Usque tandem

Covid-Italia 2020: la Terra di nessuno

L’epoca del coronavirus ossia del COVID ripropone luttuose immagini del passato:  città deserte, ospedali da campo,  file per il pane, il latte, la pasta, negozi chiusi, polizia lungo le strade ed il grande fratello che dall’occhio ossia dallo schermo della tv dice continuamente:  stai a casa! A qualcuno certamente sono tornate in mente, con le pagine di Orwell,  le immagini del day after e tra queste quelle della Terra di nessuno, immagine letteraria ed anche cinematografica, di una situazione reale, drammatica, prevalentemente bellica, ossia lo spazio tra le due trincee nemiche scavate ad esempio sulle due rive di un fiume, ma anche tra i bordi di una larga pianura dove gli esploratori si avventurano la notte non di rado soccombendo anche al fuoco amico.

    In questa straordinaria luttuosa e disastrosa vicenda del COVD le due trincee non sono nemiche, sono piuttosto avanguardia e retroguardia dello stesso esercito combattente contro il feroce virus: la prima davvero al fronte con le rianimazioni ed i reparti dedicati, la seconda nelle civili abitazioni dove è rinchiusa asserragliata la gran parte della popolazione civile; nel mezzo ecco la Terra di nessuno dove il virus e’ dominus e dove la società politica, volente o nolente, ha abbandonato gli agnelli sacrificali.

    La Pasqua di pace e di resurrezione ha portato buone notizie dal fronte: meno ricoverati nelle rianimazioni a lottare per la vita, meno morti, anche meno pazienti ricoverati nei reparti dedicati, ma purtroppo ancora aumento dei contagi. Sembra una contraddizione, ma non lo è, perché evidentemente sono state messe a punto terapie efficaci in grado di non fare scivolare gli infetti da un letto di ricovero ordinario a quello di una terapia intensiva e da questo all’obitus, mentre invece la lotta al contagio è ancora perdente soprattutto nella Terra di nessuno. Qual è dunque questa terra dove prevale il virus e perché?

    Partiamo dunque dagli Ospedali, quelli dove sono ufficialmente ricoverati gli infetti negli appositi reparti e quelli non-COVID dove gli infetti si affacciano solo al Pronto soccorso e da lì rimbalzano nei primi. In tutti i reparti nonCOVID il personale non è protetto perché per lo più non ha sufficienti mezzi di protezione né la possibilità di testare per il virus i pazienti che si ricoverano. Se volete sapere dove si sono infettati gli oltre 15.000 sanitari che compaiono nelle statistiche, ora avete una traccia, e se volete la conferma potrete trovarla nel fatto che tra questa sfortunata fetta di popolazione di assistenza non figurano fortunatamente quelli dei Centri di rianimazione né degli Ospedali ufficialmente dedicati ai COVD evidentemente perchè debitamente protetti come giusto che sia.

    Scendiamo agli oltre 100 Medici deceduti per il virus sino a Pasqua, censiti dalla Federazione Nazionale degli Ordini Provinciali dei Medici e degli Odontoiatri: quasi il 40% erano Medici di famiglia che hanno contratto il virus dai propri pazienti, nel proprio ambulatorio o nelle loro case. Gli altri 60% si sono infettati nei Reparti nonCOVID o negli spazi comuni degli Ospedali, oppure alla stregua del resto della popolazione a prescindere del titolo di studio, come gli idraulici, gli avvocati, gli impiegati di banca o gli autisti di auto, e cioè occasionalmente. Questa dove operano il personale di assistenza ed i medici di famiglia è la Terra di nessuno, come quella del personale delle casse dei supermercati che riportano a casa dal lavoro la tosse, le esclamazioni, gli starnuti dei clienti che sostano per pagare a distanza inferiore al prescritto negli stretti corridoi antistanti le casse, come quella dei Farmacisti a permanente confronto con i sofferenti o con chi per loro, come i venditori di frutta e verdura o i trasportatori o gli autisti od anche come quelli dell’informazione, giornalisti, tecnici, cineoperatori, giornalai o infine i ferramenta, i panettieri, i fornai, i benzinai, eccetera, insomma tutti coloro che seppure con mascherine e guanti sostano o si spostano per la città in lunghi turni di lavoro ed anche fuori la città, costituendo oltre 1 milione di vittime sacrificali che possono trasformarsi in altrettanti un untori.

   Tutti costoro, per conto di noi rifugiati nelle case, stanno combattendo la nostra battaglia per così dire a mani nude: alcuni sopravviveranno, altri soccomberanno, altri trasmetteranno il virus nella logica del portatore sano non individuato, lasciato in libera circolazione da un sistema di difesa sostanzialmente affidato al Servizio Sanitario Nazionale, forte negli Ospedali e nelle terapie, debole nella prevenzione e nel territorio. È ben vero che l’ultima epidemia del genere c’è stata 50 anni fa, prima della istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e che pertanto ora non poteva esistere una macchina difensiva rapidamente efficace, ed il disastro che stiamo vivendo somiglia molto, sotto più profili, ai grandi terremoti, alle esplosioni delle centrali nucleari, alle guerre africane e mediorientali, agli tsunami, eventi inattesi e poco controllabili. Tuttavia nel nostro caso tralasciare il problema del territorio può voler dire perdere la guerra. In realtà è assai probabile che nel giro di qualche settimana la mortalità da COVID nel nostro Paese tenderà allo zero e che i centri di rianimazione saranno sempre meno affollati, ma il numero degli infetti in circolazione nella Terra di nessuno potrà perpetuare la malattia nel lungo periodo.

     L’atteggiamento degli organi preposti è allora incomprensibile. Possibile che per domare il nemico bisognerà aspettare per lunghi mesi i 9 miliardi di dosi di vaccino con i quali proteggere l’intera popolazione del pianeta? Possibile che non ci sia la possibilità di affrontare la vicenda nel breve periodo almeno in Italia aggredendo il territorio? Prendiamo il caso dei tamponi o comunque dei test da somministrare per la diagnosi di COVID: le linee guida d’inizio epidemia li riservano ai soli pazienti con febbre, tosse e difficoltà respiratoria, ed a quelli provenienti dalle zone ad alto rischio. Siamo sicuri che queste norme restrittive siano ancora valide dopo quasi 50 giorni di epidemia e quasi 20.000 vittime? Esse servivano per individuare i malati, ma oggi il bisogno si è esteso alla opportunità di individuare i sani ove ci sia necessità di tale certezza: ad esempio siamo sicuri che un malato che cerca il ricovero ospedaliero per altre infermità non debba essere riconosciuto libero dal coronavirus prima di essere ammesso alla vita di comunità in un reparto di degenza nonCOVID, per tutela propria, degli altri pazienti e del personale di assistenza? Siamo sicuri che per gli oltre 40.000 medici di base in attività non sia necessario un controllo periodico? E così per i medici ospedalieri dei reparti e servizi non COVID e per il restante personale ospedaliero, per i farmacisti, per il personale dei supermercati, per i giornalisti sul campo, eccetera?

    Due grandi operazioni sono state promosse dal Governo con successo: quella della cura con la messa a disposizione di una grande rete di assistenza agli infetti e con il potenziamento dei centri di rianimazione, e quella dell’isolamento e del distanziamento sociale della popolazione civile bloccata nelle proprie abitazioni. Ora però c’è necessità di affrontare in maniera diversa la Terra di nessuno ridurne le dimensioni, delimitarle, circoscriverle e bonificarle, prima di riaprire le porte delle fabbriche, dei negozi, delle attività produttive e non, della libera circolazione della popolazione sinora reclusa. Altrimenti il rischio della recidiva sarà altissimo e non perdonabile.

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Eugenio Santoro

Presidente Fondazione San Camillo- Forlanini - Roma

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