della Germania, le definizioni ed i giudizi su Angela Dorothea Merkel abbondano ma ancora ci si continua ad interrogare sulla vera personalità, pubblica e privata, della donna che da più di venti anni siede ininterrottamente nel Bundestag, che è giunta a presiedere quattro governi di fila ed è la regina d’Europa.

Su una sola valutazione sembrano però tutti d’accordo: una ricostruzione pregnante della figura e dell’operato politico della Cancelliera non è separabile da una valutazione della politica tedesca nel quadro della storia europea degli ultimi decenni.

Ascesa e potere di Angela Merkel

Non e’ un caso che la storica riunificazione tedesca sia anche la data simbolo della scalata al potere di Merkel.

Nata nel 54 ad Amburgo e figlia di Horts Kasner, pastore luterano di Berlino e di Herlind Jentzsch, insegnante originaria di Danzica, Angela Merkel nel 1990 è una ragazza di campagna della Ddr. E’infatti cresciuta a Templin, a 80 chilometri da Berlino, dove il padre si trasferì negli anni cinquanta. Studi di fisica e chimica, un matrimonio fallito con Ulrich Merkel, dopo la caduta del muro milita nel nascente movimento democratico, riuscendo a diventare la portavoce dell’ultimo governo della Germania Est.

Davanti alla riunificazione, quando tutti s’infervoravano in ideali e parole d’ordine, lei non agita bandiere ed evita le barricate. Ma lavora, e molto, nelle sedi che contano, mostrando già il suo stile politico: discreto, quasi dimesso, ma anche cinico e privo di ideologie. Acciuffa con prontezza la stima e la simpatia che le riserva Helmut Kohl, il venerabile Cancelliere della riunificazione teutonica, che per lungo tempo la chiamerà la “ragazza” e la tratterà da pupilla. Sette settimane dopo averlo incontrato, Merkel diventa Ministro federale per le Donne e la Gioventù.

Da quel momento ingrana la marcia del potere, calpestando tutti. La “ragazza” fa carriera superando politici di lungo corso e nel 1994, nel quarto governo Kohl, viene promossa Ministro per l’ambiente e la sicurezza dei reattori. Quando il governo Kohl fu sconfitto alle elezioni federali del ’98, viene nominata segretaria generale della Cdu, nonostante sia luterana e donna, caratteristiche inedite per un partito cristiano, conservatore e piuttosto maschilista.

Il parricidio di Merkel

Quando, dopo circa un anno, uno scandalo finanziario investe il partito, coinvolgendo lo stesso Kohl e il rampante Wolfgang Schauble, Merkel commette il suo più famoso delitto politico: il parricidio, anticipando di oltre un decennio la dottrina Renzi della rottamazione. Lo fa nel modo piu’ brutale: pubblica sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung la famosissima lettera in cui chiedeva all’ex cancelliere della riunificazione di farsi da parte, dopo che Kohl si era rifiutato di rivelare i donatori dei fondi neri andati al partito. Per il politico conservatore fu il colpo di grazia, da allora la sua ex pupilla fu bollata come una traditrice.

Il figlio di Kohl la accusò addirittura anni dopo di essere corresponsabile del suicidio della madre Hannelore che aveva aiutato molto Merkel ai suoi esordi. Per la moglie di Kohl la lettera di Merkel fu dunque uno shock in un momento di malattia e depressione da cui non si riprese più.

Lo “stile” Merkel

Da quel momento cammina da sola e con successo costante: lo stile di governo della Cancelliera è orientato alla più suprema medietà, intesa nel senso di una capacità sopraffina di valutare il medio e farne arte politica.

Un tempo in Italia si chiamava lo “stile democristiano” e Andreotti ne era il più convincente interprete. La Cancelliera è in sé partito, governo e perfino, quando serve, opposizione. È impareggiabile, dicono al Bundestag; nella capacità di annusare il vento e comprendere come garantire la propria sopravvivenza, la cosa che le sta più a cuore.

Bernardo Valli, in un famoso ritratto, ha messo sotto la lente di ingrandimento la sua ambiguità, sottolineando che era il tratto dominante nella società comunista di cui Merkel si è nutrita, facendone una tattica geniale per risolvere problemi complicati. È come se i compromessi appresi nell’adolescenza, quando ascoltava i genitori criticare il regime in privato ma adottare uno scrupoloso ritegno in pubblico, le avessero insegnato che bisogna riflettere molto prima di parlare e senza mai rivelare i propri pensieri. Interviene sempre a proposito, con una determinazione in cui cinismo e morale sembrano confondersi.

Per i connazionali, che si assicurano su tutto, ossessionati dalla Angst tedesca (una angoscia oscura del futuro che crea bisogno di sicurezze) Merkel rappresenta un’inconscia assicurazione sulla vita e non a caso la chiamano Mutti (mammina).  

E’ priva, secondo molti, di principi e di ideali tanto che, a seconda dei momenti, ha fatto scelte di sinistra, come il salario minimo; scelte liberali, come il mantenimento di aliquote basse per i ceti più ricchi; scelte verdi, quali l’attuale decisione di sostenere solo la produzione di auto elettriche, e qualche anno fa l’altra di chiudere le centrali nucleari.

Merkel nella raffigurazione satirica di un quotidiano tedesco

Gli osservatori più distaccati sottolineano che, a parte la famosa apertura ai migranti subito rientrata non appena annusato il calo dei consensi, Merkel, in 15 anni di regno, non ha mai compiuto scelte incisive nè attuato riforme degne di questo nome. Ed in effetti, le vere riforme le hanno fatte i suoi predecessori: prima Kohl con la riunificazione tedesca, attuata con un marco alla pari, con la scelta europeista e con la creazione, insieme a Mitterrand, dell’area euro poi i socialdemocratici di Gerhard Schröder con la riduzione delle tasse e dello stato sociale, la frammentazione del lavoro e i mini job sottopagati, la conquista dei mercati dell’esportazione. Sono state quelle riforme che hanno trasformato l’economia tedesca, allora la malata d’Europa, nella macchina da guerra che conosciamo oggi. Quelle riforme di cui Merkel ha goduto i frutti e che le hanno regalato, senza merito personale, il primato continentale.

La Merkel ed il governo del Paese

Il successo di Merkel in patria è dovuto alla capacità disillusa di comprendere il normotipo dell’elettore tedesco. Il votante tipico è un medio o piccolo borghese, ha una casetta normale ed esce poco la sera. Ha una bella macchina e va in vacanza in Spagna oppure in luoghi esotici con un viaggio organizzato. Basta non chiedergli troppi soldi, garantire la stabilità del paese e continuerà a votare Cdu.

È sintomatico il comportamento mantenuto nel corso della crisi del coronavirus. I discorsi della Cancelliera sono stati pochi e secchi. Era la mamma previdente e responsabile che invitava i pargoli alla calma ed all’ordine. Nel frattempo, alle aziende venivano elargiti migliaia di euro con nessuna delle regole o condizionalità che invece chiede agli altri paesi europei: solo due paginette di autodichiarazioni da compilare e in poche ore i danari erano sul conto.

Anche se con il Covid la sua popolarità è risalita, il suo stile di governo ha perso smalto. Da un lato ha cannibalizzato i propri alleati (prima i liberali ed ora i socialdemocratici, mai così in basso nei voti), dall’altro la crescita delle disparità anche in Germania ha creato spazi per nuovi partiti come AFD a destra ed i Verdi a sinistra che intercettano la voglia di cambiamento. L’erosione è stata tale che la nascita del suo quarto governo è stata molto difficile e l’ha costretta ad annunciare che nel 2021, al termine del mandato, si sarebbe ritirata. Nel frattempo non ha esitato a far fuori la sua delfina Annegret Kramp-Karrenbauer, nominata al suo posto alla guida del partito, rea di non aver impedito un accordo regionale con AFD subito da lei sconfessato.

Da quel momento nessun erede ufficiale ed i giornali tedeschi già si interrogano sulla successione, indicando tra i favoriti Markus Soeder, oggi alla guida della ricca Baviera, e Armin Laschet, Primo Ministro del Nord Reno-Westfalia.

La Merkel ed i rapporti con la UE

E il suo rapporto con l’Europa? E’presto detto. Nel più puro stile Merkiavelli, non è un fine ma un mezzo utile e soprattutto funzionale ai comodi del suo Reich che, negli ultimi venti anni, ha allargato e di molto il suo Lebensraum (spazio vitale) non più territoriale ma commerciale.

La Germania merkeliana ha fatto dell’allargamento dell’Ue e della Nato verso Est il trampolino di lancio mercantile per la conquista dei mercati globalizzati. Le regole europee che vietano un eccesso di surplus commerciale? Per la Germania, che le viola seraficamente da 7 anni, in pratica non esistono, tanto più che non sono previste sanzioni ma solo rimbrotti, per di più espressi timidamente.

Pereat Europa fiat Merkel è il motto che potrebbe stampare sul suo simbolo araldico, mentre il divide et impera romano è il suo metodo di trattativa, mentre temporeggia astutamente.

Mentre gli altri litigano e danno il peggio di sé lei tace e aspetta. Alla fine interviene per decidere e fischia la fine della ricreazione.

Angela Merkel

La Cancelliera è tranquilla perché sa di avere le spalle coperte in patria, consapevole che i tedeschi desiderano proprio questo: un’isola ricca e immunizzata chiusa nel suo felice recinto, mentre fuori impazza un disordine caotico che solo la mano forte di Berlino può disciplinare, per salvare l’euro o distruggerlo, a seconda delle convenienze, purché la Germania non spenda nulla per finanziare la solidarietà.

Come ha scritto Barbara Spinelli, “non c’è una sua sola frase sull’Europa che sia memorabile, se escludiamo l’interiezione (Un passo dopo l’altro Schritt für Schritt) che costella i suoi discorsi”.

La logica del recinto immunizzante – rileva Spinelli- presuppone “la certezza di possedere una scienza infusa, un’ortodossia economica non confutabile, e di quest’ortodossia si nutre il neo-nazionalismo tedesco”.

È il nazionalismo di ricette economiche presentate come toccasana infallibili, e che può essere riassunto così: che ognuno “faccia i suoi compiti a casa” – dietro le rispettive palizzate, costi quel che costi – e solo dopo saranno possibili la cooperazione, la solidarietà, l’Europa politica di cui ci sarebbe subito bisogno. I risultati del nazional-liberalismo tedesco (il nome scientifico è ordoliberalismo) – continua Spinelli – sono stati disastrosi. In Grecia, i salvataggi accoppiati a terapie recessive hanno aumentato il peso del debito pubblico sul prodotto nazionale (130% nel 2009; oltre 175 oggi), con effetti tragici su crescita e disoccupazione (27% sul piano nazionale, 57% fra i giovani). Persino il Fondo monetario e Juncker hanno riconosciuto pubblicamente l’errore, mentre la Germania o Merkel mai.

In altre parole, quel sovranismo nazionalista che Merkel a parole tanto disprezza è stato adottato da lei per prima e praticato con metodo e pervicacia, contribuendo così a creare la disunione dell’Ue che si è trasformata in una somma di egoismi autodistruttivi ed ora marcia verso il baratro.

E’ una logica da mors tua vita mea, esasperata dalla prigione del Fiscal Compact, che ha trasformato l’Eurozona nell’area economica dalla crescita più asfittica del mondo industrializzato. Quel Fiscal Compact che molti economisti di vaglia giudicano stupido ma che “serve a garantire il dominio tedesco sull’Europa”. A cosa serve – si chiedono gli esperti anglosassoni ed americani – appioppare a degli Stati che sono già eccessivamente indebitati delle multe che accentuano la tendenza negativa o costringerli ad adottare misure di austerity che impediscono loro di crescere?

La Merkel oggi, tra dissidi interni, scarsa memoria e poca lungimiranza

Non sono mancate autorevoli voci in Germania a rimproverare a Merkel ed ai connazionali la linea del nazionalismo e dell’egoismo. A cominciare dallo stesso Kohl che, nei suoi ultimi anni, era angosciato sulle sorti dell’Unione Europea e l’aveva scritto nel suo ultimo libro-appello “Aus Sorge um Europa” (Preoccupazioni sull’Europa). In esso definisce l’infrazione dei criteri di Maastricht, da parte della Germania, “una vergogna tedesca”

Ancora piu’ duro l’ex Ministro degli Esteri tedesco, il verde Joschka Fischer che accusa Merkel e la sua politica di distruggere l’Unione europea. Fischer ha scritto un libro dal titolo eloquente: Scheitert Europa? (L’Europa fallisce?) e la risposta è un secco sì perchè è la Germania a portarla sull’orlo del fallimento.

E’ deprimente constatare – scrive – che se la maggioranza della Bce non avesse seguito le decisioni di Mario Draghi ma le obiezioni dei tedeschi, a quest’ora l’euro non esisterebbe più. Certo l’euro era stato pensato per tempi felici e la crisi del 2008 ha spiazzato i vertici europei ma allora la Cancelliera prese una decisione che accelerò il disastro finanziario dell’Eurozona: “Rifiutò una soluzione comune europea sin dall’inizio, inaugurò il triste filone dell’ognuno per sé”.

Per Fischer la Germania sta condannando il sud Europa alla trappola della spirale dei debiti. E si sorprende di fronte alla memoria corta di Angela Merkel. Nel 1952 nel corso della Conferenza di Londra l’Europa abbonò alla Germania in ginocchio per la guerra tutti i debiti. Senza quel regalo – spiega Fischer – non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati, la Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico. Fischer rilancia la necessità di abbattere i tabù tedeschi. Se non cadono i tabù tedeschi, ossia la messa in comune dei debiti e una maggiore integrazione finanziaria, e se non si esce dallo stallo provocato dalla politica dei piccoli passi, tanto cara ad Angela Merkel l’epilogo tragico è certo.

Poche settimane fa la Faz, a sorpresa, ha preso le difese dell’Italia sulla vicenda del Recovery Fund, sostenendo che i paesi più colpiti dal coronavirus vanno aiutati e ricordando che gli italiani sono da anni contributori netti del bilancio europeo. Se Merkel non elargisce denari ai paesi in difficoltà – è il ragionamento dell’editorialista Ralph Bollmann – l’Europa va giù e la Germania ci rimette. Se Merkel elargisce denari, l’Europa si salva. Sembra quindi che i poteri forti tedeschi, che molto devono a Merkel, siano preoccupati del pericolo di spezzare quel ramo su cui la Germania è seduta e si ingrassa.

Esiste però una corrente di pensiero, abbastanza nutrita anche in Italia, che la difende con vari argomenti come, ad esempio: non è colpa di Merkel se ci sono paesi che si sono indebitati molto e che continuano a spendere troppo e male; la Germania è un paese efficiente e rigoroso ed è giusto che pretenda altrettanto rigore.  

Questi fan del modello teutonico ignorano o fanno finta di ignorare che gli argomenti da loro adottati sono per lo più slogan semplicistici mentre, se si osserva la Germania da vicino, la realtà é diversa. E’ più grigia e sfaccettata di come la descrivono. Certo, é uno Stato ricco con un sostanziale pareggio di bilancio, un surplus commerciale enorme ed ha industrie forti e competitive. Ma tutto ciò è stato conquistato molto spesso a spese degli altri e con metodi perlomeno disinvolti, se non illegali.

Germania: non è tutto oro quello che luccica

Se parliamo di illegalità, va ricordato che l’azienda ufficialmente più corrotta al mondo è tedesca ed è la Siemens che ha collezionato condanne in vari paesi esteri per aver elargito mazzette milionarie pur di aggiudicarsi ricche commesse.

C’è poi la più grande truffa su scala mondiale rappresentata dal Dieselgate, il software illegale che il gruppo Volkswagen montava sulle proprie auto per eludere i controlli anti-inquinamento. Non a caso furono gli americani a smascherarli e ad obbligarli a risarcimenti cospicui. Recentemente la Corte di Cassazione tedesca ha dato ragione ad un acquirente Volkswagen teutonico che otterrà un ristoro. Ma in Europa ci si è dovuti affidare alla giustizia per avere un risarcimento perché nulla è stato fatto dalla Commissione UE o dallo Stato tedesco per tutelare i consumatori.

In campo bancario, l’istituto di credito più disinvolto è Deutsche Bank che è stata coinvolta nei più grossi scandali della finanza internazionale: dal truffaldino uso dei mutui sub prime (transazione di oltre 7 miliardi di dollari con le autorità americane), alla manipolazione dei tassi di interesse su prodotti finanziari (altra multa di 70 milioni di dollari comminata dagli Usa), fino all’inchiesta sul coinvolgimento nel riciclaggio di soldi sporchi operato come capofila da Danske Bank.

Sempre tedesca è la più grande evasione fiscale scoperta in Europa: si stima che in tutto il danno ammonti a 63 miliardi di euro, di cui 30 miliardi sottratti alla Germania, seguita dalla Francia con 17 miliardi, l’Italia con 4,5 miliardi e a seguire molti altri paesi.

Lo schema di truffa ricostruito da un pool di giornalisti (ispirato da un funzionario del fisco tedesco) si fondava sulla possibilità di ottenere rimborsi su tasse mai pagate sui dividendi. I partecipanti allo schema Cum ex ricevevano rimborsi, facendo circolare le azioni di una società quotata in Borsa tra tre diversi soggetti.

E’ di poche settimane fa lo scandalo Wirecard, la società bavarese che garantisce pagamenti per transazioni effettuate online da grandi società. E’ stato il Financial Times a far scoppiare il bubbone, ipotizzando sospette pratiche illecite. Si è poi scoperto che la società, quotata alla borsa tedesca, ha un ammanco di ben 1,9 miliardi di euro. Una vicenda imbarazzante e che ha suscitato non pochi dubbi nella comunità finanziaria sulla credibilità dei controlli della BaFin, ovvero l’autorità federale di vigilanza finanziaria tedesca.

Certo, ogni paese ha le sue mele marce ma questi episodi smentiscono il mito della superiorità morale teutonica che anche ai più alti livelli non si fa scrupolo di adottare metodi dubbi. All’epoca della creazione dell’euro e delle regole europee, la Germania si è infatti ritagliata con pervicacia una serie di vantaggi competitivi ingiustificati.

Lassismo e vantaggi in tempo di bisogno, rigore in tempo di vacche grasse

Non solo si è rifiutata di pagare metà dei debiti di guerra (come prevedeva l’accordo di Londra in caso di riunificazione) e gode da vent’anni di una moneta sottovalutata che rende competitivi i suoi prodotti (gli economisti parlano di almeno un 20-30% rispetto ai suoi diretti concorrenti), la Germania è stata il primo grande paese a violare il parametro di Maastricht del tetto del 3% di deficit rispetto al Pil. Lo ha fatto all’epoca del Governo Schroeder per finanziare quelle riforme del ministro Hartz che hanno reso il lavoro frammentato e sottopagato. Riforme che hanno compresso il costo del lavoro tedesco, mentre Hartz finiva a sua volta coinvolto in uno scandalo. Ora invoca il rigore, ma all’epoca la Germania incassò il perdono degli altri paesi, Italia in testa, e non fu sanzionata.

La Germania ha poi ottenuto di tenere fuori dal perimetro del bilancio pubblico le attività della KFW (una sorta di Cassa depositi e prestiti) con cui finanzia imprese e banche senza incorrere nelle sanzioni Ue per aiuti di stato. Così come sono fuori dal controllo della Bce le migliaia di banche locali e regionali in cui l’intreccio tra politica ed economia è opaco e discutibile. Senza scordare la massiccia vendita di Btp italiani da parte di Deutsche bank nel 2011 ed il contemporaneo appoggio al nuovo Governo Monti che subito sborsò 40 miliardi a sostegno della Grecia che Tremonti giudicò ingiusti vista la scarsa esposizione delle banche italiane. Soldi, che come hanno ammesso poi gli stessi tedeschi, sono andati a ripagare le banche tedesche e francesi che avevano incautamente finanziato la spesa dei greci affinchè comprassero i loro prodotti.

La distruzione della Grecia è ormai storia ed è avvenuta mentre Merkel salvava con somme enormi le sue spericolate banche e poi imponeva in Europa il bail in che tanti danni ha fatto in Italia.

Nonostante questo, c’è chi sostiene che la Germania non vuole comandare e che vi è costretta a causa dell’irrilevanza politica ed economica degli altri.

I fatti dicono però il contrario. Non è volontà di predominio – si chiede Barbara Spinelli – il rifiuto opposto agli eurobond, gli ostacoli frapposti all’unione bancaria per tenersi il controllo politico sulle proprie banche, l’ostilità ad un aumento delle risorse comunitarie che consenta veri piani europei di investimento? Non è pretesa di comando quando la Bundesbank chiede di contare di più nella Bce, e attacca Draghi perché s’è permesso di soccorrere i paesi in difficoltà acquistando i loro titoli? Non meno prepotente è la Corte costituzionale di Karlsruhe, che paralizza l’Unione ogni volta che vuole verificare la conformità dei piani europei di solidarietà alla Costituzione tedesca, senza mai riconoscere le ragioni dei trattati della Comunità.

In Germania, il nazionalismo autoritario si è trasformato nel primato Uber alles della propria democrazia nazionale, perseguita con puntiglio, associata ad una indifferenza assoluta rispetto a quel che pensano e vorrebbero le altre democrazie dell’Ue.

Covid e semestre di presidenza tedesca del Consiglio Europeo, cosa ci aspetta?

E ora che farà Merkel di fronte alla crisi del Covid? Sarà capace di imprimere una svolta all’Europa? La Cancelliera ha inaugurato il semestre di presidenza tedesca del Consiglio europeo con un discorso che ha provocato l’entusiasmo di molti parlando di maggiore integrazione europea e di solidarietà.

Va riconosciuto che il Recovery Fund, sempre che non venga troppo snaturato nella trattativa, rappresenta una novità positiva. Per la prima volta si affida al bilancio europeo un intervento per fronteggiare una congiuntura sfavorevole, e per la prima volta si emetteranno titoli di debito con garanzia comune.

Ma i tempi che richiederà sono incompatibili con l’urgenza della crisi ed i finanziamenti cosiddetti “a fondo perduto” saranno in gran parte ripagati tramite l’aumento del contributo dei paesi stessi al bilancio europeo. L’Italia, ad esempio, dovrebbe ottenere un guadagno netto ma nella migliore delle ipotesi sarà, oltre che tardivo, molto modesto.

Di contro, bisogna vedere quali saranno le vere condizionalità associate e non ci riferiamo ai giusti controlli sul corretto sviluppo dei progetti.

La musica non sembra cambiata: la Cancelliera è stata chiara nell’incontro con Macron del 29 giugno, affermando che i fondi anti-crisi e per il rilancio vanno connessi anche a riforme interne dei singoli Stati membri. Ciò significa che tutti gli Stati membri della Ue dovranno adeguatamente attuare le raccomandazioni della Commissione.

Insomma nulla di nuovo e ci sarà ancora tutto l’apparato ideologico ordoliberista dei Trattati europei. Quindi scarso utilizzo dello stimolo pubblico e, soprattutto, il ritorno al Fiscal compact (forse con modifiche di facciata) appena la sospensione per la pandemia sarà dichiarata non più necessaria. Il vice presidente della Commissione, Dombrovskis e i “frugali” hanno già detto che questo avverrà nella prossima primavera.

Saremo quindi chiamati di nuovo a realizzare elevati saldi attivi di bilancio perché tutti fanno finta di ignorare che già da vent’anni l’Italia, prima della classe in questa classifica europea, chiude in attivo, grazie ai tagli e ai sacrifici dei cittadini, il proprio bilancio primario (al netto cioè della spesa per interessi). Tuttavia il risultato in termini di debito pubblico non migliora, a riprova che è stata la scelta di affidare il finanziamento del debito ai mercati internazionali a creare una zavorra da cui il paese non riesce a liberarsi.

Il ritorno all’austerità in salsa tedesca sarebbe quindi in grado di vanificare del tutto l’effetto dei soldi del Recovery Fund.

Se Merkel, che pure è una sostenitrice del Recovery Fund, sente il bisogno di richiamare i vecchi principi significa che le sue convinzioni non sono affatto cambiate.

Appena finita l’emergenza, l’Italia si ritroverà in una situazine ben peggiore dell’era pre-Covid, a causa del nuovo, micidiale colpo subito dall’economia e dell’inevitabile impennata del debito pubblico. E la profezia di Joschka Fischer finirà per avverarsi.

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Alessandra Spitz

Dopo aver collaborato come free lance a varie testate, lavora per tre anni all'Agenzia di stampa Asca come giornalista sindacale. Passa poi all'Ansa e per 18 anni fa parte dell'area Economico-finanziaria. Diventa poi responsabile della nuova area Multimedia dell'Agenzia ed infine, assume l'incarico di Capo redattore centrale.

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