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Fine della contrapposizione populista

La crisi  che ha portato alla costituzione del governo Draghi ha innescato un  terremoto destinato a produrre effetti nel quadro politico nazionale che dureranno un tempo ancora lungo. Alla rottura  già avvenuta nel M5S sta seguendo una spaccatura nel PD che sembra  destinata presto a far saltare gli equilibri interni, non esclusa la segreteria Zingaretti.  

E’ la situazione generale che si messa in movimento, tanto da far prevedere una scomposizione e ricomposizione degli assetti politici in un tempo relativamente breve, nell’arco della stessa legislatura in corso che, passando per le elezioni amministrative dei prossimi mesi (se la pandemia non imporrà il rinvio) e l’elezione del nuovo presidente della Repubblica (inizio 2022), si concluderà a primavera del 2023.

Le prime avvisaglie si sono manifestate nel corso della crisi che ha portato alla caduta del governo Conte. In quella fase è emersa la fragilità dello schieramento giallorosso, quando M5S e PD si sono attestati sul fronte del Conte III, convinti di avere in mano carte sicure per spuntarla, raccattando  voti  tra  quelli che in transatlantico a  Montecitorio vengono chiamati, senza offesa, “cani sciolti”.

Quella strada si è rivelata senza uscita e ha costretto il presidente Mattarella a prendere in mano la situazione, prima affidando un mandato esplorativo al presidente della Camera, on. Fico, per poi imprimere una svolta risolutiva con l’incarico al prof. Draghi per nuovo governo in grado di far fronte alla crisi sanitaria e a quella economico sociale. Un “governo per l’Italia” che richiama tanto l’idea del governo di “unità nazionale” più volte manifestata dal Quirinale.

La plebiscitaria adesione alla scelta del prof. Draghi, con la sola onesta opposizione dei Fratelli d’Italia, ha sconvolto la scena. Lega e Forza Italia si sono tuffati a sostegno. E mentre Matteo Renzi gustava il successo della sua iniziativa, PD e M5S sono rimasti con il cerino in mano, dovendo rinunciare al Conte terzo e ingoiare il rospo rappresentato dai vituperati Berlusconi e Salvini, con i quali mai avrebbero voluto stare insieme al governo.

La storia, a volte, fa brutti scherzi, specie nei confronti di chi con prosopopea e  testardaggine rifiuta di vedere al là del proprio naso, vale a dire pensando a spartirsi la rendita politica derivante dall’utilizzo dei 209 miliardi di fondi dell’Unione Europea, piuttosto che mettere al centro un progetto condiviso per l’uso di quelle risorse, a vantaggio dell’intera comunità nazionale rappresentata da un ventaglio composito di forze politiche.

All’inizio di questa nota si accennava alla prospettiva di un rimescolamento generale  del quadro politico italiano, attraverso una scomposizione e ricomposizione delle forze in campo. La crisi del M5S, con la scissione che già si è prodotta nei suoi gruppi parlamentari, segna, se non la fine, il declino del populismo. 

La scossa che ha colpito i grillini si è riflessa immediatamente sul PD, e non poteva essere altrimenti dopo il legame a doppio mandato con cui il segretario Zingaretti si era incatenato al M5S e alle sorti del governo Conte. L’idea di stringere un patto storico con LEU e M5S, spostando il timone tutto a sinistra, seguita dal tentativo maldestro e abortito di costituire un intergruppo parlamentare, si è risolta in un fiasco politico e personale per Zingaretti che ora sarà costretto a convocare un congresso vero e a mettere in gioco la leadership del partito. En passant, l’aggettivo “storico” portò male al Pci e, ora che  Zingaretti, con una gaffe, pensa di rilanciare il “Pci” e, con esso, il populismo di sinistra, la sorte è almeno incerta.

Riandando con la memoria al tempo in cui la crisi stava maturando, viene da pensare alla sortita del vicesegretario, on. Orlando, quasi un presagio, secondo cui la strategia di Matteo Renzi era quella di spaccare il PD. Non conta chi sia l’artefice, ma il risultato sembra sul punto di essere raggiunto.  

Finora, al populismo di sinistra si contrapponeva il populismo di destra rappresentato in larga parte dalla Lega. Ma, la mossa compiuta da Salvini di buttarsi subito e totalmente a sostegno del governo “per l’Italia”, ha fatto venir meno la sponda sulla quale contavano e si appoggiavano le forze di sinistra. Tutto si è rimesso in gioco, con Forza Italia che può svolgere, insieme ad altri da Italia Viva a +Europa e Calenda,  un punto di aggregazione al centro, che potrà avere una buona consistenza, specie se vi sarà una riforma della legge elettorale in senso proporzionale.

I prossimi mesi, da qui all’elezione del nuovo presidente della Repubblica, saranno decisivi per l’evoluzione del quadro politico nazionale. In questo ambito temporale il governo  Draghi, dal quale nessuno potrà tirarsi indietro se non a danno di se stesso,  costituirà il fattore lievitante della nuova situazione politica.

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Gianfranco Salomone

Giornalista - Già Direttore Generale Ministero del Lavoro

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