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Covid: bene Draghi, ma sarebbe bene cambiare l’algoritmo

La strategia indicata dal Presidente Draghi, sintetizzata giornalisticamente dalla formula “vaccini agli anziani e poi si riapre” è una strategia che ha una logica forte, ma che richiede di rivedere gli algoritmi di classificazione  oggi prevalentemente dipendenti dai dati dei “contagi”.

Il tema è noto: ci sono due grandi interessi collettivi (la tutela della salute e il benessere economico) che in parte confliggono tra loro, dato che lo svolgimento di alcune attività produttive (in particolare quelle commerciali, turistiche e culturali) determina la creazione di assembramenti e contatti che aumentano i rischi di contagio.

Per supportare il decisore politico nella determinazione delle restrizioni alle attività sociali ed economiche è stato elaborato un complesso modello di interpretazione dei dati che, attraverso un articolato algoritmo, fa derivare la classificazione dei livelli di rischio (e quindi le misure restrittive) dai dati relativi ad un ampio insieme di variabili. Nel modello attualmente impiegato svolge un ruolo cruciale il cosiddetto Rt (l’indice che dovrebbe misurare quanti vengono infettati da un infetto) e più in generale i dati relativi ai contagi.

In realtà sappiamo che non tutti i contagi sono uguali, visto che le effettive conseguenze sanitarie non sono sempre le stesse essendo influenzate (che non vuol dire strettamente determinate) dalle caratteristiche dei soggetti quali, in particolare, l’età e le condizioni sanitarie. D’altra parte le variabili veramente cruciali dal punto di vista della tutela della salute sono soprattutto il numero dei decessi e quello dei ricoveri.

Dai dati del Ministero della Sanità sappiamo che sui 754.000 casi attualmente (8 aprile) “attivi” oltre  437.000 (il 58%) sono “asintomatici”, 279.000 (37%) sono “paucisintomatici” o “lievi” e solo 37.563 (il 5%) sono classificati come “severi” o “critici” (la maggior parte dei quali richiedono ricovero ospedaliero). Queste percentuali variano però, come si è accennato, in misura rilevante a seconda delle età (si veda il grafico); in particolare la quota di casi severi o critici sale al 16,0% per gli over 70enni che costituiscono il 50% dei casi più gravi.

E’ dunque ipotizzabile che, a fronte della concentrazione della campagna vaccinale sui soggetti più anziani, il numero dei casi di stati clinici severi o critici si riduca prima e più che proporzionalmente rispetto al numero dei contagi (tanto più se, come è plausibile, gli anziani sono diffusori meno “attivi” dei più giovani che hanno un maggior numero dei contatti). Il riscontro di questa ipotesi lo si dovrebbe avere in un abbassamento della curva dei flussi di ricoveri più marcato di quella rilevabile per il flusso dei contagi. Di tale eventuale andamento, però, l’attuale algoritmo terrebbe conto solo parzialmente (e con ritardo) essendo come detto preminente il peso degli indicatori “di contagio”.  Anche da considerazioni simili a queste presumo nasca la proposta di includere un indicatore della quota di vaccinazioni di soggetti a rischio nella formulazione del modello e dell’algoritmo.

Personalmente ritengo, però, che si potrebbe adottare una soluzione ancora più radicale individuando come variabile fondamentale per determinare il livello di criticità della situazione (e quindi l’ampiezza delle misure restrittive)  il numero di ricoveri, magari articolato a scala regionale anche in funzione delle dotazioni ospedaliere secondo criteri stabiliti dagli esperti sanitari.

A ben guardare, infatti, è questa la variabile veramente rilevante per le politiche  di tutela della salute; paradossalmente un incremento dei contagiati “asintomatici” sarebbe sanitariamente irrilevante e quello dei casi paucisintomatici o lievi potrebbe anche essere considerato un prezzo accettabile a fronte della gravità delle condizioni economiche di centinaia di migliaia di operatori economici e delle loro famiglie.

Il dato dei ricoveri, peraltro, esprime la vera problematica strutturale, quella della “pressione” sul sistema ospedaliero, che quando cresce oltre certi limiti determina una perdita di qualità delle cure (anche ai pazienti non covid) e, inoltre, è un dato che ha dimostrato di essere più tempestivo e attendibile di altri  e meno suscettibile di alterazioni più o meno involontarie. Naturalmente una scelta del genere dovrebbe valere anche nel caso opposto: se, per esempio, una nuova variante dovesse determinare una maggiore frequenza di conseguenze gravi su meno contagi essa porterebbe a scelte più restrittive; nella situazione attuale, però dovrebbe favorire consapevoli scelte “riaperturiste”.

Infine credo abbia senso aggiungere un’ultima considerazione: fissare le soglie  in termini di numero di persone ricoverate  significa indicare degli obiettivi chiari e comprensibili per la grande maggioranza dei cittadini: un conto è dire “riapriremo solo quando l’ Rt sarà stabilmente  minore di 1” “ un altro è dire “riapriremo quando scenderemo sotto i 20.000 o i 10.000 ricoverati”.  Definire obiettivi chiari e comprensibili (almeno a chi abbia voglia di comprendere) non è solo un escamotage di comunicazione, è un modo per rendere le persone consapevoli e partecipi di uno sforzo collettivo e per isolare chi cerca di strumentalizzare il malessere sociale ed economico.

Certo, un algoritmo più complesso è -in teoria- più capace di cogliere i vari aspetti della situazione ma le continue oscillazioni di classificazione degli scorsi mesi indicano che quello attuale non ha funzionato proprio benissimo (altrimenti non avremmo avuto regioni “bianche” che dopo due settimane sono diventate rosse o arancioni!). 

Credo valga la pena, perciò, provare a cambiare strumento, soprattutto se si vuole dare seguito in modo organico a ciò che il Presidente Draghi, dimostrando anche in questo caso coraggio, ha annunciato.

P.S. il numero dei ricoverati è sceso dai 33.080 del 6 aprile ai 31.749 del 9, speriamo sia una tendenza che si confermi.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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