Il paesaggio agrario Italiano è caratterizzato ormai da molti secoli da oliveti. In Puglia i primi grandi oliveti risalgono addirittura al ‘600 quando il Re di Napoli diede ai contadini la possibilità di utilizzare terreni demaniali per piantare alberi che, per ragioni climatiche e geologiche, fruttificavano abbondantemente.
In Liguria furono i contadini a strappare alla montagna, con i muri a secco, il terreno per piantare olivi che garantivano il trattenimento del suolo dalle frane.
Situazioni analoghe si riscontrano nella storia dell’agricoltura del nostro paese: non è quindi sistema agricolo italiano ed è stata nei secoli una componente importante del paesaggio italiano.
Quando si creano situazioni non riconducibili a comportamenti umani che rischiano di produrre un mutamento in una delle coltivazioni tipiche italiane, sino a determinarne in alcune zone la scomparsa, è necessario porsi il problema se creare un nuovo insediamento di quelle essenze arboree non sia un fatto culturale e di identità nazionale prima ancora che economico. Ne consegue che ben può l’Italia chiedere alla comunità europea fondi speciali necessari per il ripristino di un panorama culturale, quale quello degli olivi italiani, che costituiscono un pezzo importante della cultura mediterranea e quindi europea.
Al tempo stesso è necessario, avvalendosi della normativa vigente, disporre stanziamenti per la tutela degli uliveti spesso ultracentenari in quanto costituenti parte integrante del patrimonio ambientale, che sta andando per questa parte distrutto in seguito alla mancata attenzione per le piante che non danno più reddito a causa del basso prezzo di mercato delle olive. Per ovviare a questo problema gli stanziamenti per la tutela delle piante esistenti, di cui potrebbero esserne salvate circa due terzi, sarebbe necessario corredare l’olio ottenuto di una etichetta con la indicazione della vetustà delle piante (olio migliore) ed il loro pregio tanto da essere tutelate come parte del patrimonio ambientale culturale italiano
Il problema della scarsa quantità di olive in Italia, dopo le avverse condizioni atmosferiche dello scorso anno e il batterio della xilella, è duplice: da una parte le piante tagliate, perché ormai malate e improduttive e quindi da sostituire, e dall’altra il gran numero di ulivi abbandonati a se stessi per la scarsa redditività del prodotto.
Occorre un piano di interventi pubblici opportunamente modulati per la messa a dimora di nuove piante in sostituzione di quelle vittime di calamità naturali, in modo non dissimile da quanto accade per esempio per gli immobili distrutti in seguito a terremoti.
Per il perseguimento di questa finalità occorrono fondi pubblici e norme che evitino dubbi interpretativi.
La produzione olivicola italiana è andata in questi ultimi anni rapidamente scemando sia per cause naturali (mutamenti climatici) che per il sopravvenire di batteri (xilella). E’ da sottolineare che le olive non sono un prodotto agricolo che può essere trasferito, una volta separato dall’albero, a grandi distanze, stante la necessità di molirle entro 24/48 ore da quando sono state colte. Ne consegue che la crisi dell’olivicoltura è in realtà crisi della produzione olearia italiana, ormai nettamente al di sotto del fabbisogno interno, mentre l’approvvigionamento dall’estero è limitato fondamentalmente alle importazioni dalla Spagna, che va sempre più acquisendo un monopolio naturale nella produzione olearia.
Si tratta quindi di sottoporre ad attenta valutazione, anche attraverso contatti con i competenti organi della CEE, se possono ritenersi un aiuto di Stato interventi diretti non già a favorire le aziende nazionali ma a rendere effettiva la concorrenza europea tra paesi produttori.
In altri termini intendendo aiuto di Stato un qualunque intervento pubblico diretto a risollevare le sorti dell’olivicoltura e della produzione olearia italiana si finirebbe per favorire di fatto l’esistenza sul mercato europeo di un monopolio nel settore olivicolo-oleario da parte di un solo Paese, finendo così per impedire quella libera circolazione di merci su un piano di parità economica cui tende la Comunità.
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