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Chi fu realmente Curzio Malaparte (Kurt Suckert)?

Curzio Malaparte fu fascista o antifascista, comunista o anticomunista, luterano o cattolico, scrittore o militare? Quanti e quali vite visse questo ambiguo personaggio della vita politica e pubblica italiana? Chi era veramente Curzio Malaparte?

Corte di Assise di Chieti, 22 marzo 1926: si celebra il processo contro cinque persone (Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo) imputati di aver ucciso il 10 giugno 1924 a Roma il deputato socialista Giacomo Matteotti.

Chi era Curzio Malaparte (Suckert)?

Tra i testimoni a difesa citati da Roberto Farinacci, Segretario del P.N.F. e avvocato degli imputati, c’è un giovane fascista, Curzio Suckert, che da poco ha mutato il suo cognome in quello di Malaparte.

Ha soggiornato in Francia dove ha conosciuto Nicola Bonservizi, segretario del Fascio di Parigi, ucciso poi nel febbraio 1924 da un anarchico italiano, Enrico Bonomini.

Il coinvolgimento nel delitto Matteotti: la testimonianza di Malaparte

Dumini, che Suckert ha pure conosciuto a Parigi, sostiene al processo che Suckert, aveva inviato a suo tempo una relazione al segretario amministrativo del P.N.F. e capo di una squadra di polizia segreta fascista in cui si affermava che ispiratore della uccisione di Bonservizi era stato proprio Matteotti: l’uccisione del deputato socialista sarebbe stata pertanto una sorte di ritorsione fascista, andata oltre le intenzioni.

Recenti studi (Mauro Canali, Il delitto Matteotti) hanno consentito di chiarire che quella di Dumini fu una strategia difensiva costruita ad arte per cercare di sviare il corso delle indagini, tanto che non fu nemmeno accennata nel processo contro gli stessi imputati ed altri loro complici presso la Corte di Assise di Roma nel 1947.

Durante l’interrogatorio Suckert — Malaparte, (recentemente pubblicato: Guerri, L’arcitaliano, pag. 79) non smentì questa versione, cercando anzi di convalidarla, asserendo che la sera stessa del rapimento di Matteotti aveva incontrato Dumini che gli aveva detto che Matteotti era stato rapito per dargli una lezione ma che sfortunatamente il deputato socialista era morto. Avallando così la tesi della difesa (omicidio preterintenzionale) accolta dalla Corte d’Assise di Chieti (ma non successivamente da quella di Roma).

Quello di Chieti fu un episodio che Malaparte (ormai con questo cognome cominciava ad essere conosciuto) cercò in ogni modo di dimenticare, tanto da non farne cenno nei suoi pur numerosissimi scritti.

Nato a Prato il 9 giugno 1898 da madre italiana e padre sassone, Erwin Suckert, di professione tintore di tessuti, ebbe il battesimo luterano, la religione del padre.

Fu allevato da una balia, presso la quale visse alcuni anni ed alla cui famiglia (Baldi) restò legatissimo: non a caso nell’unico suo film (Cristo fra i muratori) la buona famiglia Baldi è la protagonista del film.

Nel 1906 il padre si trasferì con la famiglia in Piemonte per un nuovo lavoro: di lì iniziarono gli spostamenti successivi prima a Milano e poi a Carate Brianza. Per porre un punto fermo a questi spostamenti di sede e di scuole, la famiglia decise che Kurt avrebbe frequentato la terza ginnasiale presso il collegio Cicognini di Prato, uno dei più rinomati d’Italia (1911).

Malaparte: gli studi, la massoneria, il fascismo

Si trasferì pertanto a Prato ed al Cicognini Kurt (poi Curzio) fece le prime conoscenze che avranno una importanza decisiva nella sua vita: attraverso alcuni insegnati conobbe un gruppo di intellettuali, decisamente repubblicani, interventisti quando si trattò dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale, massoni (anche il giovane Kurt si iscriverà alla massoneria per uscirne nel 1923, quando Mussolini ne dichiarò la incompatibilità con il fascismo).

L’ambiente frequentato fece scattare nel giovane una molla: sarà anche lui uno scrittore. Il 30 marzo 1913 (aveva solo 15 anni) una sua favola (“La camicia della perfetta letizia”) venne pubblicata sul “Corriere dei piccoli”. Seguì la collaborazione ad una rivista satirica (“Il bacchino”) che ebbe breve vita (dal gennaio al maggio 1915).

L’esperienza militare del giovane Malaparte

A 15 anni si iscrisse al P.R.I. e divenne segretario della sezione giovanile di Prato. A 16 anni fuggì da Prato, si recò in Francia e dal 18 febbraio al 18 marzo 1915 risulta arruolato come “soldato di seconda classe” nella “Legione garibaldina”, un gruppo raccolto interno a Peppino Garibaldi, stanziato ad Avignone e formalmente inquadrato nella Legione Straniera.

La Legione garibaldina fu sciolta e nell’aprile 1915 Malaparte tornò in Italia, in tempo per essere promosso ma la sua attenzione era ormai rivolta altrove: due mesi dopo, all’entrata dell’Italia in guerra (maggio 1915) si arruolò volontario con tutta la sezione giovanile del P.R.I. di Prato, venne assegnato al 51° reggimento fanteria e nell’estate 1917 fu promosso ufficiale.

Fu coinvolto nella rotta di Caporetto e nell’aprile 1918 inviato in Francia con le truppe italiane di supporto a quelle alleate per cercare di bloccare l’avanzata delle truppe tedesche che erano ormai giunte non molto lontano da Parigi.

Tra il 14 e il 15 luglio 1918 partecipò alla battaglia di Bligny, una battaglia sanguinosissima in cui i tedeschi usarono il gas di iprite: le esalazioni danneggiarono irrimediabilmente i polmoni del ventenne Malaparte. Ebbe due onorificenze di guerra francese, rifiutò la carriera militare che gli veniva offerta ed accettò invece (1919) l’incarico di dirigere l’ufficio stampa e cifra del consiglio supremo di guerra presso la Conferenza della pace di Versailles.

L’inizio della carriera diplomatica

Partecipò ad un concorso per la carriera diplomatica, lo vinse, fu nominato addetto di legazione ed inviato a Varsavia (ottobre 1919) dove ebbe il suo primo duello (ne sosterrà complessivamente sedici): sosterrà (Battibecco, pag. 22) senza darne alcuna prova che suo compagno di scherma era Monsignor Achille Ratti, il futuro Pio XI, allora nunzio apostolico in Polonia.

Ottenne presto di essere trasferito a Roma, a disposizione del Ministero degli Esteri, fondò una rivista (“Oceania, di cui furono pubblicati solo quattro numeri) e pubblicò a sue spese (1921) un libro, “Viva Caporetto”, rifiutato dagli editori, sequestrato e di nuovo pubblicato lo stesso anno con il titolo “La rivolta dei santi maledetti”.

L’ideale antidemocratico ed antiborghese

La tesi sostenuta, che poi resterà il nucleo di tutto il suo pensiero, è che la rivoluzione nazionale del 1821, soffocata nel 1870, era stata rimessa in movimento da “noi interventisti e repubblicani” con la guerra: con il travaglio dei forti era nata una nuova classe sociale, antidemocratica e antiborghese, divenuta matura, che una guida politica sicura avrebbe potuto condurre alla vittoria. Le critiche giunsero da destra e da sinistra: Gramsci nei Quaderni dal carcere ebbe parole molto dure.

L’adesione al fascismo di Malaparte

Espulso dalla diplomazia per aver pubblicato il libro senza autorizzazione ministeriale, il 20 settembre 1922 si iscrisse al P.N.F. a Firenze e divenne segretario della federazione sindacale della Provincia. Al tempo stesso però iniziò la sua critica al fascismo su quelle posizioni anarco — sindacaliste con matrici nazionaliste e mazziniane che furono anche quelle di altri esponenti fascisti, fra cui soprattutto Filippo Corridoni.

Si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza ma non arrivò mai alla laurea: i suoi interessi erano ormai solo la letteratura e la politica. Iniziò la collaborazione alla “Ronda”, diretta da Vincenzo Cardarelli, a “Il Tempo” e a “Il Mondo” e fu l’animatore del movimento letterario “Strapaese” con Longanesi e Maccari, che esaltava l’Italia della provincia contro quella della città, difesa da Stracittà, un altro movimento che aveva come esponente Massimo Bontempelli, con il quale Malaparte conservò però stretti rapporti di amicizia.

Nel 1924 Malaparte venne inviato da Mussolini a Parigi per svolgere propaganda a favore del fascismo: fu quella l’occasione per conoscere Dumini, al quale fece anche da padrino in un duello con un antifascista, Alberto Giannini.

Tornato in Italia, pubblicò un libro (L’Europa vivente) in cui sosteneva che il fascismo rappresentava la Controriforma per i paesi come l’Italia non toccati dalla Riforma. Nel 1923, secondo il suo racconto, (v. Guerri, pag. 59) fu ricevuto da Mussolini, nel gennaio 1924 divenne ispettore generale del P.N.F. e due mesi dopo fondò una rivista, “La conquista dello Stato” che era un appello al fascismo delle provincie, quello più intransigente, insieme con la proposta di sciogliere il Parlamento, da sostituire con i Consigli tecnici del lavoro, a base sindacale e corporativa.

La testimonianza di Malaparte nel processo per il delitto Matteotti

È a questo punto che avviene il suo ingresso nel processo agli accusati del delitto Matteotti, rendendo già in istruttoria (1924) le dichiarazioni che ripeterà nel corso del processo di Chieti: dai documenti disponibili non emerge chiara la motivazione della sua testimonianza né da chi essa gli fu richiesta (probabilmente da Dumini, anche se essa faceva parte di un più ampio e complesso disegno di depistaggío delle indagini).

ll 4 gennaio 1925, cioè il giorno successivo al discorso di Mussolini alla Camera dei deputati che segnò la svolta del regime in senso nettamente autoritario, su “La conquista dello Stato” Malaparte ritenne ancora inadeguate le misure adottate e il giornale venne sequestrato.

Nel mese di maggio firmò il manifesto degli intellettuali fascisti usando per l’ultima volta il suo cognome: per qualche anno si firmerà Suckert — Malaparte e talora solo Malaparte fino a quando nel 1929 otterrà il mutamento ufficiale del cognome.

Perchè Kurt Suckert scelse di chiamarsi Curzio Malaparte?

Lo scelse leggendo un libretto scritto nel 1969, con il titolo “I Malaparte e i Bonaparte nel primo centenario di un Malaparte – Bonaparte”, in cui si affermava che il cognome Malaparte era stato cambiato per concessione papale in Bonaparte, con l’avvertenza che sarebbe ritornato quello originario se qualche discendente della famiglia si fosse comportato male.

Nel 1925 pubblicò “Italia barbara”, una raccolta di saggi ed articoli con una nota introduzione di Piero Gobetti un cui Curzio Sucker veniva definito “la più forte penna del fascismo”.

Il 15 dicembre 1928 Malaparte chiuse la rivista “La conquista dello Stato”, in difficoltà economiche e trovò lavoro a II Mattino di Napoli, continuando le collaborazioni con riviste culturali (II Selvaggio, diretto da Mino Maccari, che cessò la pubblicazione nel 1926, dopo l’espulsione del suo direttore da P.N.F., “900”, da lui fondata insieme a Massimo Bontempelli, “L’Italiano” fondata nel 1926 da Leo Longanesi).

Nel 1928 pubblicò “L’arcitaliano” con la “Cantata dell’ArciMussolini”, il cui ritornello (Spunta il sole e canta il gallo! o Mussolini, monta a cavallo) diverrà celebre e, nello stesso periodo “Don Camaleo, romanzo di un Camaleonte”, nettamente critico verso il fascismo e Mussolini che aveva tradito le sue speranze rivoluzionarie.

Mussolini è infatti definito: “Il Grande Camaleonte, la grande Lucertola, la Grande Bestia d’Italia”. Il romanzo fu pubblicato a puntate, dal 1° luglio 1926 al 17 gennaio 1927 su “La Chiosa”, un supplemento a “Il Giornale di Genova” e bruscamente interrotto dopo trentadue puntate: la pubblicazione integrale avrebbe provocato serie conseguenze per il suo autore.

Uscì in edizione integrale solo nel 1946, anche se nell’introduzione Malaparte affermò che la pubblicazione in volume era già avvenuta nel 1926. (V. Guerri, pag. 98).

La vita privata di Curzio Malaparte

Avaro, molto attento all’aspetto fisico ed al vestiario, ebbe molte relazioni femminili (notissima quella con Virginia Bourbon del Monte, moglie di Edoardo Agnelli, padre di Gianni e dei suoi sei tra fratelli e sorelle) ma non si sposò mai e non ebbe figli, almeno riconosciuti come tali.

La sua preoccupazione principale era di continuare a essere presente sulla scena politica e letteraria, pur prendendo in misura crescente le distanze dal regime fascista.

Gianni Agnelli che lo conobbe da ragazzo, usò nel descriverlo espressioni molto dure (E. Biagi, Il signor Fiat, 1976, pag. 41).

Nel settembre 1928, dopo aver collaborato con “Il resto del Carlino”, diventò caporedattore de “Il Mattino” di Napoli per interessamento di Augusto Turati, segretario del P.N.F. e suo amico.

Malaparte Direttore de “La Stampa”

A Napoli conobbe il senatore Giovanni Agnelli, proprietario de “La Stampa” di Torino oltre che della F.I.A.T. e tanto insistette che riuscì a convincerlo di nominarlo direttore del giornale (febbraio 1929), cosa che Agnelli fece dopo aver ottenuto l’assenso di Mussolini.

Il nuovo direttore portò il giornale su posizioni che oscillavano tra il fascismo ortodosso e la critica al regime, con particolare attenzione a quanto accadeva all’estero, dai gradi scioperi operai e dei lavoratori delle miniere in Francia ed in Belgio, agli avvenimenti interni dell’Unione Sovietica, dopo l’espulsione di Trotzki e la stabilizzazione del regime.

Nel maggio 1929 Malaparte si recò a Mosca, dove si trattenne un mese ed incontrò i personaggi di maggior rilievo dl regime sovietico, da Bulgakov a Stalin. Tornato in Italia, raccolse in un volume le sue corrispondenze da Mosca e le pubblicò in un volume con il titolo “Intelligenza di Lenin” (“Intelligenza” stava nel caso specifico per “comprensione”). Tesi di fondo del volume era la necessità di guardare e giudicare il bolscevismo: “Da un punto di vista logico… estraneo alla morale comune ed alle comuni opinioni della borghesia “.

Mussolini gli chiedeva relazioni sulla Torino operaia e sui problemi politici che Malaparte puntualmente gli inviava, qualche volta il Duce lo riceveva a Palazzo Venezia, “la fronda” del direttore de La Stampa sembrava rientrare nella logica del sistema, almeno fio a che non oltrepassava certi limiti.

A smentire questa ricostruzione sembra stare il licenziamento di Malaparte dalla direzione del giornale (fine gennaio 1931) per motivi non ben chiariti (la relazione con Virginia Agnelli, avversata dal suocero, i dissensi con l’amministratore del giornale, i rapporti difficili con Balbo per i giudizi critici che appariranno successivamente anche su La Stampa a proposito delle possibilità belliche dell’aeronautica italiana, espressi da Giacomo Carboni, futuro capo dei servizi segreti italiani).

Il licenziamento, la liquidazione milionaria e la costruzione della villa a Capri

Malaparte restò molto male per il licenziamento anche se ebbe una liquidazione molto elevata, di cui è rimasto però ignoto l’ammontare e che utilizzò per iniziare la costruzione della sua villa a Capri.

La villa costruita sul ciglio di Punta Masullo a picco sul mare, fu progettata da Adalberto Libera, uno dei maestri dell’architettura razionalista, dopo molte discussioni con Malaparte.

Costruita con una autorizzazione ottenuta solo l’intervento di Galeazzo Ciano in un luogo vincolato, somiglia ad un grande mattone rosso poggiato sulla roccia.

Fu abitata in seguito per lunghi periodi da Malaparte, che nel 1942 vi ricevette Rommel e nel 1947, quando pensava di iscriversi al PCI, Togliatti con Eugenio Reale e Maurizio Valenzi.

I contrasti tra Curzio Malaparte e Italo Balbo

Alla sua morte la villa fu lasciata in eredità alla Repubblica popolare cinese per divenire sede di una Fondazione. La Fondazione non fu costruita e la villa fu rivendicata dagli eredi che vinsero il giudizio e destinarono la villa a sede della Fondazione Andrea Ronchi, un nipotino di Malaparte morto a 13 anni a Firenze. La Fondazione è ancora oggi esistente, con sede a Firenze.

Lasciata la direzione del La Stampa, Malaparte iniziò un periodo di lunghi soggiorni a Parigi, dove strinse amicizia con Jean Giraudoux, André Malraux ed altri intellettuali del tempo e divenne consulente dell’editore Grasset.

Nel 1931 pubblicò “Tecnica di un colpo di stato” in cui analizzava la tecnica per la conquista del potere al di là di qualunque ideologia, con pesanti critiche nei confronti di Hitler, due anni prima della sua presa di potere in Germania.

Mussolini, ricevute assicurazioni da Augusto Turati, circa l’ortodossia delle fedi sostenute, dopo qualche esitazione ricevette Malaparte, ponendo fine ai suoi timori di incorrere nelle sue ire.

Anelò diversamente per Vita di Pizzo di ferro, detto Italo Balbo, scritto insieme a Enrico Falqui nello stesso anno: il libro, fintamente adulatorio, suscitò le ire di Balbo, accusato anche, in una lettera a Nello Quilici (Guerri, pag.150) di maneggi con Agnelli “il quale è un cinico e parla e non nasconde nulla”.

Malaparte temendo ritorsioni, accolse di buon grado l’incarico di Italo Borrelli, direttore del Corriere della Sera, di collaborare col giornale (1932) e partì in giro per l’Europa, pensando di evitare così la vendetta di Balbo che invece non si fece attendere.

L’espulsione di Malaparte dal partito fascista ed il carcere

Tornò in Italia alla fine di settembre: subito Balbo tornò a chiedere a Mussolini provvedimenti contro Malaparte. Mussolini cedette anche perché i rapporti della polizia ponevano seri dubbi sulla fedeltà al fascismo di Malaparte.

Il 17 ottobre Malaparte fu arrestato, rinchiuso nel carcere di Regina Coeli a Roma, radiato dai quadri della M.V.S.N. ed espulso dal P.N.F. dal quale peraltro, si era già dimesso nel febbraio 1931.

Giudicato dalla Commissione provinciale per il confino di polizia per “offesa e calunnia di un ministro in carica”. Malaparte fu inviato prima a Lipari, poi, come Mussolini aveva deliberato a margine dl consenso al confino, a Ischia ed infine per intercessione di Ciano, addirittura a Forte dei Marmi, fino a quando sempre grazie all’intervento di Ciano, il 12 giugno 1935 con un “atto di clemenza” Mussolini lo prosciolse: la vicenda era durata complessivamente due anni e mezzo, di cui otto mesi trascorsi a Lipari.

A Forte dei Marmi Malaparte acquistò una villa bellissima appartenente allo scultore tedesco Adel von Hildebrand, che alla fine dell’800 l’aveva fatta costruire, in riva al mare nella pineta.

La relazione con Virginia Agnelli

Nella villa Malaparte invitò artisti e letterati celebri, da Moravia a Savino: dopo la sua morte la villa fu venduta e sul terreno costruite due palazzine. E’ a Forte dei Marmi che Malaparte conobbe Virginia Agnelli: furono sul punto di sposarsi, ciò che il senatore Agnelli impedì anche per l’ostilità dei nipoti al nuovo matrimonio della madre.

Graziato dal confino, Malaparte fondò (1935) una nuova rivista, “Prospettive”, alla quale collaborarono noti scrittori da Baldini a Elsa Morante, da Giacomo Debenedetti a Enrico Falqui, fino a politici come Badai e a pittori come De Pisis, Savino e Guttuso, oltre a Maccari ed a Orfeo Tamburi, che aveva anche la direzione artistica della rivista.

Dopo una breve sospensione nella primavera del 1939, dal 15 ottobre dello stesso anno iniziò la pubblicazione della seconda serie della rivista, sempre improntata ad una adesione sostanziale al fascismo, abbandonando le critiche posizioni revisioniste del suo direttore.

Uscì fino al 1943: un tentativo di rilancio di Malaparte nel 1952 non ebbe il successo sperato. Al tempo stesso Malaparte riprese l’attività giornalistica e nel 1939 si recò in Etiopia, inviato da Il Corriere della sera a cui mandò però solo alcune corrispondenze.

Malaparte il “tradimento” al fascismo e l’avvicinamento al PCI

Nel 1940, iniziata la guerra, venne richiamato col grado di capitano degli alpini, malgrado le sue proteste di non poter essere ufficiale in quanto escluso dal P.N.F.

Stette al fronte solo due mesi, al termine dei quali, grazie ancora una volta all’intervento di Galeazzo Ciano, fu trasferito all’ufficio stampa dello Stato maggiore come ufficiale comandato al servizio di corrispondente di guerra, una soluzione paradossale che gli consentì di svolgere il suo mestiere in divisa di capitano degli alpini.

Dal fronte greco inviò corrispondenze al Corriere della sera a al Tempo. Passò poi in Yugoslavia e in Romania e si trovava al fronte il giorno in cui la Germania attaccò l’Unione sovietica.

Le corrispondenze dal fronte russo, riunite in volumi, furono pubblicate nel 1943 con il titolo “Il Volga nasce in Europa”: la prima edizione fu distrutta durante un bombardamento a Milano, la nuova sequestrata alla fin del 1943 dai tedeschi e quella del dopoguerra pubblicata con numerose modifiche allo scopo di eliminare qualsiasi espressione sgradita ai russi (vedi in raffronto tra le varie edizioni in Guerri, pag.206).

Tornò dal fronte russo (sostenne di essere stato richiamato per ordine di Mussolini, ma la cosa non è provata, vedi Guerri pag.209) e si rifugiò, salvo un breve viaggio in Polonia nel febbraio e marzo 1943, nella sua villa di Capri, ormai completata e lussuosamente arredata grazie anche ad una elargizione straordinaria di mezzo milione di lire ottenuta dall’Istituto di previdenza dei giornalisti nel 1939 con la motivazione di cure mediche necessarie per la madre.

Il 25 luglio, al momento della caduta del fascismo era a Stoccolma: tornò a Roma convinto che per lui, ex confinato, la fine del regime fascista, costituisse una grande opportunità di rilancio sulla scena… ma il 31 luglio, venne arrestato e rinchiuso nel carcere d Regina Coeli per aver diffuso voci su un’imminente intervento militare tedesco in Italia, nuocendo così ai buoni rapporti italo-tedeschi.

Una settimana dopo venne rilasciato e si recò a Capri, dove agli inizi del mese di novembre venne arrestato dagli alleati e rinchiuso nel carcere di Poggioreale.

Alberto Cianca, ministro del governo Bonomi, da lui riconosciuto in questi mesi, lo fece liberare fino a quando, nel febbraio 1944, non fu nuovamente arrestato, questa volta per ordine delle autorità italiane del Regno del Sud; l’accusa era di “aver organizzato bande armate prima e dopo la marcia su Roma, di aver contribuito a mantenere con atti rilevanti il regime fascista e di profitti illeciti”.

Ancora una volta riuscì a cavarsela: fu prosciolto dalle accuse dal commissario per l’epurazione di Napoli e successivamente per l’avocazione dei profitti di regime (1947).

Nel frattempo divenne ufficiale dì collegamento dell’esercito italiano con la V Armata. Nell’estate del 1944 iniziarono i suoi primi approcci per un ingresso nel P.C.I. e a questo scopo fece pervenire agli organi di partito una dettagliata autobiografia in cui sottolineava l’interesse espresso per il comunismo nei suoi libri, da “Viva Caporetto” a “L’intelligenza di Lenin” a “Tecnica del colpo di Stato”.

L’autobiografia fu consegnata a Velio Spano, direttore de L’Unità, che fingendo un caso fortuito, si recò con Togliatti e Maurizio Valenzi a incontrarlo nella sua villa di Capri.

Togliatti preoccupato di non chiudere la porta ad intellettuali ed ex fascisti che prendessero le distanze dal loro passato, tornò alla villa con il diplomatico Roberto Ducci e Dino Gentile; imprenditore legato al partito d’azione, e alla fine acconsentì che Malaparte divenisse il corrispondente de l’Unità dal fronte italiano, firmando con lo pseudonimo di Gianni Strozzi.

La collaborazione si interruppe bruscamente il 15 gennaio 1945 per le proteste di Mario Alicata che riconobbe lo stile di Malaparte già dal primo articolo (Sangue in San Frediano) sulla liberazione di Firenze.

E’ da ricordare che fu proprio Malaparte su L’Unità a rilanciare la tesi che l’uccisione dell’ex ministro dell’Educazione nazionale Giovanni Gentile a Firenze nel 1944 era avvenuta non ad opera dei partigiani ma di frange estremiste fasciste preoccupate dell’intervento di Gentile su Mussolini perché cessassero gli eccessi nei confronti dei partigiani catturati.

Finita la collaborazione al quotidiano comunista, Malaparte iniziò a ripubblicare opportunamente i suoi libri, ad iniziare da “Don Camaleo” e non appena gli fu concesso, si recò (fine 1947) in Francia da dove iniziò la collaborazione con giornali italiani e stranieri (II Tempo, Paris Presse, Gazette de Lausanne fra gli altri) schierandosi su posizioni socialiste, per altro non identificate né nel PSI né nel PSDI.

Di fatto non aderì ad alcun partito: pensò così alla costituzione di un “Fronte di unità nazionale”. Nei confronti dei comunisti prevale la paura ed insieme il rancore per non essere stato accettato fra loro. Il romanzo “Ballo al Cremlino” violentemente anticomunista, pubblicato a puntate su Il tempo, indusse Togliatti in un discorso allo stadio Comunale di Bologna (15 gennaio 1949) ad accusare Malaparte di fare dell’ “anticomunismo idiota” ed a minacciare di pubblicare la sua autobiografia, consegnata al momento in cui aveva richiesto l’iscrizione al PCI.

Malaparte ed il “tradimento” al PCI

Malaparte negò non l’esistenza dell’autobiografia ma di aver richiesto quell’iscrizione, come di fatto almeno formalmente era avvenuto. Tornò a Parigi e tentò la via del teatro con un atto unico (Du cÒtè de chez Proust) che andò in scena il 22 novembre 1948 ed ebbe scarso successo. “Das Kapital”, altra sua opera teatrale sull’esilio londinese di Marx, fu rappresentata anch’essa a Parigi il 27 gennaio 1949 ed accolta dal pubblico con fischi e grida di dissenso.

Restò in Francia fino alla fine del 1949, quando esplose in Italia il grande successo de “La pelle”, un successo superiore a quello che aveva avuto “Kaputt” nel 1944, due romanzi entrambi centrati sugli orrori della guerra, il secondo ambientato nella Napoli del 1944, dove il popolo rinuncia a libertà, dignità ed onore pur di sopravvivere.

“La pelle” venne accolto con contrastanti giudizi dalla critica italiana e messo all’indice dal Sant’Uffizio. Il Consiglio comunale di Napoli decise il “Bando morale” del suo autore, ma il libro non fu sequestrato, come pure da alcuni veniva richiesto.

Nel 1950 fu regista, autore e sceneggiatore del film “Il Cristo proibito”, la cui tesi di fondo era che nell’epoca moderna il sacrificio degli innocenti è impossibile oltre che essere ingiusto (un uomo rinuncia ad uccidere un ragazzo, causa della morte di suo fratello). ll film ebbe scarso successo e, malgrado ogni tentativo, Malaparte non riuscì più a tornare al cinema.

Ricominciò allora a fare l’inviato speciale per Il Tempo in Europa e in Sud America, fino al 1953, quando iniziò a tenere sullo stesso settimanale una rubrica fissa, “Battibecco”, che gli stesso definì: “Un repertorio delle magagne d’Italia” (Battibecco, Milano, 1955, pag. 232).

Ebbe successo e ne profittò per difendere se stesso e atteggiarsi a perseguitato. Sul piano politico, espresse simpatia per Tambroni, che aveva istituito uno speciale ufficio al Ministero dell’Interno per l’esame delle lettere di protesta dei cittadini inviate a Montanelli, presso Il Tempo su suo invito. Altro democristiano per il quale espresse simpatia fu Fanfani, mentre fu sempre fortemente critico nei confronti di Scelba.

Il 19 luglio 1955 andò in scena al Teatro Nuovo di Milano il “Sexophone”, uno spettacolo di varietà fortemente critico nei confronti della classe politica, di cui Malaparte era autore, sceneggiatore e regista.

Lo spettacolo non ebbe successo e costò al suo autore, secondo quanto lui stesso dichiarò, ben diciotto milioni del tempo. Continuò la collaborazione a “Il Tempo” e, nella sua critica contro il Governo e la burocrazia e contro la corruzione, si trovò ad essere sulle stesse posizioni del PCI.

Anche se diverse erano le motivazioni, gli attacchi da parte comunista a Malaparte scesero di intensità anche per l’intervento di autorevoli amici di Malaparte, primo tra tutti Davide Lajolo.

Il riavvicinamento al PCI

Nel 1956 si candidò per il P.R.I. al Consiglio Comunale di Prato ma non fu eletto. Riprese la marcia di avvicinamento al P.C.I., attraverso Maria Antonietta Macciocchi, direttrice di “Vie nuove”, rivista ufficiale del P.C.I. che a partire dal 22 dicembre 1956 pubblicò articolo-sei- di Malaparte, partito il 12 ottobre per un viaggio in Cina su invito del governo cinese.

Malaparte in punto di morte e l’adesione al PCI

Viaggiò a lungo nel Paese e scrisse articoli pieni di entusiasmo per ciò che di antico e di moderno vedeva. Alla fine di settembre ebbe un malore e fu ricoverato all’ospedale. Gli accertamenti compiuti mostrarono subito che qualcosa ai polmoni non era normale: si trattava di un tumore, come Malaparte intuì anche se non gli fu mai comunicato.

Rientrò in Italia via Praga (non esistevano a quel tempo comunicazioni aeree tra l’Europa occidentale e la Cina) e dopo un’intera giornata di viaggio l’11 marzo giunse a Roma. Fu ricoverato alla clinica Sanatrix, stanza n°34 (quando lo trasferirono alla stanza n°32 affermò che lo fecero perché era più vicina all’ascensore per le bare) e affidato ai migliori clinici del tempo, come i professori Tozzi e Frugoni.

Tramite Lajolo riuscì ad ottenere che l’8 aprile Togliatti si recasse a fargli visita. Gli chiese di nuovo la tessera del PCI e la ebbe quattro giorni più tardi con una lettera del Segretario di Partito: l’affidò al fratello Enzo nel timore che le suore che facevano servizio nella clinica gliela sottraessero.

Il 22 aprile ricevette la tessera del PRI, che rifiutò con una lettera molto garbata accettandola come dono simbolico. ll 10 maggio fece testamento: ebbe una crisi e chiese di incontrare Pio XII che ricevette la sorella Maria, mandò a Malaparte la sua benedizione ma rinunciò a fargli visita. Inviò al suo posto due gesuiti, padre Cappello, un anziano canonista, e padre Rotondi, colto e politicamente impegnato proprio contro il PCI nel movimento “Per un mondo migliore” di un altro gesuita, padre Lombardi.

La conversione al cristianesimo

L’8 giugno chiese ed ebbe il battesimo. Un mese dopo nella notte tra l’8 e il 9 luglio, fece chiamare dal fratello padre Rotondi, che si era sistemato in una stanza della clinica vicino alla sua e volle confessarsi e comunicarsi. Nell’occasione sconfessò “La pelle”, il suo romanzo più famoso messo all’indice dal Sant’Uffizio: era la condizione per entrare nella Chiesa cattolica a pieno titolo, lui originariamente luterano, anche se non praticante.

Morì il 19 luglio 1957. Nel testamento espresse la volontà di essere sepolto in cima al monte Spazzavento, una montagna tra Prato e la Vai Bisenzio. Il Comune di Prato fece costruire nel 1961 un mausoleo nel punto indicato da Malaparte. La tomba consiste in un gran sarcofago di pietra in cui è inciso il nome e cognome e la data della nascita e della morte, con alcune sue frasi (“vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento, per sollevare il capo ogni tanto e sputare nella fredda gora della tramontana” e l’altra “io sono pratese, sono orgoglioso di essere pratese e non vorrei essere nato se non fossi stato pratese”).


Bibliografia

  • Susanna Agnelli, Vestivamo alla marinara. Milano, 1975
  • Enzo Biagi, Il signor Fiat. Milano, 1976
  • Mauro Canale, Il delitto Matteotti. Bologna 1997
  • Gianni Grana, Malaparte. Firenze 1968
  • Giordano Bruno Guerri, L’arcitaliano. Milano, 1991
  • Gianpaolo Martelli, Curzio Malaparte. Torino, 1968
  • Giuseppe Pardini, Curzio Malaparte. Milano 199

Opere di Curzio Malaparte

Di quasi tutte queste opere è stata consultata la prima edizione ma, per facilitare eventuali riscontri, i riferimenti nelle note rimandano a edi­zioni più recenti e accessibili (date nell’elenco seguente fra parentesi quadre).

  • Viva Caporetto!, stampato in proprio, Prato, 1921; poi ristampato con il titolo La rivolta dei santi maledetti, Roma, Rassegna Internazio­nale, 1921 [per l’edizione del 1923, con variazioni e aggiunte: L’Eu­ropa vivente e altri saggi politici (1921-1931), in Opere complete di Curzio Malaparte, Firenze, Vallecchi, 1961].
  • Le nozze degli eunuchi, Roma, Rassegna Internazionale, 1922 [L’Europa vivente e altri saggi politici (1921-1931), in Opere complete di Curzio Malaparte, Firenze, Vallecchi, 1961].
  • L’Europa vivente, Firenze, La Voce, 1923 [L’Europa vivente e altri saggi politici (1921-1931), in Opere complete di Curzio Malaparte, Fi­renze, Vallecchi, 1961].
  • Il reame dei cornuti di Francia, incompiuto, pubblicato a puntate su «L’Italiano», marzo-ottobre 1926.
  • Italia barbara, Torino, Gobetti, 1926 [L’Europa vivente e altri saggi politici (1921-1931), in Opere complete di Curzio Malaparte, Firen­ze, Vallecchi, 1961].
  • Avventure di un capitano di sventura, Roma, La Voce, 1927.
  • Don Camaleo, parzialmente pubblicato a puntate su «La Chiosa», 1927-28, e «L’Italiano», 1928, 1930; prima edizione integrale in vo­lume: Firenze, Vallecchi, 1946.
  • L’Arcitaliano, Roma, La Voce, 1928 [L’Arcitaliano e tutte le altre poesie, in Opere complete di Curzio Malaparte, Firenze, Vallecchi, 1963].
  • Intelligenza di Lenin, Milano, Treves, 1930.
  • Sodoma e Gomorra, Milano, Treves, 1931.
  • I custodi del disordine, Torino, Fratelli Buratti, 1931 [L’Europa vivente e altri saggi politici (1921-1931), in Opere complete di Curzio Malaparte, Firenze, Vallecchi, 1961].
  • Vita di Pizzo-di-Ferro, detto Italo Balbo, Roma, Libreria del Littorio, 1931.
  • Technique du coup d’État, Grasset, 1931; Tecnica del colpo di Stato, Firenze, Vallecchi, 1946 [Firenze, Vallecchi, 1973].
  • Le bonhomme Lénine, Parigi, Grasset, 1932; Lenin buonanima, Firenze, Vallecchi, 1962.
  • Fughe in prigione, Firenze, Vallecchi, 1936.
  • Sangue, Firenze, Vallecchi, 1937.
  • Una tragedia italiana, incompiuto, pubblicato a puntate su «Circoli»,
  • 1939-40, e poi in Il ballo al Cremlino e altri inediti di romanzo, Fi-
  • renze, Vallecchi, 1971.
  • Donna come me, Milano, Mondadori, 1940 [1958].
  • 1I sole è cieco, pubblicato a puntate su «Tempo», gennaio-aprile 1941; prima edizione in volume: Firenze, Vallecchi, 1947.
  • Il Volga nasce in Europa, Milano, Bompiani, 1943 [Firenze, Vallecchi, 1965].
  • Autobiografia, dattiloscritto, 1944; pubblicato su «Rinascita», agosto e settembre 1957.
  • Kaputt, Napoli, Casella, 1944 [Firenze, Vallecchi, 1960].
  • Deux chapeaux de paille d’Italie, Parigi, Denoél, 1948; parzialmente pubblicato in Italia su «Il Tempo», novembre 1947.
  • Storia di domani, pubblicato a puntate su «Il Tempo», gennaio 1949; prima edizione in volume: Roma-Milano, Aria d’Italia, 1949.
  • Il battibecco, Roma-Milano, Aria d’Italia, 1949 [L’Arcitaliano e tutte le altre poesie, in Opere complete di Curzio Malaparte, Firenze, Vallecchi, 1963].
  • La pelle, Roma-Milano, Aria d’Italia, 1949.
  • Cristo proibito, copione e sceneggiatura dattiloscritti.
  • Das Kapital e Du cóté de chez Proust, Roma-Milano, Aria d’Italia, 1951, pubblicato in francese.
  • Curzio Malaparte inizia il racconto della sua vita, «Cronache italiane», maggio-luglio 1954.
  • Anche le donne hanno perso la guerra, Bologna, Cappelli, 1954.
  • Due anni di battibecco, Milano, Garzanti, 1955.
  • Sexophone, copione dattiloscritto, teatro Nuovo, Milano, 1955.
  • Maledetti toscani, Firenze, Vallecchi, 1956 [1970].
  • Io, in .Russia e in Cina, Firenze, Vallecchi, 1957 [1962].
  • Mamma marcia, Firenze, Vallecchi, 1959.
  • L’inglese in Paradiso, Firenze, Vallecchi, 1960.
  • Benedetti italiani, Firenze, Vallecchi, 1961.
  • Viaggio fra i terremoti, Firenze, Vallecchi, 1963.
  • Il grande imbecille, Firenze, Vallecchi, 1964; in Don Camaleo e altri scritti satirici, in Opere complete di Curzio Malaparte.
  • Diario di uno straniero a Parigi, Firenze, Vallecchi, 1966.
  • Battibecco (1953-57), Milano, Palazzi, 1967.
  • L’albero vivo e altre prose, Firenze, Vallecchi, 1969, in Opere complete di Curzio Malaparte; contiene anche un’antologia di 48 elzeviri (1928-1956).
  • Il ballo al Cremlino e altri inediti di romanzo, Firenze, Vallecchi, 1971, in Opere complete di Curzio Malaparte.
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Mario Pacelli

Mario Pacelli è stato docente di Diritto pubblico nell'Università di Roma La Sapienza, per lunghi anni funzionario della Camera dei deputati. Ha scritto numerosi studi di storia parlamentare, tra cui Le radici di Montecitorio (1984), Bella gente (1992), Interno Montecitorio (2000), Il colle più alto (2017). Ha collaborato con il «Corriere della Sera» e «Il Messaggero».

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