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Dall’Istat i (veri) numeri della crescita della mortalita’

L’Istat ha calcolato per 7.270 comuni su 7.904 (corrispondenti al 93,5% della popolazione residente) la differenza tra il numero dei decessi registrati dalle anagrafi comunali nei primi quattro mesi del 2020 e i valori medi relativi al quinquennio 2015-2019. Il risultato è che, a fronte di una tendenza alla riduzione nei primi due mesi (7.984 decessi in meno corrispondenti a una variazione del -6,8%) nei mesi di marzo e aprile il numero di morti è aumentato di 42.634 unità (+41,5%). Una parte di questo “eccesso di mortalità” è attribuibile direttamente al Covid-19 e un’altra può avere con l’epidemia un legame indiretto essendo attribuibile alla crisi del sistema sanitario e ospedaliero nelle aree maggiormente colpite dal virus.

Nel mese di marzo dei 26.350 decessi stimati in eccesso dall’ISTAT  il 54% (14.420) sono stati riportati dal Sistema di Sorveglianza Integrata dell’Istituto Superiore di Sanità  (la versione perfezionata dei dati diffusi dalla Protezione Civile); nel mese di aprile dei 16.283 decessi in eccesso la quota riportata dalla Sorveglianza sale all’82% (13.426) . Secondo il rapporto Istat-Iss “Con i dati oggi a disposizione, si possono solo ipotizzare due possibili cause: è aumentata la capacità diagnostica delle strutture sanitarie e quindi sono stati diagnosticati in maniera più accurata i casi di COVID-19; è diminuita la mortalità indiretta non correlata al virus ma causata dalla crisi del sistema ospedaliero nelle aree maggiormente affette. Quest’ultima componente infatti migliora man mano che si riduce la pressione sui sistemi sanitari”. In ogni caso l’ampliamento della stima dei decessi collegabili al Covid nei due mesi nei comuni considerati è dunque dai 27.846 della Sorveglianza Integrata ai 42.634 delle anagrafi. Proiettando, con un po’ di approssimazione, questi dati a maggio si  può ottenere  una stima complessiva di circa 50.000 decessi aggiuntivi dall’inizio dell’epidemia (questa ovviamente è una stima dell’autore di questa nota e non dell’Istat).

Il rapporto Istat-Iss pubblicato il 4 giugno rappresenta uno dei più seri contributi ufficiali all’analisi del fenomeno; un documento in cui sia i dati che gli indicatori sono chiaramente e correttamente illustrati e in cui le ipotesi di spiegazione dei fenomeni osservati vengono avanzate separatamente e in forma condizionale. Insomma un esempio di come dovrebbe essere fatta la gestione dei dati e la loro comunicazione da parte delle istituzioni pubbliche.

Il rapporto consente anche di vedere come l’eccesso di mortalità sia stato caratterizzato da una elevatissima concentrazione geografica. Quasi il 50% (12.879 pari al 48,9%) dei decessi aggiuntivi di marzo è concentrato in sette province limitrofe (cinque lombarde e due emiliane) dove complessivamente risiedono poco più di 4 milioni di persone pari a meno del 7% del totale nazionale. Rispetto a una media nazionale di incremento del  48,6% i decessi sono aumentati del 571,3% in provincia di Bergamo, del 401,3% a Cremona, del 377,1% a Lodi, del 292,0% a Brescia  e del 183,9% a Lecco (Lombardia) ma anche del 271,1% a Piacenza e  del 209,5% a Parma (Emilia Romagna). La concentrazione diminuisce (ma resta comunque elevata) ad aprile scendendo al 24,7% del totale. 

Se si confrontano questi dati con le dinamiche temporali della diffusione del contagio ne emerge una possibile spiegazione dell’eccesso di mortalità riconducibile ad errori “tattici” nella gestione iniziale dell’evento commessi dalle autorità sanitarie in quei territori (ma su indicazioni nazionali): ritardo nell’estensione delle zone rosse, ospedalizzazione generalizzata scarsamente protetta e assenza di tracciamento dei contagi e di tamponi ai contatti asintomatici. Dove si sono seguite strategie diverse la sovramortalità risulta molto più contenuta (a Padova, la provincia del focolaio di Vò Euganeo, l’eccesso di mortalità a marzo è stato del  + 17,3%).

Segnalare possibili errori tattici che possono aver aggravato le conseguenze dell’epidemia non significa attribuire delle “colpe”, le decisioni in condizioni di incertezza e urgenza sono difficili. Un esame ragionevole dei dati dovrebbe indurre però anche ad evitare le retoriche trionfalistiche: i morti avrebbero potuto essere di più, ma avrebbero anche potuto essere di meno.

Meglio per tutti evitare strumentalizzazioni e, soprattutto, meglio imparare dall’esperienza.

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Daniele Fichera

Daniele Fichera. Ricercatore socioeconomico indipendente. Nato a Roma nel 1961 e laureato in Scienze Statistiche ed Economiche alla Sapienza dove è stato allievo di Paolo Sylos Labini, ha lavorato al centro studi dell’Eni, è stato a lungo direttore di ricerca al Censis di Giuseppe De Rita e dirigente d’azienda e business development manager presso grandi aziende di produzione e logistica italiane e internazionali. E’ stato inoltre assessore al Comune di Roma dal 1989 al 1993 e Consigliere regionale del Lazio dal 2005 al 2010 (assessore dal 2008 al 2010) e dal 2015 al 2018. Attualmente consulente per l’analisi dei dati e l’urban innovation per diverse società e centri di ricerca.

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