Categorie: Anteprima News

Ferrari, Binotto al posto di Arrivabene

Maurizio Arrivabene non sarà più il team principal della Ferrari. Per la nuova stagione il suo posto sarà preso da Mattia Binotto. Arrivabene, ex numero uno del marketing di Philip Morris, dovrebbe ottenere un ruolo all’interno della Juventus, visto anche il rapporto d’amicizia con Andrea Agnelli. «Arrivabene, al comando della rossa per quattro stagioni, nelle quali la Ferrari ha avuto per due volte (2017-2018) una macchina in grado di contendere il Mondiale alla Mercedes, senza mai arrivare a giocarsi il titolo all’ultima gara come era invece accaduto negli anni di Stefano Domenicali e Fernando Alonso. Un bilancio che alla fine deve aver pesato sul suo destino. In particolare l’ultimo campionato ha lasciato l’amaro in bocca e la sensazione di una grande occasione sprecata» [Perna e Ianieri, Gazzetta].
«I capelli ondulati, folti, gli occhiali da nerd con la montatura nera e spessa. Uno spilungone con l’aria da secchione, elegante, silenzioso, quasi sfuggente. Una vita sui libri e sui motori, una vita da 24 anni in rosso: Mattia Binotto, il predestinato. Sergio Marchionne lo aveva scelto per ricostruire una Ferrari in rovina pescando nel ventre della fabbrica e trovandoci questo ingegnere nato in Svizzera da genitori reggiani, 49 anni, entrato nel ‘95 nella squadra test della Scuderia per poi scalare, né in fretta né senza difficoltà, tutte le posizioni fino al muretto delle Corse. Direttore tecnico dal 2016, con le chiavi della macchina orfana del progettista star James Allison passato alla Mercedes, Binotto ha realizzato il sogno dell’ex numero 1 di un’organizzazione orizzontale e di seconde linee al comando con Enrico Cardile (telaio e aerodinamica) e Corrado Iotti (motori). Ne sono uscite le migliori auto da un decennio a questa parte. Le ultime due super competitive, da titolo mondiale che manca dal 2007. I gioielli made by Binotto ci sarebbero riuscite se la Ferrari non si fosse autoeliminata: per gli errori dei piloti, ma altrettanto per quelli organizzativi e di comunicazione. Tra lui e Arrivabene, membro dal 2012 del cda della Juventus dove forse troverà più spazio nella dirigenza, la proprietà ha scelto prima di Natale la macchina della rinascita, e l’uomo di Marchionne» [Retico, Rep].

«Tutto era già stato definito da una settimana, su decisione di John Elkann in seguito a una serie di consultazioni nelle quali anche Piero Ferrari ha avuto un peso importante. Probabilmente è solo la prima di una serie di mosse, Camilleri per ora resta ma sul suo futuro a lungo a termine come ad nessuno scommette» [Sparisci, CdS].

Spacey in tribunale per le accuse di molestie

Kevin Spacey, 59 anni, è comparso ieri in un’affollata aula di tribunale a Nantucket, in Massachusetts, per rispondere alle accuse di molestie sessuali nei confronti del diciottenne William Little. Il caso risale al luglio 2016, e le molestie sarebbero avvenute nel Club Car, un affollato piano-bar a tre minuti dal tribunale dove si svolge il processo. Spacey, per bocca dei suoi avvocati, si è dichiarato non colpevole e il giudice gli ha ordinato di non avvicinarsi alla presunta vittima. La corte è stata riconvocata il 4 marzo. L’attore rischia fino a cinque anni di carcere.
Mancano 5 minuti alle 11 quando Spacey, evitando l’assedio dei fotografi davanti al portone con le ghirlande di Natale ancora appese, fa il suo ingresso da una porta laterale nell’aula di legno verde, gremita da giornalisti e curiosi in fila fin dalle 6 del mattino nel gelo di Board Street, la via principale del villaggio marinaro più esclusivo d’America, fondato nel 1641 da una comunità di quaccheri che poi lo vendette agli inglesi per 30 sterline e due cappelli di castoro. Kevin affronta elegantissimo, abito grigio su camicia a fiori e cravatta a pois, la prima apparizione pubblica dopo lo scandalo. A costringere l’attore a tornare in pieno inverno sull’isola è stato il giudice locale Thomas Barrett. Che adesso, capelli bianchi e papillon sulla toga, non è per niente intimorito dal clamore: “Non interferite nel mio lavoro” intima ai giornalisti. È lui ad aver preteso, nell’anno primo del #MeToo, la presenza di Spacey. Per affrontare di persona l’accusa di molestie rivoltagli — per bocca della madre però, l’ex conduttrice tv Ruth Unruh — dal cameriere che il 7 luglio 2016 lo approcciò sperando in un selfie: ed era poi fuggito ubriaco sostenendo di essere stato palpeggiato nelle parti intime. Ma, dice Lisa Morris che ha un negozio di antiquariato dietro l’angolo, “è un locale così piccolo che fai amicizia per forza: dopo due minuti ti abbracci, brindi e canti. Sono una frequentatrice abituale: e dubito che un episodio così possa essere avvenuto senza che nessuno se ne sia accorto». Dubbi anche dalla fidanzata del giovane Little, a cui fu mostrato un video delle molestie di Kevin: «Non mi parlò mai di abusi, né quella notte né dopo». Il video è adesso un materiale della difesa» [Lombardi, Rep].

Amori

Il caso di Richard Manson, 55 anni, milionario inglese, che due anni fa va dal medico e scopre di avere una fibrosi cistica. Il medico: «Lei è sterile dalla nascita». Manson: «E allora di chi sono i miei tre figli?». Va dalla moglie Kate, da cui è divorziato dal 2008, e la costringe a confessare: i tre sono frutto di un lungo tradimento degli anni Novanta. «E lui chi è?». Lei non vuole dirlo, e non lo dice. Restituisce 250 mila sterline dei quattro milioni incassati al tempo del divorzio (e che Manson voleva indietro) e mantiene il segreto. Manson, per scovare l’amante, rivela la storia ai giornali, che definiscono quello di Kate «un adulterio biblico». I rapporti con i figli sono praticamente cessati. Manson: «Seguo su Facebook cosa fanno e mi si spezza il cuore perché ho visto che il più grande si è laureato, ma non sono stato invitato. Non sono loro padre: non sono neppure un amico di famiglia. Sono solo un tizio che era lì mentre crescevano. Il futuro è deprimente: aspettavo le gioie di lauree, matrimoni, nipoti, le speranze e le paure nell’aiutarli e guidarli lungo il cammino. Tutto ciò mi è stato rubato nel modo più brutale possibile» [Ippolito, CdS].

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Giorgio Dell'Arti

Nasce a Catania il 4 settembre 1945. Giornalista dal ’69 a Paese sera. Passa a Repubblica nel ’79: inviato, caposervizio, redattore capo, fondatore e direttore per quattro anni del Venerdì, editore del mensile Wimbledon. Dirige l’edizione del lunedì de Il Foglio, è editorialista de La Stampa e La Gazzetta della sport e scrive per Vanity fair e Il Sole 24 ore. Dell’Arti è uno storico di riconosciuta autorevolezza, specializzato in biografie; ha pubblicato (fra gli altri) L’uomo di fiducia (1999), Il giorno prima del Sessantotto (2008) e l’opera enciclopedica Catalogo dei viventi - 7247 italiani notevoli (2008, riedizione de Catalogo dei viventi - 5062 italiani notevoli, 2006). Tra gli ultimi libri si ricordano: Cavour - Vita dell’uomo che fece l’Italia (2011); Francesco. Non abbiate paura delle tenerezza (2013); I nuovi venuti (2014); Moravia. Sono vivo, sono morto (2015); Bibbia pagana (2016).

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