Il Professor Giuseppe Conte è il ventinovesimo Presidente del Consiglio dalla proclamazione della Repubblica ad oggi. Molti dei suoi colleghi non sono più nel mondo dei vivi, altri sono ormai fantasmi di altri tempi, altri ancora, pur di trovare un passatempo da pensionati non hanno trovato di meglio che essere sindaci del loro paese d’origine.
Solo i più recenti, come Monti, Renzi e Gentiloni sono ancora sulla scena politica (Enrico Letta è scomparso nel nulla), ospiti di dibattiti televisivi. Un caso a se è Romano Prodi, costantemente in attesa di quella tanto ambita Presidenza della Repubblica che sembra sempre tanto vicina e si dimostra sempre tanto lontana.
Tanti nomi, esperienze politiche diverse, scenari politici che poco hanno a che vedere con quello attuale, difficile quindi fare una sorta di classifica dal migliore al peggiore nell’espletamento dei compiti affidati dalla Costituzione a quello che un tempo era il “Capo del Governo”, secondo la definizione voluta da Mussolini per sottolineare la sua superiorità rispetto ai ministri.
Certamente i primi posti in una simile classifica li occupano uomini politici che seppero anche essere uomini di Stato, come De Gasperi, Craxi e Spadolini che furono anche leader dei loro partiti, all’opposto non sembra che uomini politici come Goria, come Moro, Colombo, De Mita e D’Alema abbiano lasciato un imperituro ricordo della loro esperienza a Palazzo Chigi.
C’è poi il groppone di centro classifica, da Andreotti a Fanfani, con apprezzamenti pari alle critiche, tutto dipende dal metodo usato per valutarne l’opera. Cossiga arrivò primo, ma purtroppo è fuori classifica: sbagliò corsa. Tambroni invece fu squalificato per percorso alternativo.
Giuseppe Conte sembra collocarsi decisamente nel groppone dei Presidenti “grigi”, di quelli cioè che sfuggono ad una precisa valutazione per una loro abilità, quasi camaleontica di essere contemporaneamente uno, nessuno e centomila, favorito in ciò dalla sua solida struttura molecolare democristiana con ampie venature di doroteismo. Da una maggioranza all’altra, da una dichiarazione pro ad una contro, da amico a nemico e da nemico ad amico (politico, si intende). Tutto ed il contrario di tutto pur di conservare un posticino a Palazzo Chigi, con Moro ed Andreotti grandi esempi da imitare.
Candidato al Ministero senza portafoglio per la riforma della Pubblica Amministrazione, approdato a Palazzo Chigi su segnalazione, a quanto si dice, di un grillino doc come Alfonso Bonafede, avvocato e professore universitario sconosciuto alla maggioranza degli italiani, stenta sempre più ad ancorarsi ad una precisa collocazione politica. Dicono che abbia molte ambizioni: fondare un nuovo partito, divenire Presidente della Repubblica, magari passare alla storia per aver salvato l’Italia (da cosa sarà il tempo a precisarlo), Giuseppe Conte è sempre più un eroe dei nostri tempi. Per quanto tempo ancora è un altro discorso!
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