Da sole a sole. Non è l’indicazione di un romantico appuntamento, ma il modo per definire una storia durissima: lavorare nei campi dal sorgere del sole fino a quando non tramonta. Ovvero 12, 13 e anche 14 ore a seconda delle stagioni. Liberarsene è stata una delle prime conquiste del movimento sindacale italiano, cent’anni fa. Dopo lotte indicibili, a portare a casa questo traguardo è stata la Federterra, che proprio quest’anno “compie” 120 anni. A tenerla a battesimo – nel 1901 – due padri del socialismo italiano: Andrea Costa e Filippo Turati. Sono presenti i rappresentanti di 704 leghe che raggruppano 152.000 soci; leghe quasi tutte dell’Italia settentrionale, con l’Emilia come la più rappresentata, ma con eccezioni rilevanti come quelle del Lazio (Roma e Rieti), della Puglia (Bari, Andria, Foggia e Cerignola), della Sicilia (Marsala e Corleone).
Tra i fondatori una donna: Argentina Altobelli.
Una donna eccezionale, come eccezionale per quegli anni era il fatto che una donna facesse la sindacalista. Infatti è stata la prima “ufficiale” in Italia. E che sindacalista. Nel 1906 viene eletta segretario nazionale (lo sarà per quasi 20 anni) e sotto la sua guida si arriva alla conquista fondamentale delle 8 ore. Ottiene l’bolizione del lavoro a cottimo e la paga oraria, non più a giornata. Con lei c’è il riconoscimento degli uffici di collocamento e dell’organizzazione dei lavoratori, nonché l’impegno da parte dei proprietari di assumere mano d’opera in proporzione ai fondi coltivati per salvaguardare i lavoratori dalla disoccupazione (Argentina Altobelli: “La Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra d’Italia”, memorie per il Congresso Internazionale dei Lavoratori della Terra in Amsterdam, Bologna, 1920).
Nel 1908 è nella direzione nazionale del Psi: “abbracciai – scrive nelle sue memorie – il socialismo come una religione perché sognavo la giustizia per gli uomini, la solidarietà e l’amore”. Con Angelica Balabanoff, Anna Kukiscioff e altre fonda il Comitato Nazionale dell’Unione Femminile Socialista. Viene nominata rappresentante dei contadini nel Consiglio Superiore del Lavoro presso il Ministero dell’Agricoltura e Commercio dal governo Giolitti. Non solo: diventa consigliere di amministrazione e membro del comitato esecutivo della cassa nazionale per gli infortuni. E alla fine della prima guerra mondiale il presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando la chiama a far parte della commissione che deve riorganizzare la produzione postbellica. Persino Mussolini (già fascista) la cerca, anche se in maniera strumentale. Non c’è che dire: una donna eccezionale.
Nasce a Imola nel 1866, mentre suo padre “era a combattere per l’Unità d’Italia” con Garibaldi (A. Altobelli, “Memorie”) e in casa si respira amore per la libertà (anche la madre aveva sentimenti patriottici) e, in un certo modo, per la ribellione. Sarà per questo clima familiare, sarà perché è battagliera per natura, Argentina preferisce i libri alle bambole. “Appena mi si regalava qualche moneta – scrive – correvo da un libraio a comprarmi il libro che mi era possibile acquistare. Mi formai così una biblioteca nella quale si ammucchiavano i libri più svariati e poco adatti alla mia età e al mio grado di cultura”.
Dopo la nascita di una sorellina viene affidata al fratello del padre e a sua moglie, robusti contadini romagnoli che vedono Argentina troppo fragile e la mandano – su consiglio medico – a “cambiar aria”. Al suo ritorno la bambina non troverà i suoi libri. Gli zii li avevano distrutti, convinti che la lettura potesse danneggiare la sua salute. Questo per descrivere il clima culturale che si viveva all’epoca. E comunque sarà proprio lo zio ad essere fiero di questa nipote che poco tempo dopo infiammerà le campagne con i suoi comizi. Sarà sempre lo zio a portarle il giornale di Andrea Costa, dove la ragazza scoprirà questo leader socialista che le apre il cuore e la mente. “L’opera di Andrea Costa appariva alla mia mente più audace e complessa e più rispondente alla realtà che non la dottrina idealistica di Giuseppe Mazzini” (ibidem).
Il primo comizio, dedicato all’emancipazione femminile, lo tiene a Parma nel 1884. Ci sono solo tre donne. Ma in qualche modo si diffonde la notizia che questa diciottenne è capace di risvegliare l’animo degli oppressi e nel secondo comizio la gente è molta di più, soprattutto le contadine. “E’ stata Argentina Altobelli che ci ha svegliate”, diceva, anni dopo, un canto a lei dedicato. A dorso di mulo, su carrette sgangherate, di comizio in comizio Argentina gira tutte le campagne dell’Emilia Romagna. Ormai è lanciata. In anni in cui alle donne si chiedeva solo silenzio e figli, lei svetta indomabile e infaticabile. Diventa famosissima.
La vita nei campi in quegli anni è durissima. Due storici inglesi – Bolton King e Thomas Okej – nel 1901 ci fanno una descrizione da brividi di quelle condizioni: “Le loro mercedi assai basse sono interrotte dal cattivo tempo o da mancanza di lavoro e di frequente sono pagate in parte con cattivo granoturco che produce la pellagra e viene loro calcolato ad un prezzo superiore al costo effettivo. Il loro cibo è insufficiente e le loro abitudini disonorano un paese civile. In parte della Sicilia o del Mezzogiorno lavorano a grandi distanze dalle loro case. Nelle risaie essi lavorano lunghe ore nei più caldi giorni di luglio coll’acqua fino alle ginocchia e respirano un’aria piena di germi febbrili. Nell’agro romano quasi alle porte di Roma dormono in grotte o in capanne di paglia, privi di finestre e di porte… Inoltre non vi era una legislazione sociale a favore dei lavoratori della terra: furono esclusi dai benefici della legge che istituì la Cassa Nazionale di Previdenza; furono esclusi dalla legge per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro; dalla legge sulla cassa di maternità” (B. King, T. Okej L’Italia di oggi).
Non che il governo e la politica non fossero consapevoli. L’inchiesta agraria ”diretta da Stefano Jacini, all’indomani dell’unificazione dell’Italia, commenta così la vita dei contadini: “Le classi dirigenti li hanno sempre trascurati e giammai considerati per quel che sono. Il lavoro nelle campagne prende forme diversissime, talune somiglianti e tali altre dissimili a quelle della città e, generalmente parlando, è meno retribuito, quindi presenta maggior numero di casi di vero gangherismo”. Per concludere “relativamente ai lavoratori del suolo ciò che si può dire è che la storia loro non potrebbe essere più triste in Italia”.
In situazioni come queste non poteva non nascere la rivolta. I primi moti ci sono nel Mantovano nel 1884: i contadini fanno lo sciopero della mietitura e vengono duramente repressi. Se in Germania il mondo agricolo è tendenzialmente conservatore e in Inghilterra sempre più scarno a favore dell’industria, in Italia – così arretrata – c’è un’area decisamente avanzata nella pianura tra la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia. Però i braccianti che chiedono il rispetto delle tariffe concordate , per non parlare dei militanti più attivi, vengono cacciati e ricattati con lo spettro della disoccupazione: “el padrun” chiama i contadini più malleabili o quelli di fuori zona; quando scioperano non arrivano soldi a casa, non si mangia e si deve ricorrere all’usura. Per farvi fronte si organizzano i “forni sociali” e le “sezioni risparmio”. Nascono le leghe e le cooperative. I moti contadini si diffondono nel resto dell’Italia settentrionale e in Sicilia (i fasci dei lavoratori). Non poteva non esserci reazione da parte dei proprietari, degli ambienti più retrivi del governo e della corona. Nel 1894 Crispi scioglie le organizzazioni esistenti soffocando ogni movimento economico per un lungo periodo di tempo e impone la legge marziale. Peggio farà nel 1898 il generale Bava Beccaris che spara con il cannone sulla folla che protesta contro il rincaro del pane: 80 morti. Bava Beccaris fu nominato dal Re Umberto I grande ufficiale dell’ordine militare di Savoia e senatore del regno (poi, uno dice che l’anarchico Bresci…)
E’ in questo clima che nasce la Federterra, anche se prima c’era stato almeno un decennio di paziente lavoro di propaganda per la penetrazione del socialismo nelle campagne. Infatti attorno al 1890 si sviluppa seriamente nel Nord il movimento socialista. E comincia così anche l’opera di Argentina Altobelli. ”Costituii una lega di mestieri, guidai diversi scioperi, mi incontrai con quei rudi lavoratori verso i quali mi sentivo trasportata quasi istintivamente in quanto il mio spirito si rivolgeva di preferenza a chi sentivo più debole, più indifeso, più bisognoso di aiuto “(ibidem).
Ma sono anni di pregiudizi e persino Andrea Costa quando conosce Argentina le dice: “una figliola come te deve fare all’amore e non occuparsi di politica perché essa è pericolosa e chissà dove potrebbe trascinarti”. “Pensare che io mi aspettavo – chiosa lei rattristata – una parola di elogio, o meglio, di incoraggiamento per l’opera che davo con tanta fede al socialismo”. Naturalmente non gli dà retta, continuerà le sue battaglie soprattutto per le donne. Nel 1904 è a Berlino per il secondo Congresso Internazionale Femminista dove perora con tanto ardore la causa delle leghe di resistenza delle donne e ottiene un clamoroso successo. Un occhio particolare è dedicato alle mondine e al lavoro dei bambini, anche loro impegnati nelle risaie. “Non è descrivibile la condizione tristissima in cui quella povera massa di carne umana svolgeva il lavoro, assoldata da incettatori, lontana dal suo paese, senza appoggio, senza forza per difendersi e far valere il suo diritto. Le squadre numerose alloggiate presso il cascinale dei campi, esposte all’intemperie dormivano sulla paglia, tra la sporcizia e gli insetti, tormentate dalle zanzare, colpiti in gran numero dalle febbri malariche, nutrendosi con un pasto pesante e sempre uguale, e il loro tormentoso lavoro non pareva sopportabile a creature umane. La povera massa di fanciulli, di donne, vecchi, curvi sotto il solleone, immersi fino alle ginocchia per 12 – 14 ore nelle distese di acqua stagnante delle risaie, punzecchiati dagli insetti, erano la più grande ingiustizia e la più grande vergogna dell’umanità che permetteva tale infinito martirio. I sopravviventi, dopo la monda, tornavano al loro paese in uno stato di depressione morale e fisica del quale risentivano per mesi e mesi”, questa la tragica realtà cui si rivolge Argentina.
Con una infinita serie di scioperi, di agitazioni, di proteste, di comizi, riesce mano mano a ottenere, nel giugno 1907, una legge che disciplina le condizioni del lavoro in risaia, limitando l’orario a 10 ore, sottraendo le mondine alle speculazioni degli incettatori, e prescrivendo precetti igienici per i dormitori e per il vitto. Il governo nel 1900 aveva presentato una proposta legge sul lavoro delle donne e dei bambini, ma era limitato solo all’industria. I contadini erano esclusi, così come erano esclusi dalla legge contro gli infortuni sul lavoro del 1898. Con la Altobelli verranno estesi anche ai lavoratori agricoli.
Memorabile è stata la conquista delle 8 ore. Memorabile perché i braccianti passano dalla condizione di servi della gleba a quella di cittadino con dei diritti. Perché viene restituito loro uno spazio di vita, perché entrano nella modernità. Il primo accordo contrattuale è a Vercelli nel 1907. La legge arriverà nel 1919, anche se ancora oggi i raccoglitori di pomodori – e altro – naturalmente a lavoro nero, ne fanno ancora 14. “….Contro le otto ore in agricoltura”, scrive l’Altobelli, “furono accampati i pregiudizi e le consuetudini veramente medioevali che pesavano specialmente sulle categorie dei lavoratori della terra”. Restavano le mondariso con le loro 10 ore, ma piano piano “la Federazione potè trionfare finalmente dopo tre lustri di battaglie, l’orario limitato ad 8 ore di lavoro”. (ibidem)
In mezzo a tante battaglie la sindacalista trova anche l’amore. Abdon Altobelli, “uomo di cultura, maestro serio, capace di conquistare l’anima dei suoi allievi” (Mario Casalini Episodi di vita di una donna battagliera) e naturalmente socialista (assessore al comune di Bologna, dove nel 1915, ben prima che fossero formate le squadracce fasciste nel 1919, è vittima di un’aggressione di nazionalisti), è colui che le fa battere il cuore per amore e non solo per l’ideale. Era quasi un marziano per i suoi tempi. Accetta una moglie di professione rivoluzionaria, accetta che stia lontana per giorni e giorni, che torni a casa la sera tardi dopo aver fatto riunioni dove è l’unica donna, che occupi le terre, mentre lui sta a casa a badare ai figli. Ci sono lettere di amore struggente tra i due. Quando lei va a Berlino la separazione è lunga e scrive: “so mio caro Abdon quanto è grande il sacrificio che mi fai, ma credi pure che anche per me è stato immenso”. Nelle sue memorie spiega che avrebbe voluto restare libera e indipendente “per proseguire le mie opere”, ma “Abdon era serio, simpatico, colto , attraente nella conversazione se non bello – scrive Argentina – tanto diverso che mi sentii ben presto attratta verso di lui. Dopo due anni di alterne vicende decidemmo di unirci e quel giorno fu il più bello della mia vita” (A. Altobelli Memorie). Si sposano nel 1889. Avranno due figli – Demostene, detto Demos e Trieste, detta Triestina. Abdon muore nel 1909 e le sue ultime parole sono per lei : “Non pensare a me, vai! Io non posso ormai dare che questo al partito: non trattenerti, e aiutarti a compiere anche il mio dovere”.
Cominciano ad comparire le prime squadracce. Argentina furibonda si rivolge direttamente ai “proletari” fascisti : “io ti conosco, tu che terrorizzi i lavoratori – scrive su La Terra, organo della Federterra – Sei nato nella palude del ferrarese che confina con il Polesine. Sei figlio dei lavoratori della terra anche tu, ed i tuoi diedero sudore e vita al solco per produrre il grano ed il riso per i padroni. La tua infanzia non ebbe sorrisi e carezze e fu martirizzata da ogni sofferenza. Tu crescesti più nella strada che nella casa, più ignudo che vestito. Oggi sei fascista, sicario pagato dagli agrari per distrugger col bastone le conquiste che i tuoi compagni lavoratori hanno ottenuto”. E, rivolta a Mussolini, lo definisce “sicario pagato dagli agrari… tiranno della reazione… flagellatore dei deboli… assassino dei tuoi fratelli”. Altobelli subisce spesso minacce e intimidazioni dai fascisti che la costringono a lasciare Bologna e andare a Roma. Trasferimento che vive così: “Siamo dei naufraghi politici e non abbiamo diritto alla parola”.
Nel 1924 il regime uccide Giacomo Matteotti. Lo scandalo è fortissimo, l’opinione pubblica scandalizzata. Mussolini ha paura che la corona lo scarichi e cerca di riappacificarsi con i socialisti riformisti. Convoca Argentina e le offre il ministero dell’agricoltura. Lei rifiuta: “L’idea non si distrugge col bastone né con la rivoltella né con gli incendi, essa sola è immortale!”.
Muore nel 1942. Ai suoi funerali, una corona di fiori rossi. Poi l’oblio, ancora oggi. Perché era una donna?
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