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De Michelis e l’ombra di Yalta sulla nostra democrazia

di Rino Formica*

L’ombra di Yalta sulla nostra democrazia. E’ una immagine che appartiene a Gianni De Michelis. Esprime, come meglio non si potrebbe, il contesto storico e lo statuto geo-politico dentro il quale nasce e si consuma il modello democratico del nostro paese.

Con questa immagine si vuole intrecciare una vita di socialista, quella di De Michelis, e la rinascita del PSI che sin dal Midas ripensa una nuova via a partire dalla crisi istituzionale del Paese da affrontare con una “Grande riforma” delle istituzioni e della forma di governo. Siamo sul finire degli anni ’70 e da questo momento ricomincia la lunga marcia del socialismo italiano nel territorio impervio della sinistra e nell’anomalia del sistema politico nel quadro delle democrazie europee.

Da allora, questo orizzonte riformatore allungato sul filo della crisi del sistema democratico ha avvicinato ed allontanato, nella misura della sua forza o della sua debolezza egemonica nel campo della sinistra italiana, la prospettiva del riformismo socialista nel Paese.

Da qui la scelta di pubblicare uno dei tanti passaggi che hanno visto i socialisti impegnati sul terreno del rapporto tra crisi generale e crisi istituzionale, per sciogliere il “nodo di Gordio” della nostra “democrazia bloccata” sulla quale, dissipata l’ “ombra di Yalta”, si allunga quella del “compromesso costituzionale” che -a dispetto di sconvolgimenti anche epocali sulla scena nazionale e internazionale- mantiene il suo equilibrio di forze e continua a cementare in un unico blocco e in una relazione inestricabile una ideologia, un ceto politico e un sistema di potere.

Il 18 dicembre 2009 Gianni De Michelis, assieme con altri dirigenti socialisti (il sottoscritto, Martelli, Acquaviva e Covatta) scrive a Berlusconi Presidente del Consiglio e a Bersani segretario del PD per chiedere di “riflettere sulla proposta che abbiamo trasmesso e che il senatore a vita, Presidente emerito Cossiga, ha fatto propria perché venga presentato un disegno di legge volto a convocare l’Assemblea costituente per fondare un nuovo patto e una nuova Carta costituzionale”.

Nessuno dei firmatari, rappresentanti di una ormai lontana storia riformatrice, si illude sulla efficacia della iniziativa. All’effettività del valore sistemico della proposta dell’Assemblea costituente corrisponde un quadro politico, ma soprattutto di cultura politica, sfilacciato e indebolito nei suoi fondamentali. La regola compromissoria originaria, fondata sulla convivenza tra Costituzione scritta e Costituzione materiale, che è la regola fondativa della nostra democrazia “speciale” tenacemente difesa da un largo e trasversale fronte conservatore, può consentire solo ritocchi, scorciatoie, interventi tecnici manutentivi.

La chiave di volta per neutralizzare la Grande riforma con la sua idea “sovversiva” del riformismo sistemico viene trovata sulla via breve della riforma della legge elettorale. Il gioco è fatto: leggi maggioritarie, premi di maggioranza, stravolgimento del principio di maggioranze semplici o allargate per la revisione costituzionale hanno riorganizzato uno schieramento che, alzando la bandiera della “Costituzione più bella del mondo”, ha impedito la restituzione al popolo del potere costituente, tale è il senso dell’assemblea costituente, ma non ha impedito che il “costituzionalismo” dei Trattati europei entrasse nella nostra Carta “nottetempo”. Nella penombra dei negoziati europei sulle cessioni di sovranità, dei compromessi sulle reciproche convenienze economiche, sulle regole di stabilità, la Carta dei diritti sociali che è l’anima della nostra Carta costituzionale si va trasformando nella Carta dei diritti “compatibili” e, soprattutto, dei doveri.

E’ difficile per il socialismo italiano, con un simile bagaglio sulle spalle, allungare lo sguardo sino all’oggi senza registrare, con sgomento, lo stato delle cose a seguito della destrutturazione delle forme materiali e culturali della nostra democrazia. Senza mai allontanare lo sguardo, ben inteso,  dagli errori commessi, dalle incertezze, dagli inciampi lungo la strada di un coerente e costante slancio riformatore.

Oggi, per restare sulla scena nazionale, il punto di caduta è ancora il terreno istituzionale aggravato dall’emergenza sanitaria. La crisi generale del Paese è ancora la crisi del suo sistema istituzionale. La sua debolezza converge sul centro della debolezza delle istituzioni.

Possiamo dire, certamente con un senso autocritico ma a beneficio della storia del socialismo italiano che quella intuizione, tale fu (e rimase) la “Grande riforma” delle istituzioni, resta il passaggio obbligato per ridisegnare la grande riforma che il Paese attende.


Rino Formica

* Rino Formica, nato a Bari nel 1927, membro di spicco del Psi durante la segreteria di Bettino Craxi, punto di riferimento dell’organizzazione dei quadri del Psi, fu ministro delle Finanze nel primo e nel secondo governo Spadolini, durante il governo Andreotti 1989-92 e ministro del Lavoro durante i governi Goria e De Mita.

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Rino Formica

Rino Formica, nato a Bari nel 1927, membro di spicco del Psi durante la segreteria di Bettino Craxi, punto di riferimento dell’organizzazione dei quadri del Psi, fu ministro delle Finanze nel primo e nel secondo governo Spadolini, durante il governo Andreotti 1989-92 e ministro del Lavoro durante i governi Goria e De Mita.

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