“Il nostro tempo è nemico dell’ insoddisfazione interiore e naturalmente della costanza, è organizzato perchè tutto stanchi immediatamente e l’attenzione si mostri irrequieta ed erratica… non si sopporta l’indagine sostenuta, nè la perseveranza, il soffermarsi davvero su qualcosa…
Mio padre non ci permetteva mai di accontentarci dell’apparenza di una vittoria dialettica nelle nostre discussioni o di un successo nello spiegarci.
“E che altro”, diceva, dopo che avevo dato per conclusi un’esposizione ed un argomento…” continua, andiamo, svelto, continua a pensare… L’interessante e il più difficile e ciò che costa fatica è continuare a pensare, continuare a guardare più in là del necessario… più in là del limite in cui uno si sente a suo agio… lì dove uno direbbe che ormai non può esserci più niente.
Continua a pensare, corri, non ti fermare, andiamo, continua…” (J. Marias, febbre e lancia).
Sono sempre stata affascinata da questa immagine paterna, dal suo insegnamento necessario, l’unico in grado di offrire ricchezze inestimabili al proprio figlio. Un insegnamento che mi commuove perchè sa di tanta attenzione e di tanto amore, molto diverso da quello di tanti padri moderni pronti a scansare sacrifici per i loro figli, a lodarli senza meriti, a sostenerli anche in atteggiamenti di un’ostentata conoscenza o consapevolezza costituita di dune sabbiose e inconsistenti.
Ne ho conosciuti, ahimè, di figure paterne così poco attente alla vera maturazione dei propri figli e troppo pronti a sostenerli e a diseducarli all’attenzione critica, al rispetto della verità, delle persone e dei meriti altrui. Ne conosco alcuni anche al di fuori del mio ambito professionale e rappresentano un danno non trascurabile per i propri figli e per la società e diventano ancora più pericolosi se sono anche formatori scolastici, maestri o prof.
Il nuovo anno scolastico è iniziato e le vicende legate alla pandemia e al caos che ne è conseguito in termini di suggestive, variegate, difformi e improponibili convinzioni e affermazioni, ha reso ancora più urgente una riflessione sul valore del pensiero, quello critico, dialettico, aperto all’ascolto e al confronto.
Il passo proposto è tratto dal romanzo “Febbre e lancia” di Javer Marias. Mi piace presentarlo perchè offre un’idea di cosa debba essere l’educazione intellettuale: un allenamento della mente nella sua attitudine primaria che è quella di pensare e che può apparire come un impegno troppo gravoso.
Oggigiorno il pensiero sempre più spesso è assente nella nostra vita che preferisce processi facili, veloci, riposanti: troppe cose da fare in piccoli spazi temporali. Pensare richiede, invece, riflessione, tempo, l’angoscia del dubbio, la frustrazione dello sbaglio. Per alcuni, è una faticosa tensione dei neuroni da evitare per cui si preferisce sottrarsi allo stress della riflessione, seguire le emozioni o meglio gli istinti, assorbire immagini, costruirsi convinzioni come se fossero credi di vita incontestabili.
E così sui social, nelle piazze, su pulpiti improbabili e “accaparrati” al momento insieme ad un megafono che fa da risonanza alle proprie distorte convinzioni e senza alcun freno inibitorio e alcuna reticenza e pudore, verso se stessi in primis, si afferma tutto e di più senza porsi alcun problema di “ricerca critica”, convinti che il più forte è quello che grida di più e parla per ultimo. È così che muore la riflessione, l’argomentazione ragionata, il pensiero ed è così che si passa da “urlatori” dei propri convincimenti a schiavi falliti di un agire senza pensare con costi altissimi in termini valoriali ed etici.
È così che il pensiero langue a danno di visioni concrete e razionali del reale, minato da coroselli di parole insulse che cercano di fare effetto su cervelli a loro volta con poca attitudine al pensiero critico.
Forse io faccio parte di una setta in via di estinzione o, forse, di un ristretto numero di fortunati superstiti che vogliono tenere attivo il pensiero, che si sforzano di ponderare, di vagliare, di cercare, di riflettere, sapendo che pur così il margine d’errore è alto.
Forse sono una pericolosa fuorilegge che pretende di pensare a principi morali, a scelte etiche, che ancora crede fondamentale il rispetto, la moderazione, il buon senso.
È così che mi sento nella mia piccola realtà di paese quando va in scena il teatrino osceno della menzogna, di parole che fuoriescono in abbondanza ma completamente scollegate da un cervello pensante o espressione di emozioni rancorose e di una subcultura dell’odio e della falsità.
Il pensiero, invece, impone un ordine, un metodo e una fitta rete di limitazioni da rispettare, pena la possibilità di non avere “contenuto” nè un effetto sano. Se al pensiero manca il senso di un orientamento razionale quello che ne conseguirà sarà disordine, ambiguità e una serie di danni etico-sociali incalcolabili fino ad arrivare al punto in cui la percezione del vero sarà artefatta e distorta.
E allora che la parola d’ordine per tutti sia pensare, riflettere, per parlare ma anche per ascoltare. È questo il vero impegno educativo di ieri come oggi, di tutti, della scuola ma prima ancora della figura genitoriale .
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