Nel giorno del suo ottantesimo compleanno Gigi Proietti è stato stroncato dall’infarto che stamattina era notizia allarmata sui quotidiani. Sconcerto e dolore diffusi per tutta la giornata. Qui un ricordo che coglie un frammento di vita che contiene tanti tratti di una straordinaria personalità.
Nei casi in cui la vita abbia creato momenti importanti, talvolta indimenticabili, con persone rimaste nella trama di storie, scambi, pensieri, non sempre con quotidianità ma certo con reciprocità e quindi con veri sentimenti, sento sempre l’obbligo – raggiunto da cattive notizie, sempre più frequenti con l’avanzare dell’età – di riproporre quei momenti e segnalarli come un memore congedo. Lo faccio anche oggi, quando la notizia della scomparsa di Gigi Proietti mi accomuna a tanti che gli debbono frequenti e intensi attimi di vita. Ma anche al mondo più stretto dello spettacolo, in grandissima sofferenza causa la pandemia, in cui sono iscritte anche alcune pagine della mia vita. Questo mondo riconosce a Gigi Proietti primati, originalità, estro, versatilità, entusiasmo, inconfondibilità, doti formative. Insomma conquiste che un grande attore può fare anche presto nella carriera e che così diventano un vero e proprio “brand personale” che ci ha accompagnato a lungo e che pesa come un patrimonio oggi quando quell’accompagnamento finisce.
Il mio ricordo è alla metà degli anni ’80, allora nella mia esperienza di direttore generale dell’Istituto Luce, quando finalmente eravamo riusciti a superare una barriera pesante nel percorso di rigenerazione di quella azienda, rispetto alla ripresa produttiva (ormai da tre anni tornati a produrre cose importanti e ad ottenere riconoscimenti ai festival) e rispetto alla post-produzione sull’archivio storico (con un ruolo rimasto centrale).
Parlo soprattutto rispetto ad uno spazio programmabile nelle realizzazioni di qualità per la televisione, che si avvaleva solo di produttori privati e che nel nostro caso doveva dimostrare almeno la stessa qualità e comunque vantaggi competitivi. Lo “sfondamento” (parola eccessiva ma non per quella piccola comunità professionale) avvenne con Rai2 e riguardò un genere per noi insolito: lo spettacolo musicale.
L’occasione era data dall’entratura di Gianni Minà con il mondo del teatro, della musica e della tv di Cuba, in cui annualmente si organizzava un festival centrato sulla musica cubana di tradizione, quindi attorno agli stili creoli, ma anche con forme di ospitalità di stili e artisti internazionali. Quell’anno toccava all’Italia, che aveva una nutrita presenza a Varadero. La produzione era assegnata al Luce che metteva una qualità cinematografica di organizzazione e ripresa al servizio di un evento che Minà avrebbe presentato ma con l’intesa di avere una vedette della presenza italiana capace di raccordi importanti per il pubblico locale ma poi anche per il pubblico italiano, con due ore di programmazione. La vedette, appunto, era riconosciutamente Gigi Proietti.
Accompagnai cast e troupe con entusiasmo, cercando di stabilire nell’occasione (un incontro con il viceministro dello spettacolo e della tv) qualcosa in più per i programmi futuri. Proietti, che aveva al tempo 45 anni, era un funambolo virtuosissimo. Sperimentò la sua interpretazione di New York New York che sfumava a metà in un potente O sole mio. Ma i superstiti (oggi) di quell’avventura non dimenticheranno mai l’atterraggio – all’inizio drammatico, alla fine fortunato – dell’areo di Iberia (dopo il viaggio in due tappe da Roma), nel quale, in vista dell’Avana, il pilota diceva con la stentorea voce dell’emergenza che si era rotto un carrello ovvero che era scoppiata una “rueda” e che quindi dovevamo tutti metterci in posizione appunto di emergenza, senza le scarpe, chinati con le mani sopra la testa e un cuscino davanti al volto, sperando nella “buena suerte”.
Nei due minuti in assoluto silenzio di quella predisposizione tutti quanti ci predisponevamo a pensieri carichi d’ansia. Scendendo di quota era visibile la pista d’atterraggio. Circondata da vigili del fuoco con le pompe d’acqua in mano. Veduta terrificante. E di improvviso – stranamente dal basso e non dall’alto – tuonò ancora la voce del pilota: “Aqui è il comandante che habla, la rueda sta fracassada, tentamos l’aventura, ma no se preoccupe de nada, Dios sta con nosotros, ma vosotros non comperate più nel fuduro i biglietti di Iberia”. Naturalmente era Gigi Proietti, in una perfetta imitazione del pilota che fece atterrare tutti i passeggeri con il sorriso sulle labbra. Soprattutto quando, dal posto in cui era conficcato, alzò il suo anulare destro verso il cielo.
Questa gag dominò il clima festoso di quel festival. Il programma televisivo andò bene ed ebbe successo.
Più volte nella vita, seguendo la sua immensa sequenza di successi, avremmo ricordato, con lui e con Gianni, l’episodio in cui non c’era solo l’anima dell’erede di Petrolini – come qualcuno ha detto – ma anche il creativo, il capocomico, il regista, l’improvvisatore, il socializzatore che Gigi Proietti è stato. E che per me è sempre stato, dalla Ballata di Pickwick a oggi. Tutta la vita sulle scene.
Non casualmente “Prensa latina” ricorda oggi con un articolo la figura di Gigi Proietti in cui è scritto: “Considerado el exponente más universal de las artes escénicas italianas contemporáneas, Proietti cosechó éxitos en una proficua carrera profesional de más de medio siglo en diversos ámbitos, desde el canto y la comedia hasta la ópera, el doblaje y la presentación de espectáculos”.
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