Negli ultimi due secoli, l’arte di proporre e risolvere enigmi trova una sua specifica palestra su pubblicazioni specializzate tipiche di questo periodo. In Italia il primo di tali periodici fu “L’Aguzzaingegno”, che uscì a Milano sotto forma di un volumetto annuale a cominciare dal 1821, con più di cinquant’anni di ritardo, in verità, su quel “Magasin énigmatique” che, nato in Francia nel 1767, deve considerarsi in assoluto il primo giornale al mondo del genere.
Successivamente in Italia hanno visto la luce numerosissime pubblicazioni del genere, alcune delle quali ebbero grande successo; basti pensare a La Gara degli Indovini (1875-1900), a La Corte di Salomone (1901-1958), alla Diana d’Alteno (1891-1944) e a Penombra, che dal 1920 continua ancor oggi la sua ininterrotta attività.
E per ciò che l’enigmistica di oggi viene detta “classica”, quasi a indicarne una nobile discendenza e stabilire naturali legami con un’affascinante tradizione letteraria; anche, però, per distinguerla da quanto comunemente viene inteso con tale termine, che immediatamente è messo in relazione con le “parole incrociate”, con i “cruciverba” e con i “rebus”.
L’equivoco è vecchio di quasi novant’anni, quando iniziarono in Italia le pubblicazioni di una diffusissima rivista di giochi vari, una rivista principalmente di parole incrociate, alla quale, nei successivi decenni, hanno fatto séguito sempre più numerosi tentativi di imitazione. L’aggettivo “enigmistica”, usato allora impropriamente, prese a confondere il pubblico ignaro, che fu portato ad attribuirgli un significato distorto, ben lontano da quello tradizionalmente riferito all’arte degli enigmi. L’invenzione americana del cruciverba si è poi enormemente diffusa appropriandosi il termine “enigmistica”, senza giustificazione alcuna e senza che nulla potessero le sparute schiere di appassionati del vero enigma, quello nel quale c’è effettivamente da svelare qualcosa di nascosto e di ambiguo.
Al di là dei casi di autori del passato, che dall’enigma derivarono le loro manifestazioni poetiche, è da tenere in debito conto l’attività, qui in Italia sviluppatissima, di autori scopertamente enigmografi; un’attività che rappresenta comunque un particolare divertimento, un raffinato esercizio di bizzarra cultura.
Questo stuolo di appassionati si diletta in un esercizio che richiede un approccio iniziale non semplice, per altro ostacolato da complicazioni nomenclaturali e dalla necessità di apprendimento degli aspetti tecnici essenziali. Ma il bello certamente viene dopo, quando si incominciano a scoprire i segreti di questo ambiguo discorrere e il gusto di penetrare i misteri della dea Sfinge.
Oltre, infatti, a certe sorprendenti acrobazie, legate invero più a sterili meccanismi su grafemi, o a complesse elaborazioni formali, l’interesse maggiore dell’enigmistica è quello legato a taluni suoi aspetti, che hanno per supporto concettose manipolazioni di significato: argomento questo, senza dubbio più degno e affascinante e del quale si dirà nel séguito in modo specifico.
L’enigmistica, nella sua veste più diffusa, quella che si rifà alla tradizione classica, si fa in versi, che della poesia hanno almeno la struttura formale; mentre, nella sostanza, la “restrizione” dell’autore di enigmi è il doversi riferire contemporaneamente a due soggetti diversi.
Non è qui il caso di insistere su analisi e discettazioni semiologiche legate più a un’eventuale successiva fruizione scientifico-letteraria del testo enigmistico che a un’immediata comprensione del “gioco”. Deve, invece, semplicemente notarsi come quella che era la struttura metaforica dell’enigma antico, nella moderna enigmistica assuma oggi una dimensione più specifica, collocandosi all’interno del testo. Si trattava allora, per lo più, di discorsi “enigmatici”, vòlti a ingannare l’interlocutore, ma privi di una vera e propria struttura “enigmistica”, che invece si manifesta allorché nel testo è presente una doppia isotopia coerente e determinata.
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