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Eravamo felici e non lo sapevamo

Ho letto questa frase giorni fa, non ricordo nemmeno dove, probabile durante uno scrollo nervoso di una delle tante home dei social che tanto ci fanno “compagnia” in questi giorni di isolamento.

Una compagnia fittizia, che non risulta essere mai abbastanza per nulla, sempre fredda, gelida, insoddisfacente, a volte quasi narcotizzante.

Eppure al momento è una delle poche cose che ci rimangono, soprattutto per continuare ad avere contatti con le persone care e che, ad oggi, non possiamo né vedere né abbracciare.

“Eravamo felici e non lo sapevamo”, continuo a pensare a questa frase perché essa mi colpisce come un dardo e mi provoca un senso di enorme frustrazione; perché di base, se ci soffermiamo su di essa, ci accorgiamo di quanto sia vera e di quanto a volte la verità può fare molto male.

Bambini giocano felici. Foto di Hai Nguyen Tien da Pixabay

Mi ritengo al momento una persona fortunata, principalmente perché il mio lavoro non si è fermato.

Lavoro nella sanità, non mi è possibile stare a casa e questo mi permette, anche solo per qualche ora di svagarmi ed uscire dalla routine salotto, bagno, camera, cucina.

Tuttavia, continuo a pensare a queste parole rendendomi conto realmente di quanto eravamo tutti molto fortunati e soprattutto liberi; me ne sono accorta banalmente due giorni fa quando avevo voglia di un gelato e non potevo, ovviamente, uscire di casa per prenderlo; una banalità che si aggiunge ad una lista di altre cose semplici, ma vitali come uscire con i miei amici, prendere un aperitivo, mangiare una pizza, abbracciarli, abbracciare i miei genitori, andare al cinema, prendere un volo aereo, vedere i miei nipoti e tante, tante, tantissime cose che prima facevamo con banalità e superficialità ed invece erano essenza di vita.

Io stessa sono colpevole di essere caduta a volte in spirali di negatività e lamentala, per cose futili e sciocche.

Quante volte mi sono alzata la mattina e mi sono lamentata per questioni legate al lavoro o alla vita privata, mi sono torturata il cervello con cose di una banalità allucinante se messe a confronto con quello che sta succedendo ora.

Non so se questa situazione ci metterà prima o poi in condizione di tornare ad apprezzare la normalità, lo spero vivamente; perché mai come ora mi rendo conto che la “banalità” degli abbracci, dei baci, del tenersi per mano, è assolutamente vitale. E che senza le persone a noi vicine, viviamo in una dimensione arida che non vale la pena di essere vissuta.

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Tamara Mancini

Mi sono laureata all'università La Sapienza di Roma dove ho conseguito la prima laurea in Scienze Storiche e la seconda in Storia delle Religioni. Ho scelto poi una specializzazione in Islamistica, interessandomi del medio oriente dal punto di vista religioso, culturale e socio-politico; da queste esperienze è nato il mio primo libro "Sufismo e Islam: l'importanza della donna nella mistica" edito da La Caravella editrice. Nella stessa università ho ottenuto un Master in Mediazione Culturale e un corso di Alta Formazione post laurea, con entrambi ho ottenuto un posto all'interno di una cooperativa del Nord Italia che mi permette di esercitare un lavoro che amo molto, quello del mediatore culturale appunto. Oltre ai libri e allo studio ho due grandi passioni: organizzare conferenze su argomenti legati al mio percorso di studi e fare radio. Sono, difatti, la speaker di un programma culturale che va in onda ogni giovedì dalle 17.15 fino alle 18.15 su una radio web che risponde al nome di Active Web Radio (direct: www.active-media.it)

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