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Fare lo chef è davvero un lavoro stressante: lo dice la scienza

“The Guardian” pubblicò un articolo in cui, citando un’indagine qualitativa promossa dal sindacato dei cuochi britannici e irlandesi, per la prima volta si mettevano in luce gli effetti negativi dello stress sulla salute degli chef. Ma fare lo chef è veramente cosi stressante? E soprattutto qual è il rapporto tra stress psicologico e la presenza di malattie professionali nell’intera popolazione di chef ?

A queste domande ha cercato di rispondere uno studio promosso dalla Federazione italiana cuochi (Fic) e diretto dall’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irib) di Cosenza, a cui ha partecipato l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro, pubblicato sulla rivista Frontiers Public Health.

by Michael Browning on Unsplash

“Il lavoro dello chef è uno di quelli più esposto a rischi per la salute dovuto allo stress, ma mai nessuno ha fornito una valutazione scientifica quantitativa dei rischi e delle sue caratteristiche”, spiega Antonio Cerasa, ricercatore presso Cnr-Irib e coordinatore della ricerca. “Il nostro studio ha definito per la prima volta, in maniera quantitativa, il legame tra stress, lavoro e salute nella categoria dei cuochi italiani, utilizzando un approccio analitico ai dati statistici risultanti dall’elaborazione del materiale messo a disposizione dalla Fic. Infatti, per realizzare questa ricerca epidemiologica, è stata messa a punto un’app dove tutti gli iscritti alla Federazione, potevano collegarsi e, compilando dei moduli demografici e dei test psicologici, partecipare all’indagine scientifica”.

“Le malattie professionali sono uno dei temi all’attenzione della Fic. Lo stress in cucina è effettivamente altissimo, causato da tensioni e pressioni psicologiche dovute principalmente alla mole di lavoro, alle numerose ore trascorse in cucina in uno spazio spesso piccolo, affollato e troppo caldo, a un livello di concentrazione che deve essere sempre al massimo, al numero di dipendenti da gestire, ma soprattutto al giudizio costante del cliente a cui si è sottoposti”, dichiara Rocco Pozzulo, presidente della Fic che conta quasi 20mila iscritti in tutta Italia.

“Lo studio ha interessato 710 chef (con queste caratteristiche medie: 88% maschi, età 44.4 anni, body-mass-index: 28.5, anni di lavoro 24.9, ore di lavoro settimanale 66.4), i cui questionari sono stati utilizzati per valutare se il rischio da stress professionale sia correlato al tipo di lavoro e come questo possa influire sulla salute. Il modello di analisi comprendeva caratteristiche individuali (come età, sesso o body-mass-index) e variabili legate al lavoro come la categoria professionale (es., head/executive/lavapiatti/freelance), o la durata della giornata lavorativa”, aggiunge Antonio Cerasa.

“Per quantificare il legame causale tra le variabili in gioco è stato utilizzato un modello statistico chiamato Structural equation modeling (Sem), che consente di testare contemporaneamente varie ipotesi. Dopo una prima fase di validazione dei test, il modello ha rilevato che gli unici due fattori associati significativamente con la presenza di alti livelli di stress e di malattie organiche a carico dell’apparato muscolo scheletrico e cardio circolatorio sono gli anni di servizio e il numero di ore di lavoro settimanali”, precisa Marco Tullio Liuzza, docente di Psicometria dell’Università “Magna Graecia”.

“Dall’elaborazione dei dati è risultato che il 47% degli chef ha riportato almeno due o più problemi di salute nella vita lavorativa, e la relazione tra le variabili lavorative e lo stato di salute è mediata dagli alti livelli di stress professionale presenti nella popolazione dei cuochi in una percentuale tra il 13.8% e il 24.9%. Questo dato è rilevante perché gli effetti negativi delle eccessive ore di lavoro sulla salute sono già state riportate in altre categorie lavorative come chirurghi, personale d’ambulanza, colletti bianchi, poliziotti, militari. Grazie a questa ricerca si conferma quindi che anche nella categoria degli chef superare le 60 ore di lavoro a settimana è un forte fattore predittivo di malattie organiche”, conclude Cerasa.

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