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Coronavirus: qualcosa non sta funzionando

Qualcosa non sta funzionando, o almeno non sta funzionando come era nelle previsioni.

L’adozione delle misure di blocco generalizzato delle relazioni sociali e di fermo di gran parte delle attività economiche si è accompagnata al raggiungimento, per ora, di un obiettivo importante: il contenimento delle dinamiche delle ospedalizzazioni poco oltre la soglia delle 30.000 unità; il che dovrebbe aiutare a evitare il collasso del sistema sanitario. Parte di questo risultato è presumibilmente dovuta a una riduzione delle dinamiche del contagio mentre un’altra parte (come testimonia la continua crescita dei trattamenti domiciliari che hanno raggiunto i 65.000 casi) è presumibilmente dovuta a un perfezionamento delle modalità di cura che consente il trattamento extraospedaliero dei casi meno gravi.

andamento decessi coronavirus

Tuttavia, come mostra il grafico, gli indicatori di andamento del contagio (numero dei nuovi casi positivi e dei nuovi decessi rilevati) mostrano una riduzione che si aggira solo sul 30% rispetto al picco e che negli ultimi giorni sembra procedere molto lentamente. Entrambi gli indicatori sono estremamente imperfetti e soggetti a distorsioni a causa delle modalità di rilevazione (sia i nuovi casi sia, in misura minore, i decessi rilevati sono un sottoinsieme di quelli effettivi e l’ampiezza della sottostima è variabile nel tempo), tuttavia questo è quanto viene reso disponibile all’opinione pubblica per valutare la situazione. L’esito è probabilmente molto inferiore a quello atteso e ciò ha indotto le autorità politiche e sanitarie a prolungare il lockdown fino al 3 maggio e a inasprire la campagna di comunicazione del “tutti a casa”.

Il problema, però, non sembrano essere i comportamenti collettivi. Secondo le stime di Google la mobilità a fini lavorativi si è ridotta del 65% e quella a scopi relazionali addirittura del 95%. La stragrande maggioranza degli italiani, dunque, nei limiti della ragionevolezza, osserva le disposizioni e gli inviti delle autorità. Il punto è che il “lockdown” è forse necessario ma certamente non sufficiente ad affrontare il problema. Da solo potrebbe funzionare solo adottando un modello di chiusura e domiciliazione coatta totale (stile Wuhan) e affidando tutte le attività indispensabili alla sopravvivenza a soggetti esterni. Ma questo evidentemente è possibile in una provincia che rappresenta un ventesimo di un paese, non in un’intera nazione.

Il blocco barzotto attuato in Italia, invece, rallenta la diffusione, la rinvia nel tempo, ma non la ferma. In compenso ha costi economici e sociali elevatissimi per l’intero paese e drammatici per coloro che non hanno un reddito fisso garantito. Avrebbe dovuto, quindi, essere usata come misura temporanea, impiegando il tempo che essa concede per approntare gli interventi veramente fondamentali: l’individuazione e isolamento dei portatori del contagio (magari utilizzando i test rapidi per selezionare i soggetti cui effettuare i tamponi), la messa in sicurezza dei soggetti più a rischio (cominciando dall’isolamento di RSA e case di riposo dove si concentrano gli anziani), l’implementazione degli interventi per ridurre il rischio nei luoghi di lavoro.

Purtroppo non abbiamo nessuna informazione su se e come si stia procedendo in queste direzioni; ma dalle poche che abbiamo non sembra che si sia fatto o programmato granché. A un mese di distanza dall’emergere dei cosiddetti test rapidi virologici ancora non si capisce se e quale uso le autorità sanitarie centrali ne vogliano fare (fortunatamente alcuni regioni stanno autonomamente procedendo per conto loro) e di piani straordinari per la tutela della popolazione anziana non ho trovato traccia. Solo sulla messa in sicurezza dei luoghi di lavoro sembra che qualcosa si muova, ma siamo in attesa dell’ “aggiornamento del protocollo” siglato a marzo (sic!).

Lo stesso prolungamento delle misure eufemisticamente definite di “distanziamento sociale” è stato annunciato in televisione dal Presidente del Consiglio senza nessun riferimento né alle condizioni che saranno utilizzate per valutarlo né alle azioni che saranno intraprese per raggiungere tali condizioni. Ci si è limitati a prolungarle e a esasperare la campagna paternalistica del “tutti a casa”, generando peraltro i primi segni di una microconflittualità sociale diffusa che potrebbe in un prossimo futuro degenerare.   

Si può obiettare che questa è la strada indicata dagli “esperti”. In verità ci sono altri, altrettanto esperti, che da settimane dicono (e in alcuni casi praticano) anche scelte diverse ottenendo peraltro, come nei casi del Veneto e del Lazio, risultati decisamente migliori della media. Questo rimanda a un’altra, enorme, questione: è possibile che scelte così importanti per il nostro presente e il nostro futuro siano adottate senza nessuna verifica “indipendente”, né politica né tecnica?  Il parlamento è completamente esautorato e non può esercitare alcuna funzione di indagine e verifica  sull’azione del governo (anche se il livello delle opposizioni fa dubitare che ne sarebbe comunque stato capace) e al tempo stesso la valutazione “tecnica” delle azioni decise è affidata (peraltro in forma riservata) agli stessi tecnici che le hanno proposte.

Speriamo che la Pasqua porti consiglio.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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