Che i dossier di ogni genere siano da sempre essenziali nella lotta politica (e non solo) e che molte situazioni possano essere comprese soltanto disponendo di informazioni particolari è cosa persino banale da ricordare.
Benito Mussolini aveva raccolto e gestiva circa 180.000 fascicoli su alleati e avversari. Tutti sapevano che li aveva e ognuno alimentava, per proteggersi, la sua raccolta con nuovi particolari e aggiornamenti su tutti gli altri.
L’ex Duce affidava ai dossier anche l’ultima speranza di salvezza. Riteneva che avere con sé le veline sulle opzioni sessuali del Principe di Piemonte e le carte sulla morte di Matteotti avrebbe potuto essere la base di un’ultima trattativa con gli inglesi.
Non poteva, del resto, dimenticare che pochi mesi prima Winston Churchill gli aveva lautamente pagato la testata che aveva fondato e diretto per molti anni.
In piena guerra, insomma, il capo di un Paese combattente acquista (chissà perché) “Il popolo d’Italia” dal capo del Paese avversario.
E, visto che abbiamo citato Matteotti, come non ricordare che la sua famosa borsa conteneva i documenti sulla corruzione della Famiglia Reale in merito a un’operazione petrolifera?
Insomma, da sempre possedere e controllare dossier è un normale e rispettato strumento di chi sa stare al mondo… e vuol starci a certe condizioni.
Ora, questo è il punto del cambiamento in peggio che stiamo vivendo. Possedere e controllare non vuole dire diffondere.
Il vero strumento di chi ritiene di possedere informazioni specifiche ed efficaci è la promessa, anzi la garanzia, di non renderle mai pubbliche. La diffusione di un dossier può anche gravemente colpire un avversario, ma determina anche la fine della potenzialità dello strumento.
In questo ambito, una pistola fumante è anche una pistola scarica: a smoking gun is an unloaded gun.
Questo tipo di consapevolezza ha regolato e garantito la funzionalità della Prima Repubblica. Tutti conoscevano debolezze e misteri di tutti, ma (grazie a un accordo tacito) essi venivano tenuti al di fuori della comunicazione e della lotta politica.
Ciò che stava nella sfera privata di ciascheduno non poteva e non doveva essere evocato anche per non provocare quell’effetto che Formica brillantemente definì “mettere la merda nel ventilatore”.
Soltanto l’eccesso di presunzione o di imprudenza da parte di taluno potevano talvolta portare alla rottura dell’accordo muto. Subito dopo, però, la ferita si rimarginava e si tornava al conosciuto.
Questo schema di comportamento si è frantumato grazie alla contemporaneità dell’azione incosciente di Silvio Berlusconi e la corrispondente strumentale utilizzazione da parte della Magistratura.
Nessun uomo pubblico di buon senso dovrebbe permettere a delle sex – workers reclutate per allietarlo di raggiungerlo in luoghi ufficiali dotate di telefonini con cui registrare e trasmettere.
Ma nessun magistrato coerente e corretto dovrebbe trovare in questa sciocca e autolesionistica pratica i termini per una responsabilità e una denuncia penale.
L’unione delle due perversioni ha però fatto scuola.
La conoscenza e il controllo dei dossier ha trovato, per la prima volta, uno sbocco giudiziario: esso appare, in quanto tale, legittimo ed, anzi, dovuto.
Torniamo all’ex Duce in fuga e alle sue carte. Egli riteneva che la Casa Reale inglese avrebbe trattato con lui per acquisire e far scomparire i documenti sul Principe di Piemonte. Ciò non avvenne per una serie di motivi ma, comunque, quelle carte non furono rese accessibili al pubblico. Qualcuno le trasmise alla Casa Savoia che, guarda caso, le perse nelle traversie successive.
In altri termini: il dossier, separato dalle mani e dalla disponibilità del creatore, perde tendenzialmente il suo valore.
Con la nuova logica italiana, esso invece si autonomizza e inizia a vivere una nuova vita non più ristretta alla limitata natura di “materiale riservato” per diventare soggetto di un cammino inedito che non si sa dove porterà.
È come l’abbrivio dato a una imbarcazione. Se non interviene un immediato governo della stessa, essa se ne andrà per una sua strada.
Qui, naturalmente, si inserisce la Rete e il tessuto dei social e delle diverse forme di comunicazione. Non importa più che quel comportamento venga assolto o considerato colpevole. Esso cammina, caracolla, corre deteriorandosi, modificandosi, semplificandosi di passaggio in passaggio.
Sfuggito alla gestione collettiva che tendeva a tenerlo riservato esso viaggia dall’uno all’altro. Inevitabilmente, a quel punto, la gestione individuale tende a moltiplicarne senza limiti la fruizione.
Insomma. Noi, giustamente, cerchiamo di proteggere i nostri giovani e giovanissimi dalla violenza delle “rivelazioni” di natura personale che l’ambiente scolastico tende a moltiplicare (notizie sulle opzioni sessuali, sui famigliari, ecc.) ma sembra non siamo minimamente interessati a proteggerne l’intera società.
C’è qualcosa di tragico in questo, ma ne parleremo un’altra volta.
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