Le due mostre fotografiche allestite a Roma, una al Senato della Repubblica, l’altra a Piazza San Salvatore in Lauro, in occasione del centenario della nascita di Giulio Andreotti (14 gennaio 1919) con moltissime immagini del “Divo Giulio”, scomparso nel 2013, hanno fornito occasioni per nuove e contrastanti valutazioni sul democristiano che fu tutto: deputato, senatore a vita, Ministro, Presidente del Consiglio dei Ministri.
Oggi sembra appartenere ad un passato lontanissimo, tanto è rapidamente mutato il nostro paese. Afferma Massimo Franco, che ne è il più accreditato biografo, che Andreotti è stato un uomo politico difficilmente collocabile nella pur vasta scacchiera della vita politica italiana: a mio avviso a torto e ragione nello stesso tempo.
Andreotti appartiene di diritto alla schiera dei protagonisti della storia del nostro paese, di coloro che hanno interpretato il loro ruolo come ruolo di potere, conquistato e gestito per il perseguimento di una finalità ideologica ben definita, anche se non conclamata ad ogni occasione.
La politica per Andreotti, come per Giolitti tanto per fare un esempio lontano nel tempo, è stata lo strumento per modificare l’assetto sociale e politico esistente in nome di principi (o pseudo tali) e valori ben definiti con il coraggio ed al tempo stesso il cinismo, la pazienza ed insieme la volontà necessarie per reggere a tutte le inevitabili sconfitte e dai colpi dei nemici e più ancora dei falsi amici.
E’ una visione questa molto diversa da quella di coloro che intendono invece la politica come rappresentanza dei bisogni e delle aspirazioni delle persone e dei gruppi sociali dentro lo schema definito dal programma del partito o del gruppo politico di appartenenza: la storia insegna che sono visioni difficilmente compatibili tra loro, e che pure si rincorrono negli anni, nei decenni, nei secoli, con le loro naturali degenerazioni, da una parte delle dittature, dall’altra della menzogna, elevata a strumento del consenso politico.
Per fortuna queste esperienze di entrambi i tipi hanno vita breve: fascismo, comunismo e nazismo hanno avuto in fondo una vita breve e non sembra, tanto per fare un esempio del secondo tipo, che il Movimento 5 Stelle goda ottima salute.
Amato cardinale senza paramenti, grande attore in un mondo di guitti, ottimo stratega senza esercito in armi, Andreotti arrivò fin su la soglia della Presidenza della Repubblica: non riuscì a varcarla perchè, malgrado molti sembrano dimenticarlo, il sistema politico italiano è un sistema democratico che rifiuta un ordine in cui il popolo sia composto solo di governati e non di governanti.
La lezione da trarre dalla vicenda Andreotti è proprio questa: si può governare un popolo, non lo si può nel fondo del proprio pensiero considerare “cosa propria”, un fatto che molti uomini di governo di oggi sembrano ignorare.
Nessuna meraviglia dunque se un piccolo uomo vestito da senatore, nell’aula del Senato trancia giudizi su Andreotti, come fosse stato un bandito da strada: quel piccolo uomo pentastellato non ha finora avuto tempo di leggere un libretto, anche minuscolo, di storia politica e parlamentare di quel paese che ritiene di rappresentare. Spetterà agli elettori non rieleggerlo, dandogli così il tempo di dedicarsi a proficue letture.
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